Missione in Renania
A fine aprile del 1960, a pochi giorni dal suo arrivo a Mannheim, don Antonio Mattalia annotava: «Mi sono guardato attorno nella mia area di intervento e ho constatato che, per il momento, tutto sembra sconfinato». Il sacerdote di Peveragno (Cuneo) non si riferiva solo al territorio a lui affidato, ma alludeva anche alla realtà religiosa, sociale e culturale in cui doveva intervenire. Don Mattalia si adoperò nella città sulla riva destra del Reno per trentotto anni, avviando, oltre alla Comunità cattolica italiana di Mannheim (Mci), quella di Ludwigshafen.
Un anno dopo il suo arrivo, don Antonio era già in grado di fare una stima sul «gregge» che si accingeva a guidare: i gastarbeiter (lavoratori ospiti) italiani nell’area compresa tra Mannheim, Ludwigshafen e Speyer erano tra i 18 e i 20 mila. Coadiuvato dai primi assistenti sociali, incaricati di seguire la minoranza italiana, iniziò un’attività pastorale e sociale senza respiro, dividendosi tra dieci altri decanati. L’ufficio della Mci era situato in una stanza dell’istituto dei salesiani, alla periferia della città. Oltre a svolgere il consueto lavoro da scrivania, don Mattalia partecipava alla vita scolastica della comunità, non saltava una prova del coro ed era presente negli ospedali e nelle carceri. Del sacerdote cuneese sono proverbiali le brevi e pregnanti omelie e gli interventi su «Il Corriere d’Italia», nella rubrica Il chiacchieriere. Durante la sua intensa attività egli si circondò di collaboratori – su tutti don Grasso (1966-1967) e don Oliva (1968-1970) – che, come lui, non indietreggiavano di fronte a niente. Solo a 80 anni don Mattalia trovò la forza di ritirarsi dalla sua grande parrocchia.
Una terra «accogliente»
Fondata nel 1606 e devastata dalla guerra per la successione del palatinato ottantatré anni dopo, Mannheim affronta il fenomeno dell’immigrazione italiana a partire dalla fine del XVII secolo. Nei primi anni del Settecento nella terra del Baden-Württemberg è documentata la presenza di mercanti e artigiani lombardi e piemontesi (tra i tanti, Pietro Antonio Allegro, Antonio Brentano, Anton Ortelo e Andrea Scotti).
Un secolo dopo, fioriscono le attività della famiglia Giulini, originaria di Torno (Como), che, dopo alcuni anni nella società Maggi Grasselli & comp. – impresa che si occupava del commercio di spezie – si avvia con successo verso l’industria chimica.
La presenza italiana laddove il fiume Neckar converge nel Reno si arricchisce, nel frattempo, di manovali, muratori, terrazzieri, e non solo.
È Mario Fontanella, un giovane originario di Conegliano, in provincia di Treviso, a inaugurare nel 1933 la prima gelateria di Mannheim. Ma veniamo alla metà del XX secolo: le migliaia di italiani che, grazie agli accordi bilaterali tra Italia e Repubblica federale tedesca del 1955, trovano occupazione nei cantieri edili e nelle industrie meccaniche o chimiche del Baden-Württemberg contribuiscono a formare quella solida realtà economico-culturale che ancora oggi perdura sulla riva destra del Reno.
Comunità consolidate
Fondata da don Mattalia, quindi consolidata dal suo successore, il salesiano don Domenico Fasciano, la Comunità cattolica italiana di Mannheim deve il proprio sviluppo alla cosiddetta «grande migrazione». Di quei giovani che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso raggiunsero la cittadina tedesca in cerca di fortuna, la maggior parte ha scelto di mettervi radici e, ancora oggi, si ritrova tra le fila di associazioni – come la neonata «60Plus» – che organizzano anche pellegrinaggi e gite. Per don Valerio Casula, direttore della Mci dal 2008, questi anziani «sono le persone più attive della comunità e del coro parrocchiale. Si trovano non solo per discutere i problemi, ma anche per divertirsi». Del resto, secondo il sacerdote di origini nuoresi, tra le priorità della parrocchia italiana di Mannheim c’è quella di dare ampio spazio alla condivisione. «Durante l’anno vengono realizzati intrattenimenti per aiutare i più bisognosi e le missioni, e per sentirsi più uniti e presenti nella vita della parrocchia. Ogni sei mesi si organizza il pranzo missionario per i senzatetto – elenca don Valerio –. E se la messa domenicale risulta sempre partecipata da un ampio numero di fedeli, grande importanza rivestono anche la catechesi di formazione al matrimonio, alla cresima, al battesimo e alla prima comunione, la pastorale dei malati e le attività religiose del decanato».
Un programma denso di appuntamenti quello della parrocchia italiana di Mannheim, culminato quest’anno nella partecipazione al Katholikentag, il Festival cattolico cui hanno preso parte catechisti, ministranti, coristi, gruppi folk, oltre al comitato per le feste. Una fitta rete di volontari al servizio della comunità, senza la quale tutto questo dinamismo parrocchiale non sarebbe possibile.
Largo ai giovani
In un clima stimolante come quello della Comunità cattolica a Mannheim, la nuova generazione costituita dai nipoti di chi emigrò in Germania mezzo secolo fa sembra vivere, come conferma don Valerio, una «riuscita integrazione». Se è vero, infatti, che i giovani oggi parlano solo in tedesco, permangono in loro alcune specificità proprie della cultura italiana. Perché integrazione non significa solo parlare lo stesso idioma, ma anche rispettare le regole del vivere comune e apprezzare le differenze culturali. Lo sanno bene i membri della Mci, raccolti sia nel Centro dedicato a san Giovanni Bosco, che negli altri decanati settentrionali dell’arcidiocesi di Friburgo.
Per approfondire il tema non resta che collegarsi a internet e digitare www.mci-mannheim.de sulla barra del browser. Ad accogliere il visitatore in quello che è uno dei primi siti di parrocchie cattoliche italiane in Germania ci sono i versi di Primo Levi: Accendi il lume, / spalanca la porta, / che il pellegrino possa entrare, / gentile o ebreo: / sotto i cenci si cela forse il profeta. / Entri e sieda con noi, / ascolti, beva, canti e faccia Pasqua. Un invito a conoscere e vivere una realtà fatta di fede, di impegno sociale, di storia e cultura.