Mio fratello sta a Sud

La soluzione al problema del debito non grava solo sugli stati, ma anche sugli stili di vita. A nostra disposizione le vie del commercio e della finanza etica. Una possibile rivoluzione dell’economia, pilotata dal basso.
03 Marzo 2000 | di

Il debito estero dei paesi poveri è un paradosso. I poveri, infatti, non possono essere indebitati per il semplice motivo che nessuno fa loro credito. Secondo l`€™Undp, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, il 20 per cento più ricco della popolazione mondiale genera l`€™80,6 per cento del risparmio mondiale, ma ottiene il 94,6 per cento del credito complessivamente erogato nel mondo. Il miliardo e oltre di persone che costituisce il 20 per cento più povero conta, invece, appena per lo 0,2 per cento nel mercato mondiale del credito, pur producendo l`€™1 per cento del risparmio globale. È a partire da questo paradosso che si sviluppano le proposte «dal basso» alternative alla trappola del debito».
In primo luogo, occorre intaccare quella fonte di indebitamento perenne che è lo squilibrio commerciale Nord-Sud. Ogni anno il valore delle importazioni dei paesi in via di sviluppo supera il valore delle esportazioni (petrolio compreso) di qualche decina di miliardi di dollari, e questo deficit di per sé produce nuovi debiti. Che si esporti caffè o microchips non fa molta differenza: il problema non sta nei prodotti, ma nei processi di produzione ed esportazione. Sui processi tenta di intervenire, ormai da una buona trentina d`€™anni, il movimento del commercio equo e solidale.
Contro il mercato selvaggio
Nato in Olanda alla fine degli anni `€™60, oggi ha un giro d`€™affari su scala internazionale di 600 milioni di euro, di cui 20 milioni di euro in Italia. In valore è ancora poco rispetto ai volumi del commercio globale, ma nel Sud del mondo sono coinvolti in questo circuito 1 milione 200 mila produttori tra coltivatori e artigiani, cioè 6-7 milioni di persone, considerando le famiglie. Il commercio equo applica nuove regole alle transazioni commerciali: il prezzo dei prodotti deve essere tale da garantire una remunerazione dignitosa ai produttori e le condizioni del mercato devono consentire la crescita delle piccole attività  economiche e la produzione di un sur-plus da investire in progetti sociali. Cruciale in questo contesto è la questione del credito: al contrario del mercato tradizionale, nel mercato equo i produttori ricevono un prefinanziamento `€“ un anticipo sugli incassi della vendita `€“ che consente di rendersi più indipendenti da usurai e intermediari vari.
Sono principi che cominciano a diffondersi anche laddove la rete organizzata del fair trade, cioè del commercio equo, non arriva. In Benin, ad esempio, uno dei paesi africani più poveri (380 dollari di reddito pro capite), i principali prodotti agricoli di esportazione sono il cotone e gli anacardi. Sui prezzi di entrambi i prodotti, i contadini hanno poca o nessuna voce in capitolo. Ma l`€™anno scorso il Gea, Groupement des exploitants agricoles du Benin, una federazione di 12 mila coltivatori e allevatori, di cui più della metà  sono donne, ha avviato un`€™esperienza di «commercializzazione collettiva» degli anacardi. Invece del prezzo ufficiale di 175 franchi cfa (la moneta dell`€™Africa occidentale francofona, pari a circa 3 lire) al chilo, l`€™Associazione dei produttori di anacardi affiliata al Gea ha contrattato con almeno un grosso commerciante un prezzo di 350 franchi cfa al chilo. Questo è stato possibile perché insieme si è riusciti, per una volta, a ottenere da un`€™agenzia statale, la Papme (Agenzia per la promozione delle piccole e medie imprese), quello che da soli i contadini non avevano mai ottenuto: un «credito di campagna» che ha consentito di non vendere il prodotto in anticipo a prezzi stracciati, come erano sempre stati costretti a fare i produttori. E ora si stanno avviando nuove opportunità  con l`€™appoggio di due organizzazioni italiane: «Mani tese» e il consorzio di «microfinanza etica» Etimos.
Accesso al credito anche per i poveri
La disponibilità  di credito accresce la forza dei piccoli contadini. In America centrale ci sono organizzazioni di coltivatori di caffè che stanno pensando di rafforzare il prefinanziamento «equo» arrivando alla costituzione di vere e proprie «casse del caffè». Il progetto è allo studio presso Etimos e Flo, Fair Trade Labelling Organization, l`€™organizzazione internazionale dei marchi di garanzia del commercio equo. Il punto, più in generale, è passare dal credito all`€™esportazione all`€™accesso al credito per le microimprese e i produttori associati che operano sui mercati locali. Si tratta di contrastare quello che Muhammad Yunus, il fondatore della «banca dei poveri» del Bangladesh, la Grameen Bank, chiama «apartheid finanziario» nei confronti dei poveri. Il motivo per cui in Italia è nata la Banca popolare etica.
«Roda è un esempio del nostro lavoro. Sposata a 18 anni, analfabeta, viveva in una bidonville di Nairobi senza riuscire a far fronte ai bisogni dei suoi otto bambini. La sua sola fonte di reddito proveniva dalla vendita di legumi. Le abbiamo prestato 100 franchi, una somma ridicola, ma che le ha permesso di costituire uno stock di prodotti e di procurarsi un tavolo di vendita. Oggi, a 40 anni, essa ha il suo negozietto nel mercato cittadino; suo marito e tre dei suoi figli lavorano con lei, altri tre studiano all`€™università . Una cosa incredibile per lei che è analfabeta». La strana banca che ha concesso un prestito a questa famiglia poverissima della periferia di Nairobi, in Kenya, è K-Rep, ovvero Kenya-Rural Enterprise Program, la maggiore «banca dei poveri» del continente africano. 7.000 «clienti», il 58 per cento dei quali donne, per un volume di 4 milioni di dollari di prestiti complessivi. K-Rep è una delle oltre 900 istituzioni di microcredito, tra cui le italiane Banca etica ed Etimos, che sono impegnate a perseguire l`€™obiettivo lanciato dal «Microcredit Summit» nel febbraio 1997: raggiungere 100 milioni di famiglie tra le più povere del mondo con crediti e altri servizi finanziari e commerciali entro il 2005. Alla metà  del `€™99 `€“ ultimi dati disponibili `€“ erano oltre 22 milioni i poveri nei paesi in via di sviluppo, ma anche all`€™Est e nelle periferie dei paesi ricchi, raggiunti da programmi di microfinanza. Al giugno `€™98 erano circa 15 milioni: 7 milioni di nuovi destinatari in un anno.
Afferma un dirigente della Central de cooperativas cafetaleras de Honduras, organizzazione partner del commercio equo europeo: «Il debito estero è un peso molto forte sul prodotto lordo dell`€™Honduras. Ma noi diciamo anche che, quando sono stati dati i prestiti, ne ha beneficiato una piccola parte della popolazione, e ora lo stiamo pagando tutti. Ci vorrebbe un condono con condizioni: non semplicemente l`€™annullamento, ma la trasformazione di, ad esempio, 10 milioni di dollari condonati in un fondo da investire nei piccoli produttori». L`€™esperienza più importante di questo tipo si è sviluppata in Ecuador, almeno fin quando il paese andino non è precipitato nella crisi finanziaria: qualche anno fa un accordo tra Conferenza episcopale, governo di Quito e creditori internazionali ha permesso la conversione di 28 milioni di dollari di debito estero, acquistato al 15 per cento del suo valore con fondi provenienti da donazioni, e 10 milioni di dollari sono stati destinati a programmi di microcredito rurale, che hanno consentito a 12.200 famiglie di accedere a lotti di terra più grandi per la coltivazione. Ancora oggi la maggiore esperienza di microfinanza in Ecuador è quella del Fepp, il Fondo ecuadoriano populorum progressio. Che sia una strada promettente anche per la «Campagna ecclesiale italiana per la riduzione del debito»?

ENTRA NELL`€™ECONOMIA ETICA

Commercio equo e solidale

Microcredito

   
   
  L`€™INIZIATIVA  DELLA CEI      

Già  negli anni `€˜60 la Populorum progressio  di Paolo VI, conteneva una profetica denuncia contro il debito dei paesi poveri. A quasi 40 anni di distanza, papa Woytyla ha fatto di questo tema uno dei cardini del suo pontificato, tanto da metterlo al centro degli obiettivi del Giubileo: il Papa si riallaccia al significato ebraico del  Giubileo, tempo di svolta, di liberazione degli schiavi, e di cancellazione dei debiti.
Su queste scie s`€™inserisce la Campagna  ecclesiale per la riduzione del debito estero dei paesi più poveri, organizzata dalla Conferenza episcopale italiana. La campagna si prefigge tre obiettivi:
     

           
  • la sensibilizzazione e l`€™informazione sugli effetti del debito per richiamare l`€™urgenza al ripensamento degli stili di vita;                
  •     la pressione sul governo italiano, sul parlamento e sul mondo economico-finanziario per ottenere azioni di cancellazione del debito e attenzione su questo tema nelle sedi internazionali;        
  •    la realizzazione di un gesto concreto, comprando in parte o per intero il debito contratto da uno o più paesi poveri con l`€™Italia. A tale scopo è già  in corso una campagna di raccolta fondi.        
      Il paese beneficiario s`€™impegnerà  a spendere il debito condonato in studiati progetti di sviluppo.

     

  Per informazioni  : Comitato ecclesiale italiano per la riduzione del debito estero dei paesi più poveri, tel . 06 66398433, e-mail: debitopvs@chiesacattolica.it  

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017