Mai sacrificare l’uomo
Instancabile comunicatore attraverso la televisione e i principali organi di informazione, noto al grande pubblico per la sua sottile capacità di cogliere i mutamenti del nostro tempo, ma pronto anche a dare risposte concrete e talora provocatorie ai grandi interrogativi che scuotono le coscienza dell'uomo contemporaneo, il cardinale Ersilio Tonini è diventato negli anni un grande esperto di questioni legate alla bioetica. Lo abbiamo intervistato.
Msa. Manipolazione genetica e vita umana: per la Chiesa cattolica ci sono, in questo campo, una «scienza buona» e una «scienza cattiva»?
Tonini. Il termine «manipolazione» non è esatto perché esprime già un giudizio negativo a tutta la tecnica genetica. «Manipolazione» vuol dire strafare, contaminare, e invece si sa che l'ingegneria genetica, ad esempio sulle cellule somatiche (cioè di parti del corpo che non siano quelle che trasmettono la vita, ndr), è moralmente esatta, anzi è doverosa. Invece, quello sulle cellule germinali (quelle che trasmettono la vita, ndr), evidentemente sarà possibile solo quando si avrà la sicurezza che, intervenendo nel Dna germinale, non si rischia di creare dei mostri; ma quando la tecnica consentirà di intervenire con sicurezza, sarà un dovere farlo perché si potranno eliminare gravi malattie come il morbo di Parkinson, di Alzheimer. Questa è la direttiva che viene dal Papa: tutti gli interventi che abbiano fine terapeutico saranno leciti, anzi doverosi. Saranno assolutamente illeciti quelli che invece tendono a manipolare l'identità umana.
Eminenza, lei ha già fatto riferimento alla terapia genica, che può aprire la strada alla cura di numerose malattie. Ma fino a che punto ricerca e tecnologia farmaceutica sono eticamente super partes?
È bene scegliere la Germania come punto di riferimento. La Germania è una nazione dove la scienza non potrà mai dimenticare Hitler e gli abusi del nazismo a danno dell'uomo. In Germania, la prima carta costituzionale afferma che la ricerca scientifica è utile e pertanto totalmente libera. Quando iniziò la ricerca intorno al Dna, la Corte costituzionale di Karlsruhe intervenne per inserire una modifica: la ricerca scientifica rimane libera fino a quando non tocca l'essenza della vita umana. In altre parole, gli scienziati hanno il diritto di ricercare liberamente, però mai utilizzando l'uomo come strumento per l'altro uomo. Posto questo, ben vengano anche le multinazionali. La vittoria sulle grandi malattie sarà possibile solo avendo a disposizione sostanziosi finanziamenti, perché le ricerche sono costosissime.
Il Nobel Watson, fondatore del progetto Genoma, aveva fatto mettere nello statuto del gruppo americano, che le scoperte non avrebbero potuto essere brevettate, cosicché sarebbero rimaste a disposizione di tutti e non solo di qualche azienda. Qualche anno dopo, il consiglio amministrativo del gruppo dovette aprire ai brevetti. A quel punto cominciarono ad affluire enormi capitali ai gruppi di ricerca americani e inglesi. Il Nobel Dulbecco mi ha detto che, se vogliamo essere rispettosi del protocollo Watson, la ricerca apparirà più pura, però perderemo 30 anni sulle grandi conquiste. Allora: sì all'apporto delle multinazionali, purché intervenga il mondo politico per evitare l'appropriazione di alcune conquiste e soprattutto per impedire che la conquista vada soltanto in direzione di alcune malattie, magari le più diffuse, trascurando le altre più rare, che però meritano attenzione.
Lei ha accennato alle regole che devono venire dalla legge. Ma quali altre regole dovrebbero essere imprescindibili per la scienza?
Innanzitutto la scienza deve accettare il controllo del mondo politico, perché si tratta di decidere il destino di intere generazioni; qui si richiede estrema prudenza perché c'è il rischio che l'interesse privato, l'interesse di oggi, prevalga sui danni di domani. «Potere politico» fa pensare - poiché siamo in democrazia - a come occorra creare un'opinione pubblica. Qui intervengono l'educazione e i mass media che devono inculcare il principio per cui l'uomo può disporre di tutto meno che dell'altro uomo.
Ingegneria genetica e clonazione, un altro tema di scottante attualità . È eticamente accettabile la clonazione di singole parti del corpo umano, che in talune circostanze potrebbe essere addirittura utile, se non indispensabile...?
Partiamo pure dalla premessa che la clonazione della persona è veramente cretina, oltre che sbagliata. La madre che ha perso un bambino e che ne vuole la clonazione, non avrà mai il bambino che è morto, ma un altro essere umano. Quanto alla clonazione di singole parti, quando si è sparsa la notizia che si è riusciti a far crescere l'osso di un dito, qualcuno si è scandalizzato. Ma se io posso sostituire un pezzo di osso del femore con dell'acciaio, perché non posso far crescere l'osso o riprodurre i tessuti di chi ha subìto forti escoriazioni o bruciature estese? Attualmente vengono presi segmenti di pelle sana dallo stesso malato o da un'altra persona e, poi, vengono «trapiantati». Trasferire un pezzo di pelle da una persona a u'altra non è un delitto. La clonazione avviene attraverso la replicazione.
Se clonazione di un tessuto volesse dire produrre embrioni per ricavarne pezzi utili, verrebbe sacrificata la vita di un embrione per salvare un'altra vita. La morale cattolica ha un principio evidentissimo: l'uomo non potrà mai servirsi della vita di un altro uomo; non potrà mai distruggere o mettere in pericolo la vita di una persona per salvarne un'altra. Ecco perché è permesso che un fratello dia un rene a un altro fratello e non tutti e due i reni. Neanche la madre può farlo per il figlio.
La psicologa
A colloquio con Emilia De Rosa, psichiatra e psicoterapeuta dell'infanzia e dell'adolescenza, coordinatrice del settore di Psichiatria e psicoterapia dell'età evolutiva dell'Università cattolica di Roma.
Msa. Dottoressa De Rosa, ci sono casi di bambini nati da padre già morto e di altri nati da spermatozoi di persone ignote. Che conseguenze psicologiche ha tutto ciò in questi bambini?
De Rosa. Le conseguenze sono diverse se il padre è morto oppure ignoto. Nel primo caso è come se il bambino fosse voluto per sostituire il defunto. La madre non ha accettato la morte del marito e cerca di perpetuarne la presenza attraverso il figlio. Il bambino non può sviluppare una propria identità e ciò gli creerà grossi problemi in quanto viene al mondo per continuare qualcun altro e non per se stesso.
Il secondo caso è diverso: non c'è la presenza del padre. Quindi il bambino non sa in quale posto porsi, perché non ce l'ha, nella catena generazionale. Non sa chi sia il padre, quale sia la sua nazionalità e anche questa è una privazione che gli viene imposta. Per risolvere i problemi dei bambini adottati, le leggi garantiscono loro il diritto di ricercare la famiglia di origine. Cosa impossibile nel nostro caso. In altre nazioni le commissioni di bioetica hanno messo come regolamento nella fecondazione artificiale la reperibilità del donatore del seme. Sia in un caso che nell'altro si fa un grande abuso nei confronti del bambino.
Che cosa si può fare affinché il bambino superi questo trauma? Quali suggerimenti darebbe a chi deve creare attorno a questi bambini un ambiente famigliare che li aiuti nella loro crescita?
Anzitutto, queste cose non dovrebbero essere permesse. Quanto a noi, esperti del settore, dovremo cercare di dare a questi bambini quel substrato che loro manca, intervenendo sulla madre e sulle strutture educative, aiutandoli ad affrontare questo tema. Ma c'è anche la psicoterapia, e come aiutare una persona lo si vede sul momento. Essendo una cosa molto nuova anche noi dovremo studiarla e approfondirla.
E la nonna che sceglie di diventare ancora mamma nonostante l'età avanzata?
Le nonne devono fare le nonne e le mamme le mamme. La natura ha le sue regole e non fa salti. Nessuna donna, perché ha ancora desiderio di maternità , deve fare cose che creano problemi al nascituro e anche a se stessa. Tra l'altro, queste «mamme» vivono situazioni fittizie, hanno sì una gravidanza, ma non hanno più ovuli e quindi i figli sono fecondati con gli ovuli di un'altra donna. La situazione è piuttosto anomala.
Nei casi di utero in affitto sembra che ci siano delle conseguenze gravi non solo per il bambino ma anche per la madre che ha prestato l'utero, quali?
Questo caso è meno grave per un bambino rispetto al venire dal nulla o dal seme di un defunto o da una persona anziana. Nella mente del bambino è più facile conciliare il fatto che il ruolo materno è diviso in due. È un po' la stessa condizione che si crea nei bambini adottati che, in un certo senso, hanno due mamme. I problemi però si creano con le madri. Le donne che danno l'utero in affitto generalmente si pentono, come le donne che danno in adozione i figli; tendono quindi a farsi «adottare» dalle famiglie cui hanno prestato il loro utero, creando delle grosse conflittualità che devono essere gestite da un professionista per non danneggiare il processo evolutivo del bambino.
Claudio Zerbetto