«Me non voglio che Dio mi guarda!»

Martina, così risponde alla nonna che le parla di Dio. E voi, che cosa le ribattereste? A lanciare la provocazione sono gli autori dell'articolo, che, a partire da questo numero, si avventurano nel difficile campo del comunicare la fede ai piccoli.
23 Dicembre 2004 | di

La nonna tiene per mano la piccola Martina di quattro anni, mentre la accompagna alla scuola materna; la piccola è sempre entusiasta di essere accompagnata dalla nonna e rinuncia perfino ad andare a scuola in auto con la mamma; chissà , quel tratto di strada con una nonna tutta per lei è un buon viatico per la giornata di scuola materna. Fatto è che nonna e nipotina hanno un loro rituale, cui ambedue tengono tantissimo: prima una preghierina al Signore e poi una storia, giusto giusto fino alla porta della scuola (i genitori di Martina conoscono bene e approvano queste sane abitudini).
Ma quella mattina di primavera, già  adornata dal primo pallido sole, nonna attacca come al solito: Ciao Signore! Buon giorno! Tu ci guardi sempre.... Ma Martina è muta, non fa eco alle parole della nonna; anzi, di lì a un secondo dichiara con la sua vocetta squillante: Me, non voglio che mi guarda!.
Cosa farà  ora la nonna? Che cosa risponderà  alla piccola apprendista atea?

Parlare di Dio ai bambini

La domanda ci colloca nel bel mezzo dei significati dell'educazione religiosa del bambino. Essa è un compito prezioso e insostituibile che ha il suo luogo elettivo nella famiglia. Come vedremo fra breve, in famiglia si fa educazione religiosa anche quando non ce ne accorgiamo, anche quando pare l'ultimo degli intenti o perfino quando viene negata. Il bambino per il quale si è chiesto il Battesimo e che poi, a partire dalla terza elementare, viene incanalato alla preparazione ai sacramenti della Confessione e dell'Eucaristia, ha già  una sua educazione religiosa più o meno esplicita, più o meno corretta, più o meno distorta. Ed è bene che la comunità  cristiana, in particolare gli addetti ai lavori, cioè preti e catechisti, ne tengano conto, non pretendano di cominciare da zero, anche quando si trovano davanti a piccoli analfabeti che non sanno le preghierine. La catechesi dovrebbe, al contrario, esplorare quale idea di Dio abita già  la mente dei bambini e man mano convertirli (conversione che riguarda proprio tutti, specialisti e genitori compresi!), dalle loro idee inadeguate di Dio. E questa è, da una parte, l'avventura della vita e, dall'altra, l'avventura della Rivelazione, la passione di Dio di farsi conoscere, incontrarci, svelarci a poco a poco il suo Mistero.
È per questo che noi identifichiamo l'educazione religiosa anzitutto con un parlare di Dio ai bambini; impresa tutt'altro che facile, perché cozza con il nostro egocentrismo di adulti e con mal digeriti catechismi della nostra infanzia e della nostra adolescenza. Eppure, è un percorso interessante, ricco di sorprese e di incoercibile gioia: quando si scopre che questi piccoli figli di Dio ci prendono quasi per mano a riscoprire Dio e, nel contempo, rispondono al legame che si crea tra chi parla di Dio in maniera nuova, coinvolgente, sorprendente. Sarà  l'avventura della nostra rubrica per tutto quest'anno: come parlare di Dio ai nostri figli, bambini e adolescenti.
Ma ora occupiamoci della storia della nostra nonna, rimasta interdetta dalla dichiarazione della piccola Martina di non voler essere guardata da Dio. Sarebbe interessante che i lettori immaginassero in proprio una risposta possibile, così da accompagnarci sulla propria pelle nel trovare la risposta adeguata per la piccola di quattro anni.
Immaginiamo dunque le possibili risposte della nonna e scaviamo nel loro valore di trasmissione della fede. Ecco una prima risposta: Ma, Martina, il Signore ti guarda sempre, anche se tu non vuoi!. Può anche aggiungere: Ti guarda con amore, guarda tutti con amore, non smette mai di guardarci. Se smettesse di guardarci,precipiteremmo tutti nel nulla, nella morte, eccetera eccetera. Percepiamo subito che una simile risposta è teologicamente competente, perfino filosofica: si basa sulla necessità  di Dio per il mondo. E sulla Sua onnipotenza buona: nulla sfugge al suo amore, al suo sguardo che ci fa vivere. Quindi, volente o no, Martina è guardata da Dio. Come a dire, si rassegni!
Ma siamo sicuri che questa sia la risposta giusta per una piccola figlia di Dio di quattro anni, che già  pone il suo io di fronte a Dio? Se la nonna finisce la preghiera, dopo questa bella dichiarazione, e poi passa alla storia, la piccola forse non reclamerà . Ma le rimarrà  il sapore di essere impotente davanti a Dio, di non poterci fare niente, come non può farci niente un sasso che ruzzola giù da una montagna: lei è soltanto qualcosa di determinato, voluto, nonostante lei. Non è un piccolissimo tu davanti a Lui. Ma Dio non difenderebbe così se stesso, di fronte a questa piccola impertinente; è teologicamente vero che nulla sfugge al Suo sguardo, ma quel piccolissimo tu che è Martina (ciascuno di noi) è per lui così importante che è disposto a ritirare, per così dire, la Sua onnipotenza per amore di lei. Perché, magari domani, al di là  di quello che sembra un capriccio momentaneo, lei possa dire: Voglio che mi guardi.
In altre parole, la nonna annuncerebbe un Dio che se ne sta solo nella Sua onnipotenza e la lascia sola!

Il Dio ragioniere

Una seconda risposta della nonna potrebbe suonare: Ma cosa dici?! Non essere cattiva con Dio! Come puoi non volere il suo sguardo? Hai qualcosa da nascondere? Chiedigli subito perdono!. Dallo spavento della nonna potrebbero venire anche risposte più dure, sul tono della minaccia: Se non preghi, Dio non ti aiuta. Se ti rifiuti di dire la preghierina... oggi ti andrà  tutto storto! Oppure la nonna potrebbe far finta di non aver sentito l'esclamazione della piccola, giudicandola soltanto come un puntiglio, un atto di malumore e continuare imperterrita a dire la preghiera. Potrebbe perfino, Dio non voglia, non raccontarle più la storia come castigo.
Questo secondo tipo di risposta (anche senza tutte le aggravanti che vi abbiamo aggiunto) nasce da una preoccupazione moralistica: l'unico rapporto con Dio è quello del conteggio delle colpe. Dio è il più potente dei ragionieri e gli interessa soltanto far quadrare i conti: vedere se hai ragione o torto, se sei colpevole o innocente, se hai qualcosa da nascondere (cosa impossibile al suo sguardo!), se meriti o non meriti il suo aiuto. A un Dio così bisogna, ad ogni buon conto, chiedere perdono, anche quando non si è coscienti di che cosa farsi perdonare: proprio come dovrebbe fare Martina, la quale ha offeso un grande Padrone ed è meglio chiedergli scusa, non importa se l'ha fatto o no apposta. Quale Dio annuncerebbe dunque la nonna? Un Dio da tener buono, con cui fare i conti, davanti al quale stare con il grembiulino bianco senza macchia. Ma anche un Dio ridotto a impotenza: se proprio ho il grembiulino tutto bianco, Tu mi sei debitore, poiché ti ho obbedito. Proprio il Dio della preghiera del fariseo. Tutti i moralismi (più o meno ben intenzionati) finiscono lì.
Ma qual è stata la risposta della nostra nonna? Eccola, nella sua immediatezza: Secondo me, là  dietro le nuvole, Dio si sta girando per un attimo dall'altra parte per non guardarti!, e ride divertita per questo piccolissimo tu che osa decidere se essere o no guardato da Dio. E Martina, subito: Dopo mi guarda ancora, però!. Quale Dio ha annunciato la nonna? Un Dio colmo di rispetto per i suoi figli che guarda con amore, ma non pretende che essi si arrendano subito a questo amore, che lo capiscano subito. È così onnipotente da essere impotente per amore: Sto alla porta e busso.
Martina è molto fortunata, poiché il Dio che abita nel cuore della nonna è un Dio il cui giogo è soave e leggero, un Dio di cui lei può interpretare il riso, la gioia, la danza. In una qualsiasi mattina, sulla strada per la scuola materna, quel Dio parla nel loro legame.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017