Maroun Lahham. Cristiani arabi di là dal Giordano
«Possiamo parlare in italiano?». «O in arabo, se preferisce…» risponde l’interlocutore sorridendo. A stemperare subito i toni dell’incontro è monsignor Maroun Lahham, arcivescovo vicario di Giordania per il patriarcato di Gerusalemme, la principale autorità religiosa cattolica del Paese.
Siamo «a casa sua», nel vescovado che sorge nella zona ovest della capitale Amman. La candida chiesa adiacente, dedicata a santa Maria di Nazareth, è tutta rivestita della tipica pietra calcarea che caratterizza ogni edificio del capoluogo, non a caso conosciuto anche come «città bianca». Per le strade è di gran lunga più facile imbattersi in minareti che in campanili, e così, vedere stagliarsi sul cielo, sopra l’ingresso della chiesa, una monumentale statua di Maria ha un effetto tutto proprio. Anche al centro della sala dove monsignor Lahham accoglie i visitatori campeggia a grandezza naturale una «Madonna della tenerezza» in mosaico, arte che qui vanta una tradizione risalente al tempo dei romani. Su una parete spiccano le effigi di papa Francesco e del re Abdallah II: sono loro a innescare la prima domanda.
Msa. Quale eco ha avuto la storica visita del Papa in Terra Santa – Giordania e Israele – nello scorso maggio?Lahham. Francesco nel nostro Paese ha ricevuto una straordinaria accoglienza. Fin da subito è scattata una simpatia reciproca con il re, si sono trovati come figlio e papà. Per sottolineare la sintonia, Abdallah ha voluto guidare personalmente l’auto papale… Anche i musulmani hanno dimostrato di ammirare Francesco. Alla santa Messa nello stadio di Amman erano presenti anche tanti di loro, compresi i rappresentanti delle ambasciate di Iran e Pakistan.
Qual è il rapporto con l’islam locale? Buono. Sereno. La Giordania è musulmana sunnita moderata al 97 per cento: non c’è il mosaico di sciiti, sunniti e alawiti tipico, ad esempio, dell’Iraq. E non è focolare di fondamentalismo. Inoltre, i rapporti interpersonali sono di base tribale: è la tribù a scegliere la linea da prendere. Tra tribù cristiane e musulmane si cerca di andare sempre d’intesa: è un tacito accordo.
Quindi i cristiani sono il 3 per cento? Sì, di cui circa la metà ortodossi, la restante parte cattolici. Di questi, l’80 per cento latini, il 20 greco-melchiti (di rito bizantino, ma di lingua araba, ndr). Significa che grossomodo i cristiani qui sono 230 mila.
Siete una minoranza: riuscite a essere sale e lievito della società? Con pochi grani di sale si può fare tanto. Ma per essere efficaci, per salare, bisogna stare dentro la pentola. Per questo noi cristiani dobbiamo vivere impastati con la società, cercando il bene di tutti, senza distinguere le persone a seconda della loro religione. Così, i cristiani sono il 3 per cento, ma sono il 6 per cento al senato e il 10 alla camera, e controllano circa il 30 per cento dell’economia giordana, a motivo della maggiore istruzione media e dell’apertura a contatti internazionali tipica dei cristiani. Se però per lievito e sale pensiamo ad attività di proselitismo, di evangelizzazione diretta, la risposta è no, non è una forma di presenza che culturalmente ci appartiene. L’appartenenza è sociale. Sei cristiano e rimani tale, sei musulmano e rimani tale. Testimoniamo la fede tramite la vita. Ma non si può andare in piazza, prendere il microfono e parlare di Gesù. Non si fa. Non siamo mai stati abituati a farlo e non lo accettiamo come principio. È addirittura vietato per legge.
Quali sono le figure di santi che nutrono di più la fede dei cristiani giordani? Noi arabi cristiani abbiamo una fede che è tutto cuore, concreta, sensibile, che si può toccare, palpabile con i cinque sensi. Se entri nelle nostre chiese vedi subito i fedeli che accendono i ceri e che vanno a baciare l’immagine della Madonna, di sant’Antonio, di san Giuseppe… I cristiani di qui sono più attaccati quindi ai santi dei miracoli, a sant’Antonio, padre Pio, santa Rita da Cascia…
Nonostante appena oltre le frontiere si vivano forti tensioni e guerre civili (in Siria, Iraq, Israele, Palestina), in Giordania i cristiani vivono tutto sommato bene… Sì, se paragoniamo la nostra situazione con quella di altri Paesi del Medio Oriente. La stabilità politica e sociale aiuta a lavorare bene con i giovani, con le parrocchie, con l’azione cattolica, gli scout... Un segno di questa vitalità è che la maggioranza delle vocazioni sacerdotali del patriarcato di Terra Santa, col suo seminario a Gerusalemme, vengono dalla Giordania. Dove c’è lavoro sereno e continuo i frutti si vedono e le vocazioni crescono.
Avete paura che l’ombra dell’Isis si estenda anche da voi? Non userei la parola «paura», ma di certo un po’ di preoccupazione c’è. Se i miliziani sono in Iraq e in Siria, cosa impedisce che arrivino qui? Ci sono quattro motivi per i quali, a mio parere, questo scenario non si materializzerà. Intanto non credo vogliano aprire un nuovo fronte a sud. Secondo: è vero che sono in Siria, ma a Nord, e ci sono in mezzo 400 chilometri di deserto… Terzo: non hanno interesse a occupare la Giordania, dove non c’è petrolio, gas e nemmeno acqua. Siamo il quarto Paese più povero d’acqua al mondo. Non siamo un’attrazione… Infine, non penso che gli Usa permetteranno all’Isis di arrivare così vicino alle frontiere di Israele.
Siete oasi felice anche per i cristiani dei Paesi confinanti, Palestina, Siria e Iraq. La Giordania può essere una nuova casa per i cristiani perseguitati del Medio Oriente? Distinguerei tra i palestinesi arrivati sessant’anni fa e gli iracheni e siriani di oggi. I palestinesi ormai fanno parte del tessuto sociale cristiano e giordano, a tutti gli effetti. Addirittura la metà dei cristiani di Giordania sono di origine palestinese. I siriani che hanno trovato scampo da noi sono oltre un milione: di questi, solo 20 mila saranno i cristiani, perché il Sud della Siria è per lo più musulmano, mentre i cristiani del Nord hanno trovato scampo in Libano, in Turchia o in Armenia. Siamo molto impegnati con la Caritas per l’accoglienza, e quasi tutte le nostre sale parrocchiali ospitano profughi. Infine, ci sono i circa 8 mila iracheni. Quando li incontri ti dicono due no categorici: non torneranno indietro, non resteranno in Giordania. Puntano a emigrare negli Usa e in Australia. Se i cristiani del Medio Oriente si sentono perseguitati, la Giordania può accoglierli, ma l’unica vera persecuzione, quella dell’Isis, è più politica che religiosa, e infatti riguarda anche tanti musulmani.
ZOOMLa Terra Santa giordana
La Giordania è terra cristiana fin dalle origini: in ogni suo sito archeologico – da Petra a Jerash, da Madaba ad Amman – non mancano chiese e monasteri bizantini, dei quali per lo più sono rimasti gli splendidi mosaici, a testimoniare una presenza continuativa dei seguaci di Gesù almeno fino alla conquista islamica del VII secolo. Il pellegrino cristiano che vi si rechi ha però anche ben altre mete, perché la Giordania è a tutti gli effetti Terra Santa: a est del fiume ci sono infatti alcuni siti, ben individuati, di cui parla tanto l’Antico quanto il Nuovo Testamento, e legati in particolare alla memoria di Gesù, di Giovanni il Battista, di Mosè e di Elia. Il luogo più famoso è certo Betania oltre il Giordano, primo guado del fiume risalendo dal Mar Morto, e quindi antico e frequentato punto di passaggio. Qui Giovanni predicava la conversione dei peccati, qui battezzava le folle, qui lo raggiunse il cugino, Gesù, per ricevere anch’egli il battesimo. Qui i cieli si aprirono e una voce dall’alto si udì, «Questi è il Figlio mio, l’amato», come raccontano i quattro evangelisti. Oggi, sul luogo, ogni chiesa cristiana ha il suo moderno edificio di culto (quello cattolico è ancora in costruzione), ma gli scavi archeologici hanno individuato le fondamenta di ben quattro fasi di chiese bizantine, ricostruite di continuo a causa delle devastanti piene del Giordano. Una scalinata monumentale si stacca dall’abside della basilica principale per scendere fino al livello dell’acqua, nel punto preciso che gli antichi ci consegnano come il luogo del battesimo di Cristo.
A un paio di chilometri di distanza ecco il colle di Elia, dal quale il profeta ascese al cielo su un carro di fuoco (2Re 2,11). Elia era nativo di queste terre: il pellegrino che si spingesse nel nord della Giordania, oltre Amman, nei dintorni di Ajlun, potrebbe visitare i resti del monastero bizantino costruito sul sito della sua nascita. Ancora più a nord la città di Gadara, dove Gesù liberò due indemoniati.
Risalendo dalla valle del Giordano verso l’interno del Paese, il luogo santo più degno di nota è il monte Nebo, dal quale Mosè ebbe la visione della terra promessa, prima di morire nelle sottostanti steppe di Moab. «Nessuno fino a oggi ha saputo dove sia la sua tomba» precisa il Deuteronomio (34,7), ed è ancora così, tant’è che sul Nebo è stato eretto il «memoriale di Mosè» al quale ebrei, cristiani e musulmani affluiscono. Sono i francescani della custodia di Terra Santa ad accogliere i pellegrini: il loro piccolo convento dà continuità al monastero bizantino del IV secolo, di cui rimangono in particolalre gli splendidi mosaici. Non molti chilometri più a sud ecco Macheronte, sito meno famoso ma suggestivo come pochi, perché rimasto cristallizzato alla situazione del 71 dopo Cristo, quando le truppe romane, dopo aver distrutto Gerusalemme, assediarono e abbatterono la fortezza in cima al colle, che era stata costruita da Erode il Grande. Nelle sale di questo palazzo abitarono Erode Antipa, Erodiade e Salomè; qui avvenne la sua famosa danza; qui venne imprigionato e poi decapitato Giovanni il Battista. È il suo Golgota.