Marika e le altre schiave
Il 1° gennaio 1863 una legge promulgata da Abramo Lincoln decretava la fine della schiavitù negli Stati Uniti, mentre la guerra di secessione era in corso e le sue sorti non ancora decise. Da allora è passato quasi un secolo e mezzo: la fine formale dello schiavismo ha conosciuto e conosce tuttora momenti difficili nel superamento delle discriminazioni e per l' affermazione di una reale eguaglianza, mentre tragedie e drammi si sono consumati e si consumano nella traduzione pratica di quei principi: i diritti dei poveri vivono spesso un cammino difficile prima di essere riconosciuti e condivisi. La schiavitù, a volte vestendo antichi abiti, altre nuovi, continua ad abitare una buona parte del mondo e a essere esercitata sui più deboli.
Ma si pensava che nelle vesti più cattive e nelle idee delle persone, almeno in Occidente, fosse solo un remoto, brutto ricordo. La riduzione in schiavitù invece, dopo essere stata a lungo fortunatamente lontana dal nostro orizzonte, è un reato che ha assunto una triste attualità in varie legislazioni, tra cui quella italiana. La facile obiezione è che questa pagina è stata imbrattata da tradizioni e abitudini straniere, appartenenti a popoli lontani, per sistemi politici e relazioni sociali, arrivate da noi come conseguenza negativa dei flussi migratori. Ma non è necessariamente così: mentre i nuovi schiavi sono in particolare donne e bambini, quasi sempre immigrati, i nuovi schiavisti sono presenti anche tra noi. E non solo nelle derive negative di rapporti sociali appartenenti ad altre culture costruite sul dominio del più forte.
Marika è una giovane donna che ha vissuto fino a due anni fa in un paese dell' Est europeo, uno di quei luoghi che non sono ancora riusciti a trovare una nuova e salda identità dopo la caduta del Muro di Berlino. Vi è, in quei posti, una sete di emulazione dei modelli occidentali, che spinge molte persone a emigrare in cerca di fortuna, di denaro, ma anche, semplicemente, di un futuro meno incerto. Uomini o agenzie senza scrupoli diffondono l' idea della possibilità di lavori sicuri e di redditi alti. Poi la realtà mostra una faccia molto diversa. Marika è arrivata in Italia con l' indirizzo di un ristorante di una città del ricco Nord-Est, dove le era stato promesso un lavoro come cameriera.
Che lei avrebbe accettato volentieri: oltretutto, come spesso capita per le persone cresciute in ambienti dove almeno i sistemi scolastici dimostravano efficienza, conosce varie lingue. Ma il lavoro che le veniva realmente proposto era di tutt' altro tipo. Ha detto no. Sola e senza soldi, è approdata alla stazione di Milano, un luogo di sopravvivenza e di convivenze difficili per una umanità dolente, che proviene da molti generi di povertà e dalle latitudini più diverse. Dopo aver vagato per alcuni giorni, ha incontrato quello che appariva come un signore di una certa età , premuroso e gentile. Cittadino italiano, l' ha ospitata in casa sua, dove per qualche mese è stata trattata con molti riguardi. Poi, d' improvviso, un drastico cambiamento. Quel «signore» le ha detto che doveva contribuire alle spese di casa e che il lavoro glielo avrebbe procurato lui. Di notte, sulla strada. E da lì è cominciato l' inferno.
Vero. Fino al giorno in cui Marika è stata ricoverata in ospedale, piena di fratture e coperta di lividi. I reati a lui contestati sono molto pesanti: averla ridotta in schiavitù, utilizzando una violenza feroce. Dopo la conclusione delle indagini, quell' uomo è stato rinviato a giudizio perché, durante il giorno, la legava con una catena che le impediva persino di arrivare al lavandino per poter bere acqua. Spesso la picchiava duramente, fino a ridurla in stato di incoscienza. Ora è in carcere, mentre la ragazza è in una comunità di accoglienza, dove, a fatica, cerca di ritrovarsi. Non necessariamente l' esercizio di un potere assoluto su un altro essere umano raggiunge questi livelli di violenza fisica. Ma vi sono, diffuse, forme di compravendita di persone, che dovrebbero almeno far discutere, anche quando apparentemente presentano un lieto fine. Non è ormai raro imbattersi nell' «acquisto» di una moglie per corrispondenza. Una sorta di ritorno a tempi in cui il matrimonio assumeva prevalentemente le forme di un contratto. Un meccanismo che nelle società povere viene visto come una possibilità di affrancamento, mentre nelle società ricche rimanda al potere del denaro. Che non è tutto, poiché spesso non riesce a vincere il disagio di vivere: ma può trasmettere l' illusione di poter comprare tutto, persino una parvenza di felicità . Può accadere che in taluni casi questi contratti di convenienza reciproca e diversa diventino con il tempo matrimoni d' amore, come normalmente dovrebbe essere.
Ma in molti casi finiscono soltanto per favorire il potere di chi dispone di risorse e per negare i diritti di chi non ha nulla. Fino a nascondere forme di schiavitù mascherata. Anche questi sono un segno dei tempi del consumismo, ma non sono certamente un bel segno.