Messaggero di dignità
A partire da questo numero, prende avvio una nuova serie di pagine dedicate ai Sermoni di sant’Antonio, che avranno come tema conduttore il rapporto tra il Santo e alcune «categorie» di cui egli ha parlato. Cominciamo dall’«uomo».
Frate Antonio stava a suo agio con tutti, per strada come in confessionale o sul pulpito, diversamente dall’antico filosofo Seneca che confessava un pochino amaramente: «Ogni volta che sono stato in mezzo agli uomini, sono ritornato meno uomo». Essere uomo di Dio non precluse ad Antonio di essere «uomo dell’uomo». Discepolo autentico di Francesco, sant’Antonio volle vivere accanto alle fasce più umili e povere del suo tempo, facendo proprie le sofferenze e le contraddizioni in cui il povero e il debole gemevano abbandonati alla prepotenza dei forti. E vide da vicino peccatori di ogni tipo e di ogni categoria sociale, noncuranti e ostinati, resi meno umani dai loro stessi comportamenti.
Sappiamo che Antonio donò tutto se stesso per restituire a chiunque lo accostasse la sua originaria immagine e somiglianza con Dio, e per aprire i cuori alla buona novella: «L’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio: immagine per la conoscenza della verità, somiglianza per l’amore alla virtù» scrive il Santo.
Sant’Antonio è stato ed è un santo empatico, capace di «mettersi nei panni degli altri», nelle situazioni degli uomini e delle donne di ogni epoca. Egli intuiva subito i drammi spirituali di chi si avvicinava a lui, a iniziare dal peccato rispetto al quale il rimedio perorato con calore era la confessione fatta al sacerdote (sacramento che sant’Antonio chiamava «casa di Dio», perché Dio è essenzialmente perdono). Infatti, come dice sant’Agostino, «L’uomo quando pecca diventa un nulla; ma quando, per mezzo della grazia di Dio, si converte e fa penitenza, viene creata in lui una nuova creatura, cioè una nuova e pura coscienza».
La coscienza del peccato è esperienza dolorosa di una perdita profonda, una vergognosa «nudità» simile a quella di Adamo disobbediente. Lo spiega bene il Santo: «Il genere umano era povero perché spogliato dei doni gratuiti di Dio e danneggiato nella sua natura: si trovava in questa condizione senza che nessuno gli prestasse aiuto». Ma ecco l’assoluta novità: «Venne Cristo, gli fu vicino, lo aiutò quando gli perdonò i peccati». Senza Gesù Cristo, senza la sua vicinanza – cioè il suo perdono – l’uomo è come spento, non esiste più, è controfigura di se stesso. Antonio ci assicura che il perdono dei peccati ci rimette in pista, ci ricrea, fa rinascere l’umano in noi. Ma il Santo empatizza anche con i nostri problemi più «materiali»: la salute, le perdite di vario tipo, l’ingiustizia subita, le situazioni più disperate. E allora ecco le «grazie» che Antonio ottiene da Dio: momenti di sollievo, di trasparenza dell’amore che ci ha creati, che non alienano dal presente, ma che invece evidenziano la dignità del genere umano e la sua altissima destinazione.
«Benché l’albero, cioè il corpo dell’uomo, venga tagliato dalla scure della morte, sia invecchiato, decomposto nella terra e ridotto in polvere, tuttavia l’uomo deve avere la speranza che esso rifiorirà, cioè risorgerà, e che le sue membra ricresceranno» (Sant’Antonio, La risurrezione del Signore). Quanto sono importanti in ogni tempo i «messaggeri» come Antonio che hanno una visione così incoraggiante della vita e del senso di tutto, e che in ogni frangente leggono tutta la storia umana in termini positivi, verso beni più grandi! «La primitiva condizione dell’uomo nel paradiso terrestre fu la possibilità di non morire: ma a causa del peccato gli fu comminata la pena di non poter non morire; ora – continua il Santo – nell’eterna felicità gli rimane il terzo modo di essere: non poter più morire». Grazie Antonio! Questo è l’uomo, questo ci interessa.