Migranti senza valigia

Il responsabile scientifico dell’Istituto Ricerche Educative e Formative illustra i risultati dell’indagine commissionata dal CGIE ed eseguita con l’Università La Sapienza di Roma su 429 giovani italiani che vivono all’estero.
19 Ottobre 2004 | di

Bettero. Qual";è l";idea portante della ricerca?      Caltabiano . È un viaggio planetario tra i giovani italiani tra i 18 e i 35 anni, che vivono all";estero. L";indagine è durata 2 anni e ha toccato quattro continenti, coinvolgendo in ultima analisi 15 Paesi: Europa (Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera e Belgio); America del nord e del sud (Canada, Stati Uniti, Venezuela, Uruguay, Brasile e Argentina); Africa (Tunisia, Marocco e Sud Africa); Oceania (Australia). Colgo qui l";occasione per ringraziare il Cgie e la Direzione generale degli Italiani all";Estero del Ministero degli Affari Esteri che hanno sostenuto e promosso, sin dal principio, questo complesso progetto di ricerca.
L";indagine ha cercato di esaminare il vissuto dei giovani italiani all";estero. Abbiamo distinto fra due tipologie di giovani: da una parte i discendenti, le terze e quarte generazioni, che sono all";estero perché i loro genitori o i loro nonni vi emigrarono nel dopoguerra. Il rapporto che questi giovani stabiliscono con l";Italia rientra perlopiù nella sfera culturale, visto che l";esperienza migratoria l";hanno compiuta altri: i loro genitori o i loro nonni. Quindi i  discendenti  hanno una relazione «mediata» con la madrepatria italiana; un legame che si sviluppa attraverso due processi: la trasmissione della tradizione "; da parte della famiglia "; e la rielaborazione di una cultura specifica, agita in prima persona dal giovane discendente. Trasmissione significa che io recepisco passivamente questa esperienza migratoria. Rielaborazione vuol dire che la faccio mia e gli attribuisco nuovi significati.
E, poi, abbiamo la seconda tipologia di giovani: i neo-emigrati. Questi ragazzi o giovani-adulti espatriano oggi, ripercorrendo spesso le rotte dell";emigrazione del dopoguerra, seppure con motivazioni e progetti di vita diversi rispetto al passato. Quindi, il loro rapporto con l";emigrazione è caratterizzato dall";esperienza diretta: i neo-emigrati si spostano verso un nuovo Paese e vivono le tappe rituali dell";epopea migratoria: la partenza dall";Italia, l";arrivo nel paese ospite, l";inserimento, spesso difficile, nella società  d";accoglienza. Ma lo fanno nell";era della globalizzazione: un periodo molto diverso dal dopoguerra.
Che generazione ha fotografato il vostro studio?
Quando parliamo di nuova generazione, mettiamo a confronto le nuove emigrazioni con quelle del dopoguerra. Oggi i giovani, siano essi neo-emigrati o discendenti, sono accomunati da problemi simili? Intravedono le stesse opportunità ? Hanno una visione comune della realtà ? A mio modo di vedere, questi punti di contatto fanno dei giovani una nuova generazione, al di là  delle differenze dei contesti nazionali. Allora, istituendo questo confronto con il passato, con la vecchia emigrazione, i giovani sul piano cognitivo, ma anche sul piano comportamentale, concepiscono innanzitutto l";esperienza migratoria come un";esperienza reversibile. La reversibilità  dei progetti di vita è un tratto distintivo di questi giovani. Non sto parlando di chi fa lo stage di 6 mesi a Bruxelles, ma sto parlando di quei giovani che sono emigrati all";estero da due o tre anni, o di giovani oriundi.
Sono stato personalmente in Venezuela; ma siamo stati anche in Argentina e in Uruguay. Questi Paesi latinoamericani vivono una crisi economica profonda. Tra i giovani si parlava di rientro. Un rientro che, a giudicare dalle interviste, non è limitato solo all";Italia. Si sente parlare anche della Spagna, oppure di acquisire il passaporto per andare negli Stati Uniti o per circolare liberamente nell";Unione europea.
Ci sono poi anche i «giovani nomadi»: quelli che non hanno problemi economici o che comunque hanno alti livelli di professionalità . Sono i «giovani senza valigia», e non solo perché usano il computer portatile ed hanno un bagaglio di competenze immediatamente spendibile nel mercato del lavoro del Paese in cui approdano. Un esempio? I neo-emigrati che fanno parte del circuito delle istituzioni dell";Unione europea. Ebbene, questi giovani criticano l";Italia perché, in patria, non hanno trovato adeguati spazi all";interno del mercato del lavoro. Oggi vivono a Bruxelles, domani potrebbero spostarsi in Cina o negli Stati Uniti. Sono appunto dei nomadi, si sentono cosmopoliti: si lasciano trasportare dal vento dell";innovazione sociale ed economica. 
La situazione però non è sempre così florida...
Potrei parlare dei giovani che vivono in Inghilterra, e che non sono qualificati dal punto di vista professionale. Certo, alcuni di loro lavorano nella City, ma tanti altri sono allo sbando: fanno lavoretti qualsiasi pur di sopravvivere a Londra. Comunque, anche tra i giovani che abbiamo intervistato negli Stati Uniti, nei college, ci sono problemi di adattamento allo stile di vita americano. Ma potrei anche citare il caso dei giovani della Louvriere, in Belgio. Questi discendenti vivono nelle aree dove, un tempo, i padri o i nonni  facevano i minatori. Oggi le miniere sono state chiuse. I figli e i nipoti dei minatori sono perlopiù operai metalmeccanici; quindi, non hanno compiuto un percorso di mobilità  sociale ascendente. Rimangono in Belgio, senza prospettive di sviluppo professionale; guardano all";Italia con un senso di nostalgia. Allo stato attuale non hanno un progetto di rientro. Domani chissà ?  
Com";è cambiata l";emigrazione rispetto al passato?
Le emigrazioni del dopoguerra erano dettate da quella che un sociologo algerino ha definito «la doppia assenza». L";emigrante avvertiva un doppio sradicamento: abbandonava la terra d";origine e si sentiva ingombrante e diverso nel luogo d";arrivo. La distanza culturale tra la madrepatria e il contesto d";immigrazione era abissale. Oggi, invece, viviamo in un mondo in cui, oltre alla mobilità  geografica, c";è un interscambio costante di idee, di cognizioni, di cultura. I giovani italiani all";estero, essendo più istruiti e «tecnoabili» rispetto ai loro avi-emigranti, sono compresenti dal punto di vista culturale. Una compresenza che trae alimento dal «Villaggio Globale»: i media, digitali e analogici, facilitano la comunicazione a distanza, avvicinando i modi di vita "; in precedenza slegati "; di coloro che vivono all";estero. In particolare, la madrepatria non è più la terra mitica di un esodo senza ritorno. Nella vita d";ogni giorno, essa ricompare attraverso un flusso di notizie, immagini, messaggi interattivi e suoni che vengono incessantemente messi in circolo da Internet e dalla televisione. A certe condizioni, ci si può sentire a «casa» anche quando si dimora a migliaia di chilometri di distanza dal Paese d";origine.
I giovani d";origine italiana che vivono all";estero sono poi riflessivi rispetto alla tradizione da cui provengono. Posso chiarire questo concetto con un caso concreto. I viaggi in Italia, compiuti dai giovani di terza e quarta generazione, possono apparire come una visita nel «paesello» d";origine dei genitori. In realtà , sono fenomeni d";apertura culturale. Immagini un giovane che ha sentito parlare dell";Italia solo dai suoi genitori. Quando torna in Italia non trova «quell";Italia». Magari è cresciuto in una grande metropoli come New York, Buenos Aires o Sidney; quando entra in contatto col microcosmo «arretrato» della terra dei padri, avverte una condizione di restrizione. Molto spesso questa sensazione di disagio fa sì che il giovane ricostruisca il significato dell";Italia. Insomma, quando i giovani visitano la madrepatria fissano il loro sguardo sui simboli della modernità , non sulle tradizioni regionalistiche che gli hanno trasmesso i loro genitori. 
A questi giovani cosa interessa dell";Italia di oggi?
Sono interessati alle città  d";arte, ai centri produttivi, ai luoghi dell";innovazione culturale. Nel corso delle interviste, alcuni di loro ci chiedevano dell";Italia dei «distretti industriali». Che significa? Vuol dire che è in atto un cambiamento profondo; un cambiamento che, per certi versi, modifica anche il legame dei giovani con le reti associative degli italiani all";estero.
Può chiarire questo aspetto?
Dall";indagine si ricava, innanzitutto, che i giovani, neoemigrati e discendenti, esprimono  un sentimento di  distacco nei confronti delle reti associative della diaspora italiana "; si pensi alle associazioni regionali, ma non solo. Questi giovani non frequentano tali spazi associativi. Per chiarire il  problema è necessario fare un passo indietro: che cosa spingeva le prime e le seconde generazioni ad aggregarsi nelle associazioni regionali? L";automatismo del riconoscimento: mi riunisco con altre persone perché ho condiviso con loro l";esperienza dello sradicamento da un luogo d";origine. A ben vedere, i padri si ritrovano ancora oggi nelle associazioni regionali perché sono sintonizzati su un";esperienza comune che, tra l";altro, hanno vissuto in prima persona. Questo è un meccanismo potente d";aggregazione che, tuttavia, non agisce sui giovani italiani oltre confine. Del resto, le nuove generazioni non hanno vissuto in prima persona l";emigrazione, in quanto discendenti, oppure la vivono da protagonisti ma in condizioni totalmente diverse: i neo-emigrati. Quindi non frequentano queste associazioni perché non le trovano rispondenti ai loro interessi e ai loro bisogni sociali. Nella nostra ricerca abbiamo intervistato i leader delle organizzazioni regionali. Ed hanno pienamente riconosciuto tale problema. Insomma, occorre ridefinire gli obiettivi delle associazioni regionali. Il richiamo delle origini: la sagra del paese, il santo patrono, ecc., non sollecita l";interesse dei giovani. Occorre prenderne atto. I giovani chiedono due cose alle associazioni: che queste operino nella sfera occupazionale, cioè che svolgano un";azione d";intermediazione, di «facilitazione», rispetto al mercato del lavoro; e questo in senso bi-direzionale: in Italia e nel Paese d";adozione. Ad esempio, le nuove generazioni sono interessate al trasferimento delle esperienze da parte delle generazioni precedenti di emigranti; o alla possibilità  di svolgere dei periodi, più o meno prolungati, di tirocinio in Italia. Un secondo aspetto fondamentale riguarda la cultura, intesa come patrimonio materiale e simbolico di un determinato gruppo sociale. I giovani vogliono conoscere l";Italia attuale, vogliono sapere cosa succede oggi nella cinematografia, nell";arte, nella letteratura, nell";economia, nella musica. E questo apre uno scenario molto importante anche sul fronte delle politiche dell";informazione. I giovani non richiedono solo notizie estemporanee sulla madrepatria; queste informazioni-lampo le possono reperire navigando su Internet. Vogliono, piuttosto, un dibattito su questi temi; desiderano approfondire gli argomenti per capire meglio cosa avviene in Italia. Teniamo conto che questa è una generazione tecno-abile e più istruita rispetto a quella del passato.
In definitiva, cosa conta davvero per i giovani?
Oggi per inserirsi sia in Italia che all";estero con un";esperienza migratoria reversibile, quello che conta è il capitale sociale e culturale. Ma questi giovani non devono essere lasciati soli nell";esperienza della mobilità . E qui, forse, c";è uno spazio e un lavoro da fare per le associazioni degli italiani all";estero, che sono radicate nei Paesi d";emigrazione e che possono intercettare le inedite domande di riconoscimento espresse dal mondo giovanile. La ricerca che ho presentato è un buon punto di partenza per comprendere quali siano le aspirazioni dei giovani; in definitiva, in ogni Paese abbiamo raccolto le storie di vita della nuova leva dell";emigrazione italiana. Si tratta di un materiale prezioso per orientare le politiche associative. I giovani hanno parlato liberamente nelle interviste. Attraverso l";indagine abbiamo raccolto le loro testimonianze autentiche. Si tratta ora di farle uscire dagli scaffali e di utilizzarle per alimentare un dibattito che coinvolga gli stessi giovani.
Per questo motivo, assieme al CGIE e al Ministero degli Esteri, abbiamo deciso di pubblicare i rapporti della ricerca. Un primo volume sintetizzerà  i risultati dell";indagine a livello internazionale. Dovrebbe essere pronto in libreria entro la fine dell";anno e presentato in Italia. In seguito, verranno anche pubblicati i rapporti dei singoli paesi: 15 studi monografici a livello nazionale. In sostanza, ci proponiamo di ritornare in ciascuno dei Paesi in cui abbiamo condotto lo studio per avviare un dialogo costruttivo con i giovani e con i responsabili delle reti associative degli italiani.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017