Mary McAleese madre, moglie e presidente

Il «Messaggero» a colloquio con la presidente dell’Irlanda: come concilia i suoi doveri verso la famiglia con quelli della politica; i problemi e i progressi del suo Paese, ottenuti grazie all’Europa; l’infanzia nella violenta Belfast; la sua fede e la su
04 Marzo 2002 | di

 Dal 1997, Mary McAleese è presidente dell`€™Irlanda, l`€™ottavo della serie. Avvocato e docente di diritto, è nata nel 1951 a Belfast, ed è la prima presidente che proviene dalla tormentata regione dell`€™Ulster (Irlanda del Nord). È sposata dal 1976 con il dottor Martin McAleese, odontoiatra. Ha tre figli: Emma, ventenne, e i gemelli Giustino e SaraMai, diciasettenni.

Prima di nove fratelli, è cresciuta nel clima di violenza e di terrore del quale fu vittima la sua stessa famiglia. Laureata in legge nel 1973 nella Queen`€™s University di Belfast, è stata in seguito docente di Diritto penale e criminologia al Trinity College di Dublino, Irlanda; nel 1987 ha fatto ritorno alla Queen`€™s University di Belfast come direttrice dell`€™Istituto di studi legali e poi come vice rettore, la prima donna nella storia di quell`€™Università .

La McAleese è stata anche un noto volto televisivo, avendo lavorato a lungo come giornalista e presentatrice con la Radio Telefis Eireann. I suoi interessi sono rivolti ai problemi della giustizia, dell`€™uguaglianza, dell`€™inserimento sociale, contro il settarismo e per la riconciliazione. Il suo motto è «costruire ponti», non sui fiumi, ovviamente.

Ci ha accolti cordialmente all`€™àras an Vachtarà¡in (Palazzo presidenziale) dove l`€™abbiamo intervistata.

Msa. Mi pare che in Irlanda ci sia una presenza di donne in politica maggiore rispetto ad altri Paesi: alle elezioni presidenziali del 1997 su cinque candidati quattro erano donne. Uomini e donne, secondo lei, hanno un modo diverso di affrontare la politica?

McAleese. In Irlanda più donne in politica rispetto agli altri Paesi europei? Forse è esagerato. È vero comunque che le donne hanno fatto notevoli passi avanti negli ultimi vent`€™anni. Ma sono solo all`€™inizio del cammino. Dopo essere state per secoli confinate in casa, cominciano solo ora ad avere valide opportunità  nel lavoro e in politica. Come solo ora ci si sta accorgendo di aver scioccamente sprecato la grande risorsa di umanità  che Dio, nelle donne, ci ha donato, e quanto risulti importante per la nostra economia e il senso di sicurezza la loro presenza anche in posti direttivi.

Non credo si possa dire che uomini e donne hanno un modo diverso di affrontare le cose. Credo nell`€™unicità  e nelle capacità  di ogni persona e che ognuno abbia il proprio carisma e le proprie doti. Per troppi anni le qualità  intellettuali delle donne sono state soffocate mentre ancora ci sfugge tutta la loro potenzialità . Siamo probabilmente solo all`€™inizio di un processo che porterà  le donne a sviluppare compiutamente il loro potenziale, ciò avverrà  quando in una comunità  genio e immaginazione delle donne collaboreranno compiutamente con il genio e l`€™immaginazione degli uomini. Siamo ai primi passi, ma possiamo già  dire che il nostro successo economico e culturale degli ultimi vent`€™anni è dovuto anche al talento liberato delle donne.

È difficile essere insieme presidente, moglie e madre?

Non è facile! Ho tre figli, uno di vent`€™anni e due gemelli di diciassette. E ho sempre lavorato. Anzi, per un cerro periodo ero la sola a portare a casa lo stipendio perché mio marito, a trent`€™anni, decise di ritornare all`€™università  per specializzarsi in odontoiatria. Voglio essere onesta: tutto sommato, ho avuto una vita più facile di quella di mia madre, che ha allevato nove figli, e di mia nonna, che ne ha avuti dieci. Mia mamma ha sempre guardato con terrore a tutti i miei impegni, però se penso alla sua di vita, vedo che è stata più difficile della mia: quanti salti mortali, economici soprattutto, ha dovuto fare. E poi, non deve essere stato facile vivere in una città  come Belfast, dove le preoccupazioni economiche si accompagnavano al settarismo e alla violenza.

Per molti italiani, l`€™Irlanda è il Paese del verde, di un cattolicesimo all`€™antica, di un popolo cocciuto che lavora sodo e si ingolfa di birra. È così, in realtà ?

Penso che, come in tutti gli stereotipi, ci siano frammenti di verità  ma anche cose non esatte. L`€™Irlanda è uno stato unitario, ma io sono presidente di un Paese dalle molte fedi. Oltre ai cattolici `€“ maggioranza `€“ ci sono musulmani, ebrei, buddisti, battisti e protestanti delle varie confessioni. E anche non credenti. Con il tempo, poi, persone di diverse etnie si sono stabilite in Irlanda. Non siamo più il Paese omogeneo dello stereotipo, ma assai più variegato. Certo, siamo gente che lavora duramente, ne è prova lo straordinario progresso economico raggiunto negli ultimi vent`€™anni.

Siamo anche un popolo molto ospitale. La nostra esperienza storica, fino a tempi recenti, è stata di oppressione e colonialismo: non avevamo mai avuto l`€™opportunità  di dimostrare, nel nostro Paese, di che cosa siamo capaci. Gli irlandesi hanno dovuto girare il mondo `€“ America, Canada, Nuova Zelanda, Australia `€“ per avere modo di esprimere il loro genio e la loro fantasia e riceverne i dovuti riconoscimenti. La nostra generazione, invece, ha avuto l`€™opportunità  di esprimersi nel proprio Paese, ma lo deve anche all`€™impegno e alla generosità  di chi ci ha preceduto.

Chi è Dio per lei?

Dio per me è sorgente, guida, meta. È il centro di gravità , l`€™alimento della mia vita. Un posto in cui tornare per trovarvi saggezza, ispirazione, speranza e, quando ci vuole, il perdono.

C`€™è qualcosa in particolare per cui ringrazia Dio ogni giorno?

Come mi è stato insegnato nella mia infanzia, inizio e concludo ogni giornata ringraziando Dio per il dono della vita, per le gioie vissute, per la forza che mi ha dato nell`€™affrontare le difficoltà  e le tristezze che ogni giorno porta con sé. Di una cosa, in particolare, gli sono riconoscente: della fede. Non potrei vivere senza di essa: la mia vita sarebbe un`€™esperienza vuota.

Quali sono i problemi più pressanti con cui quest`€™anno dovete fare i conti?

Non siamo ancora riusciti a realizzare il principale obiettivo di una repubblica democratica che consiste nell`€™offrire a ogni persona la possibilità  di svilupparsi, eliminando tutti gli ostacoli strutturali e sociali che possono impedirlo. Ci stiamo provando e abbiamo fatto consistenti passi in avanti, anche se ancora molto cammino resta da fare.

Stiamo fronteggiando la crisi economica che ha coinvolto molti altri paesi. L`€™Irlanda è ben attrezzata per affrontarla: l`€™economia, grazie ai livelli di progresso raggiunti, è molto solida e per questo il sistema ne ha solo parzialmente risentito. Ma in tempi di difficoltà  bisogna avere un`€™attenzione particolare per i poveri perché non si sentano sospinti alla deriva.

Stiamo anche affrontando il problema del crescente numero di immigrati. Siamo sempre stati noi a dover emigrare e ci ha sorpreso che il nostro Paese sia diventato un`€™opportunità  per altri. Agli inizi la gente si è spaventata e le prime risposte non sono state tali da esserne fieri. Ma qualcosa è cambiato. La gente ha cominciato a rispondere in modo più cristiano e generoso. Ha colto nella presenza di persone con identità , cultura e religione diverse un`€™opportunità  di confronto e di arricchimento. È questa è una sfida nuova, che deve indurci ad aprire i nostri cuori all`€™accoglienza.

Che cosa pensano gli irlandesi dell`€™euro? Lo vedono come confusione o un modo per sentirsi più europei?

Un modo per sentirsi più europei, senza ombra di dubbio. Gli irlandesi sono da sempre europeisti convinti. La nostra storia si è sempre intrecciata con quella dell`€™Europa: molti Paesi conservano tracce del passaggio di un santo irlandese. Ma poi una delle grandi ironie della vita è che noi siamo sempre stati grandi amici di ogni Paese vicino, con la storica eccezione del più prossimo, la Gran Bretagna. Le ragioni sono ovvie. Ma ora, grazie al fatto che in Europa sediamo allo stesso tavolo, alla pari, con i nostri antichi dominatori le relazioni sono mutate con reciproco vantaggio. E così i due governi, lavorando in comune accordo sono riusciti a dare un decisivo contributo alla soluzione del problema dell`€™Irlanda del Nord.

Penso che il modo con cui è stato accolto l`€™euro sia molto costruttivo. Ho girato nei giorni in cui entrava in circolazione, per i negozi e in ognuno ho chiesto: «Come si trova con l`€™Euro? Cosa ne pensa?». Ho registrato grandi consensi e non una parola di lamento. Siamo riusciti a effettuare questo grande cambiamento monetario e culturale, senza conseguenze negative perché ci eravamo ben preparati. Poi la nostra mentalità  aperta e l`€™abilità  nel trattare i soldi hanno fatto il resto.

Pensa siano maggiori i vantaggi o gli svantaggi per l`€™Irlanda nell`€™essere membro dell`€™Unione europea?

Siamo entrati nell`€™Ue nel 1973. Prima eravamo un Paese molto povero e pensavamo che per proteggere la nostra cultura, la nostra identità , l`€™isolarci fosse il modo migliore. Poi abbiamo capito che l`€™isolamento ci stava condannando, invece, alla povertà . Dal 1973 siamo cambiati. Siamo un piccolo Paese, ma in piena salute. Abbiamo saputo difendere la nostra causa in Europa, ma abbiamo sostenuto anche gli interessi degli altri. E appoggiato l`€™allargamento della Comunità . Per questo motivo: l`€™Unione europea per il nostro Paese povero è stata una straordinaria opportunità  per crescere e vogliamo che lo sia anche per altri. Nella speranza che questo possa significare la fine di un`€™epoca storica segnata dall`€™odio e dalle guerre che li hanno visto l`€™uno contro l`€™altro.

L`€™Unione europea non è semplicemente un`€™idea simpatica, è un passaggio essenziale per chi crede che l`€™amore possa vincere l`€™odio. Credo che non avremmo raggiunto l`€™accordo del «Good Friday» (Venerdì santo), che ha segnato un punto di svolta nelle vicende dell`€™Irlanda del Nord, se non fossimo stati membri dell`€™Unione europea e se non lo fosse stata anche la Gran Bretagna. Credo fermamente che l`€™Europa sia il nostro destino, il nostro futuro.

Lei è la prima presidente nata nell`€™Irlanda del Nord. Il processo di pace in quella regione è cominciato nel 1998: crede che si sia raggiunto un compromesso duraturo?

Sta per raggiungerlo. L`€™accordo del 1998, detto del Venerdì santo («Good Friday») è stato la base sulla quale si potrà  costruire la pace, e ha messo alla prova la volontà  della gente, interpellata con un referendum ad accettarlo oppure no. La stragrande maggioranza ha detto di sì, impegnandosi a fare ciò che è possibile per la pace. La pace non si raggiunge solo attraverso la politica, c`€™è bisogno anche dei cuori, delle menti, delle mani, delle azioni della gente. È quello che sta succedendo oggi: stiamo cercando di cambiare in convivenza tollerante secoli di separazione e di odio.

Ci vorrà  tempo, ma penso che abbastanza gente si stia dando da fare perché succeda, convinta che solo la pace può assicurare un futuro. La nostra testimonianza potrà  servire da esempio a quei Paesi dove ci sono ancora tanti conflitti.

Lei è nata nell`€™Irlanda del Nord, la situazione di violenza ha influenzato la sua vita?

Ho vissuto a Belfast, in una località  chiamata Ardoyne, al centro delle cronache negli scorsi mesi per le cose terribili successe nella scuola di Holy Cross (Santa Croce). La mia casa era vicina a quella scuola e mia madre l`€™aveva voluta chiamare «Padua» in onore di sant`€™Antonio, del quale la mia famiglia era molto devota, anche perché in una casa con nove figli si perdeva sempre qualcosa e Antonio è appunto il Santo della cose smarrite.

Alla fine degli anni `€™70, qualcuno ha mitragliato la nostra casa: era l`€™8 dicembre, festa dell`€™Immacolata. Fummo costretti nel giro di 24 ore ad abbandonarla. In quell`€™attentato, grazie a Dio e a sant`€™Antonio, non ci fu neppure un ferito. L`€™episodio lasciò in noi il segno, anche se ne siamo usciti spiritualmente intatti: non ci siamo lasciati prendere dal desiderio di vendetta. I genitori con grande fatica cercarono di tenere unita la famiglia. Penso che sant`€™Antonio abbia sempre mantenuta desta nei nostri cuori la speranza. Siamo cresciuti ascoltando il racconto della sua vita. Vengo da una famiglia di profonda fede, dove si pregava molto. Ci sentivamo sfidati da chi ci odiava solo perché eravamo cattolici, credo che abbiamo risposto diventando più caritatevoli, più tolleranti, più aperti. Forse è il dono che sant`€™Antonio ha fatto alla nostra casa.   

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017