Mezzo secolo accanto ai migranti
«Un viaggio in treno che percorre il suo itinerario tra tunnel, quadri rapidi di buio e schiarite, laghi limpidi e profondi, vette e abissi... immagini di quella piccola porzione di terra, là dove siamo nate come missionarie secolari scalabriniane, e che portiamo sempre nel cuore». Così Adelia Firetti, fondatrice dell’Istituto delle missionarie secolari scalabriniane, ricorda al contempo il suo primo viaggio in Svizzera nel 1961 e la storia altalenante e intensa del nostro istituto. È da quell’anno, infatti, che ha preso avvio il nostro cammino: cinquant’anni intensamente vissuti, che abbiamo celebrato proprio nel corso del 2011. L’Istituto, sorto nel solco della spiritualità scalabriniana 56 anni dopo la morte del beato Giovanni Battista Scalabrini, nacque a Solothurn in Svizzera, il 25 luglio 1961, ricevette l’approvazione della Chiesa nella Pentecoste del 1967 e l’erezione definitiva a Istituto secolare nel giorno di Pasqua del 1990.
Negli anni ‘60 la Svizzera, data la sua crescita economica, aveva registrato un boom di manodopera straniera, rappresentata per quasi il 50 per cento da migranti italiani stagionali. Le autorità elvetiche, su pressione di alcuni gruppi economici, avevano cominciato a concedere anche permessi di soggiorno a lunga scadenza, aprendo la possibilità ai ricongiungimenti familiari. A Solothurn, i missionari scalabriniani intendevano avviare una scuola per i figli degli emigrati e inviarono in Italia lettere ai loro confratelli per trovare un’insegnante.
Una giovane di Piacenza, Adelia Firetti, si rese disponibile a partire per iniziare la scuola, giungendo a Solothurn il 22 luglio 1961. Così Adelia ricorda l’inizio di quell’esperienza: «Quel sabato quando, verso sera, arrivai alla missione cattolica italiana di Solothurn, portavo nella valigia un bagaglio di piccolezza insieme al desiderio di un’esperienza nuova… Mi accompagnava, soprattutto, la ricerca di vivere la mia fede e l’amore di Dio in un servizio agli altri». La scuola progettata dai missionari, tuttavia, non poté essere aperta a causa di difficoltà intervenute da parte dell’autorità consolare. Ad Adelia rimaneva la scelta di tornare subito in Italia o di fermarsi rendendosi disponibile per altri compiti nella missione. In effetti, la realtà dura dell’emigrazione italiana di allora richiedeva una molteplicità di servizi e di interventi ed erano necessari tanti collaboratori.
Storia di una chiamata
Adelia scelse di restare: «I missionari scalabriniani, con un instancabile impegno, cercavano di costruire ponti di collaborazione tra italiani e svizzeri, tra migranti del nord e del sud, oltre ogni discriminazione. Povertà, sacrificio e solidarietà erano il passaporto per superare frontiere di ogni tipo. Mi erano di grande testimonianza... Oggi vedo che Qualcuno faceva la mia storia e mi portava, attraverso tunnel più o meno lunghi, in una terra nuova che non era solo geografica. Solothurn per me voleva dire missione, spirito scalabriniano, emigrazione. Una realtà che progressivamente mi apparteneva e diventava la mia pelle».
Non le fu subito tutto chiaro: l’unica certezza era una forza «strana» che le intimava di restare. «Ricordo che, appena arrivata, proprio di fronte a un futuro che si chiudeva alle mie aspettative, intuivo che la scelta che dovevo fare era quella di radicarmi in un rapporto più profondo di fede con Dio, dal quale attendere quel futuro per cui volevo spendere la mia vita. Un martedì a pochi giorni dal mio arrivo, prima di entrare nella mensa per il servizio del mezzogiorno, mi avviai rapidamente nella chiesetta dello Spirito Santo... Era il 25 luglio. Un insieme di sentimenti, tra la paura e la fiducia, mi attraversavano. Dio che mi aveva portata fin lì mi faceva cogliere, nella mia stessa esperienza, la sua fedeltà e il suo amore di misericordia attraverso il suo Figlio crocifisso e risorto. In quel momento di preghiera gli dissi il mio “sì”, consegnandogli totalmente la vita… Il mio sì, questo voto segreto, divenne il mio punto di riferimento e la mia speranza: capiti quel che capiti, poteva capitarmi tutto, ero consegnata a Dio e per sempre. Questa luce era la mia forza, mi ero messa nelle sue mani e sperimentavo che la gioia cresceva in me e che la potevo comunicare nella condivisione a quanti incontravo, semplicemente...».
Ad Adelia si unirono altre giovani, prima italiane e in seguito di altre nazionalità. Si andava formando una comunità missionaria, un cammino che procedeva anche in collaborazione con i missionari scalabriniani e con la Chiesa locale – la diocesi di Basilea –, particolarmente accogliente nei confronti dei migranti e, non di meno, di questo nuovo carisma. Non mancarono anche forti opposizioni e ostacoli, che sembravano talora interrompere la strada, ma la speranza non venne mai meno e, di fatto, provvidenzialmente la comunità continuava a svilupparsi.
Dalla Svizzera al mondo
Nonostante i nostri limiti, in questi 50 anni il cammino missionario sui passi dei migranti ci ha portato da Solothurn in altre città d’Europa: Stoccarda, Milano, Basilea, Roma, e oltreoceano a San Paolo e Belo Horizonte in Brasile e a Città del Messico, dove viviamo in piccole comunità internazionali. La stessa emigrazione ci ha condotto verso frontiere sempre nuove: dagli emigrati italiani in Europa ai migranti interni e agli indocumentados latino-americani in Brasile; dai turchi musulmani in Germania ai lavoratori migranti europei (per esempio i portoghesi) offerti a un mercato del lavoro sempre più mobile e precario, agli immigrati extra-europei in Italia, ai profughi e rifugiati di ogni continente, agli irregolari e ai richiedenti asilo respinti e in attesa di espulsione a Città del Messico così come in Svizzera, ai cristiani in fuga dalle persecuzioni, agli studenti stranieri.
Attualmente le missionarie sono di nove nazionalità diverse (Italia, Francia, Germania, Brasile, Australia, Svizzera, Paraguay, Slovacchia e Messico). La nostra consacrazione secolare ci porta a vivere e a operare nei campi più diversi, in contesti fortemente segnati dalla presenza di migranti e rifugiati: in ambito pastorale, scolastico e universitario, socio-pedagogico, sanitario, giuridico, artistico, dei mezzi di comunicazione, della ricerca sociale internazionale sulle migrazioni e in quella scientifica. Ispirandoci all’intuizione profetica di Giovanni Battista Scalabrini, che ha saputo intravedere nel fenomeno delle migrazioni una via di unificazione della famiglia umana in Cristo, sentiamo l’urgenza di annunciare a tutti che è possibile vivere relazioni nuove nell’accoglienza e nella comunione tra le diversità, frutto dell’amore crocifisso e risorto di Gesù, a cui possiamo attingere in modo particolare nell’Eucaristia.
Per allargare questa esperienza a tanti, sono sorti i Centri internazionali di formazione: a Solothurn, Milano, San Paolo, Città del Messico, come già a Stoccarda il Centro di spiritualità per giovani dei missionari scalabriniani. Essi offrono incontri aperti a tutti, in particolare ai migranti e ai giovani, per una formazione che intende favorire l’accoglienza di ogni persona, migrante o autoctona, nella sua diversità, e la crescita della dimensione cattolica, cioè universale della nostra fede.
Momenti culminanti del nostro 50° anniversario sono stati il pellegrinaggio di tutte le missionarie a Roma con l’udienza dal Papa, la Scalabrini-Fest di primavera a Solothurn con 400 partecipanti di 33 Paesi differenti, e l’incontro delle Direzioni generali dei tre Istituti della famiglia scalabriniana a Solothurn: occasioni per esprimere il nostro grazie a Dio e a tutti gli amici che hanno accompagnato la nostra storia e che continuano a contribuire a un mondo più accogliente e ospitale per tutti.