Mario Rigoni Stern.Il saggio dell’altipiano
Asiago. Sul balcone della casa di Mario Rigoni Stern, Marco Grondaia, un lucarino infreddolito canta rivolto verso l`altipiano. Marco Grondaia: così, per volontà di una sua piccola nipote, ha chiamato il pennuto canterino, lo scrittore che ama gli abeti e i larici, che conosce i galli cedroni e il francolino di monte.
Rigoni Stern è un grande nonno saggio. Quando deve parlare di sé, più che i suoi libri, che pure sono di valore e di successo, ama ricordare che ha fatto anche dell`altro: è andato a far legna, ha lavorato come impiegato dello Stato, ha fatto la guerra, ha avuto tre figli e infine ha raccontato storie.
La sua vita è stata avventurosa. Ha combattuto in Albania, in Russia`¦ Nell`inverno del 1944, prigioniero dei tedeschi, si è messo a ricordare i compagni che la guerra aveva portato via nell`inverno del 1942-43 tra il Don e il Donez. Ogni notte nel ricordo gli scorreva davanti come un film, terribile, la ritirata in Russia e ogni giorno scriveva fino al crepuscolo. Ne è nato un libro essenziale, necessario, Il sergente della neve (pubblicato per la prima volta nel 1953 nei famosi «gettoni» di Elio Vittorini e appena ristampato da Einaudi). Dopo questo, che è diventato un classico della modernità , ha scritto altri romanzi e racconti: Il bosco degli urogalli nel 1962; Ritorno sul Don nel 1973; Storia di Tà¶nle nel 1978; Le stagioni di Giacomo nel 1995; Sentieri sotto la neve nel 1998`¦). Lo abbiamo intervistato.
Msa. Cominciamo dalla guerre, visto che anche di questi tempi stanno dominando le cronache e le coscienze. Le guerre di oggi sono diverse da quelle di ieri?
Rigoni Stern. Le storie di guerra sono sempre quelle. C`è gente che si fronteggia con armi che possono andare dalle pietre all`atomica, ma è sempre per imporre o per ammazzare. Ci sono guerre di difesa e sono le uniche giuste per conto mio, poi ci sono quelle di oppressione. Le guerre di oggi sono guerre strane nel senso che il nemico non è uno Stato, ma il terrorismo che è tutto, ma anche niente, perché non ne conosciamo il volto. Per me non è la faccia di Bin Laden, è qualcosa di diverso e di più.
Allora queste guerre sono difficili da condurre e da capire perché dietro a certe violenze non c`è solo il fondamentalismo, ma anche un bisogno di riequilibrare la ricchezza del mondo: un terzo della popolazione mondiale sfrutta i due terzi dei beni della terra.
Certo il modo è sbagliato ma penso che ci sia anche questo a spingere la gente a diventare terrorista. È sempre la storia di chi ha, contro chi non ha; di chi è convinto di essere nel bene e di chi è convinto di combattere quelli che sono convinti di essere nel bene. Poi dietro a queste guerre ci sono sempre gli interessi delle multinazionali, c`è il petrolio, l`energia, i mercati`¦
Io ho capito attraverso la mia esperienza diretta, quando siamo entrati in guerra nel 1940, che i nostri nemici non erano i francesi, i russi, gli africani, ma erano quelli che governavano l`Italia: Vittorio Emanuele III, Benito Mussolini`¦ e poi in definitiva il nazismo e il fascismo. Erano questi i nemici da combattere. Per fortuna abbiamo perso la guerra.
I suoi libri di guerra sono libri di incontri. Perché oggi gli incontri sono più difficili?
Gli incontri sono più difficili perché c`è un`educazione alla violenza cruenta, orribile direi. I media, la televisione, i giornali esasperano la violenza e si compiacciono di rappresentarla. Una volta non erano molti quelli che potevano vedere il dipinto di una battaglia. Oggi tutti vedono la televisione`¦ E allora si perde anche quel senso di «umanità », quel sentirsi abitanti della terra, ossia cittadini dell`umanità più che di una patria.
Leggevo sul giornale di come i marines affrontano la battaglia, addestrati a uccidere senza pietà , senza un minimo di attenzione. Io mi son trovato in guerra e ho visto che anche con i nemici si può avere pietà e cuore.
Che cosa ha imparato dalla guerra?
Ho imparato molto dalla guerra. Per esempio, come dicevo, che i nostri nemici non erano quelli contro cui ci mandavano.
Lei pensa al passato con rimpianto?
Non rimpiango i valori che ci hanno insegnato quando eravamo ragazzi, perché abbiamo avuto dei cattivi maestri, ma forse l`umanità che c`era quando, tra gente povera, ci si sentiva fratelli al di fuori di convinzioni religiose o politiche.
Adesso mi sembra un po` diverso, anche se ogni tanto trapela qualche barlume di speranza, perché non sono tutti demoni gli abitanti della terra. Barlumi possono essere un sorriso rivolto a un immigrato che arriva dal terzo mondo per lavorare. La gente un sorriso lo sa donare. Qualche volta anche qualcosa di più di un sorriso.
Chi erano i suoi cattivi maestri?
Cattivi maestri erano quelli che, quando ero giovane, avevano il potere e quelli che erano assoggettati al potere. «Credere, obbedire, combattere», ci insegnavano quando eravamo balilla. «Obbedienza cieca pronta e assoluta», ci dicevano alle scuole elementari. Alle scuole di avviamento professionale avevamo come materia «cultura militare» e «cultura fascista» naturalmente. E questo qualche volta veniva anche avvallato dai preti che ci insegnavano che bisognava essere obbedienti al potere. C`erano dei cappellani militari che esaltavano il valore del combattimento e dicevano che la nostra guerra era una guerra santa.
Ma quale guerra santa poteva essere la nostra? Un cattivo maestro per me fu anche Papini che scrisse un libretto dal titolo Italia mia. Lo lessi mentre stavo andando sul fronte russo, ero sulla tradotta: il libro era un`esaltazione della forza, della razza, naturalmente antisemita`¦ Mi sono talmente indignato che ho aperto il finestrino e l`ho buttato via nella steppa, non volevo neanche che restasse nel treno con noi che andavamo in guerra. E Papini era il convertito, amato da certo clero.
Ha avuto invece dei maestri buoni?
Maestri buoni ne ho avuto qualcuno. Non molti. Più che tra le persone acculturate, i miei maestri sono stati i poveri alpini. Giuanin del Sergente della neve è stato un mio maestro`¦
Questa è la casa della sua infanzia?
No, abitavo nel centro di Asiago e sono venuto ad abitare qui nel 1964.
Mi veniva da associare questo posto alla Pieve di Soligo di Andrea Zanzotto, un paese, un rifugio`¦
In un certo senso sì. Questa è la mia terra. I miei avi l`hanno scelta mille anni fa e così penso che sia bene restare. Ogni volta che mi allontano dico: non posso stare via da qui. La settimana scorsa sono andato a Milano, alla Bocconi e, lasciata l`autostrada, mi sono trovato a fare un`ora e mezzo di coda tra pareti di tir e di macchine. Per carità , non è una maniera buona di vivere quella. Restino pur lì con le loro ricchezze e tutto il resto!
Stare a contatto con la natura in un posto come questo vuole dire avere un rapporto privilegiato con la natura?
Privilegiato perché? Chiunque può esserlo. Privilegiato è chi sa cogliere l`essenza di un ambiente. Si può scoprire un mondo anche rovesciando una pietra dietro casa`¦
L`uomo senza natura non può vivere, lo diceva già Leopardi nell`Ottocento. Se tagliamo le radici a un albero, l`albero muore. La natura è l`aria che respiriamo, l`acqua che beviamo. E noi stiamo consumando natura. Noi stiamo sciupando natura. Cioè vita. La nostra esistenza stessa è in pericolo, minacciata dai nostri sprechi come dalle guerre o dalle grandi epidemie che potrebbero distruggere la terra. Non è eterno il petrolio. Troveranno altre forme di energia, ma ci sono dei limiti. Il sole è la più grande forma di energia`¦
Come potremmo noi cambiare la nostra vita?
Nel nostro piccolo è molto semplice: non dobbiamo sciupare. In questi giorni ricevo libri con un involucro più voluminoso del contenuto. Sbucciamo le patate e buttiamo via più di quello che mangiamo.
Si tratta di usare la natura, senza intaccare il capitale. Possiamo andare a caccia, tagliare il bosco, possiamo riscaldarci`¦ Ogni capitale produce interesse, ci insegna l`economia. Il capitale della natura è immenso e produce un interesse, ma se noi consumiamo più dell`interesse, intacchiamo il capitale.
Cambiando argomento, che peso hanno per lei gli affetti?
Sono parte della vita. La vita senza affetti non può esistere. A cominciare dall`affetto materno, dai primi sentimenti amorosi, fino all`affetto dei nipoti. Io ne ho cinque. È la continuazione della vita. Mi preoccupo per loro, per quello che sarà la loro vita nel futuro. Non si tratta di lasciar loro interessi materiali, ma di dar loro una maniera decente di vivere. Sono stato molto vicino anche ai miei figli: li portavo in bicicletta, a sciare, a camminare, a far legna`¦
Oltre ai suoi figli cui senz`altro lei ha tramandato le sue passioni e i suoi valori, ha qualche erede ideale?
È difficile dirlo. Ci sono tante persone che mi scrivono, che vorrebbero conoscere la vita del bosco. Io lascio delle tracce, poi ognuno deve seguire la sua strada.
Cosa dice ai giovani?
Una cosa dico sempre ai giovani e cioè che sbagliano a non giocare tanto. Non ai videogiochi, ma all`aperto. Hanno fretta di crescere e diventano vecchi prima del tempo.
Io fino a diciassette anni ho giocato in strada con i miei compagni. Oggi i bambini vanno a fare nuoto, corsi di danza e non hanno fantasia. Sono condizionati da scadenze: scuola, oratorio, piscina e a casa trovano in frigo qualcosa da mangiare. Anoressia, bulimia sono fenomeni della società opulenta. Perfino i frati sono diventati grassi!
La fede nella sua vita ha avuto un peso?
Certamente. Diventando vecchio mi sono sorti dei dubbi su certi dogmi, ma queste cose forse è meglio non passarle neanche al vaglio e accettare quello che c`è scritto nel Vangelo.
Lei è contento della vita?
Ritengo di essere stato fortunato a nascere in un paese così, in una famiglia numerosa, di aver trovato tanto amore da parte degli altri.
È perché ne ha dato anche?
Vede, non lo so. Ho avuto anche momenti durissimi perché le guerre, la prigionia non erano certo un piacere e lavorare come lavoravo è stato duro. Mi dedicavo allo scrivere con grande fatica ma anche con grande amore. E quando le cose costano fatica sono più belle.
Per il futuro che programmi ha?
Ho ottant`anni, che cosa si può prevedere? Io avrei voglia di scrivere ancora qualcosa. Non lo dico neanche al mio editore. Io lavoro alla mia maniera: scrivo a mano, non uso computer`¦ Scrivo con la penna stilografica con inchiostro nero e poi riscrivo con una vecchia macchina da scrivere. Vorrei ancora raccontare qualcosa. Cose che val la pena di ricordare o che fanno un po` di compagnia alla gente.
Narrare solamente una condizione umana. Tutto qui.