Missioni italiane, un cammino in salita

Secolarizzazione e relativismo sono i veri nemici della nuova evangelizzazione. Purtroppo le ristrutturazioni in atto nella chiesa elvetica penalizzano proprio le minoranze linguistiche.
17 Dicembre 2009 | di

Zurigo
L’Associazione Corriere degli Italiani ha da poco pubblicato il volume dal titolo Annunciare e vivere la Parola in cui numerosi missionari e altri esperti offrono, con i loro commenti al Lezionario, un esempio di contestualizzazione della Parola di Dio in ambito migratorio. È uno dei tanti segnali di vitalità nell’ambito della formazione cristiana delle Missioni cattoliche italiane in Svizzera dove la pastorale specifica e specializzata dà risalto al volto multiforme della chiesa cattolica, una chiesa la cui popolazione cattolica d’origine straniera è assai consistente. Nella sola diocesi di Basilea risiedono 95.258 italiani, 11.123 latino-americani, 1.174 filippini, 3.218 polacchi, 32.745 portoghesi, 18.225 spagnoli.
Da anni le Missioni privilegiano la scelta formativa. In alcune di esse, come Losanna e Basilea, è ancora possibile offrire un iter catechetico completo che permetta un legame forte tra prima e successive generazioni. In altre Missioni i figli degli italiani frequentano i corsi di formazione ecumenica nelle scuole elementari, e a 18 anni sono invitati a frequentare il corso per la Cresima. È evidente come ciò non sia sufficiente in un contesto pervaso di secolarismo e relativismo, senza dimenticare l’importanza della religiosità popolare coltivata nelle famiglie. Con l’aiuto di volontari, le Missioni stanno investendo sugli adolescenti e sui giovani. In Svizzera i ragazzi con passaporto italiano che hanno fino a 17 anni, sono 39.383, e dai 18 ai 34 anni raggiungono le 62.065 unità.
Un momento privilegiato per avvicinare la gioventù sono i corsi pre-matrimoniali per preparare le coppie a una scelta di vita che esige fedeltà ed eroismo in quanto devono fare i conti con un tasso di divorzi tra i più alti del mondo (in Svizzera il 48.4% dei matrimoni termina in un divorzio), e dove l’affermazione che la famiglia italiana tenga, è ormai classificata come una leggenda metropolitana.
Ma anche dopo il matrimonio si riserva una particolare attenzione alle giovani coppie. A Basilea si riunisce regolarmente un gruppo di giovani famiglie animate da un sacerdote. Lo straordinario impegno delle Missioni a favore della terza età offre poi un cammino di riscoperta della fede che sfocia in impegni concreti a favore del prossimo.
Nonostante numerosi emigrati oggi non diano più eccessivo peso alla religione, le Missioni non rinunciano ad annunciare la «Buona Novella», servendosi anche della pubblicazione di numerosi bollettini di collegamento, che garantiscono un contatto capillare con le famiglie italiane. Il Corriere degli Italiani di Zurigo è l’unico settimanale cattolico di emigrazione in lingua italiana pubblicato fuori dell’Italia.
Un cammino di comunione
La formazione porta a un cammino di comunione, nonostante la diversità delle strutture pastorali. Si va dalle parrocchie di lingua italiana alle Missioni con cura d’anime, alle Missioni inserite nelle unità pastorali, frutto anche di accorpamenti di varie Missioni pre-esistenti. Ciò non significa rinunciare alle peculiarità culturali e religiose del gruppo, ritenute dai vescovi svizzeri come una ricchezza. Ecco allora le messe bilingui, i progetti comuni per persone sole, i consigli pastorali integrati.
Il cammino procede per cerchi concentrici: si va da una sempre maggiore collaborazione tra le varie Missioni i cui operatori pastorali si incontrano a livello zonale per pianificare attività comuni – come pellegrinaggi, ritiri, corsi per fidanzati, attività per giovani o per anziani – a progetti comunitari tra missioni e parrocchie locali o all’interno di un’unità pastorale. A Ginevra la pastorale ha coinvolto tre distinti gruppi di emigrati: portoghesi, italiani e ispanici che hanno costituito un’unica unità pastorale.
Sono in molti ad affermare che le ristrutturazioni in atto nella chiesa svizzera, dovute anche al calo delle entrate, colpiscono soprattutto le minoranze linguistiche. È la via più facile per non intaccare alcuni interessi corporativi. La scusa è sempre la stessa: gli immigrati si devono integrare nel sistema religioso svizzero. L’affermazione è tinta di un sottile razzismo che esige un’inculturazione unilaterale, e rischia di generare ulteriori allontanamenti dei fedeli emigrati da una chiesa che non viene più percepita come madre accogliente di tutti i credenti. A Basilea occorre pagare una specie di affitto per utilizzare una chiesa; in una parrocchia di Basilea Campagna, il missionario deve portare con sé tutto l’occorrente, perfino l’acqua, per poter celebrare un battesimo. Il predominio delle finanze attenua la voglia di originalità presente in tante comunità emigrate, e ostacola una visione pastorale che mira a far vivere in pienezza la nota della cattolicità.
Suona tristemente attuale il commento che, nel 1985, l’allora presidente dell’Associazione dei teologi italiani, Luigi Sartori, aveva espresso: «Umanamente parlando, diventa spesso necessario sostare a lungo nella rivendicazione e nella difesa della propria identità; spesso è addirittura inevitabile il conflitto che dà la sensazione che si affermi quasi di più il ghetto e l’esclusività etnocentrica che non la passione dialogica per la comunione e l’integrazione. Del resto, la chiesa come potrebbe pretendere che ogni soggetto esprimesse presto e in modo consistente una maturità «cattolica» quando essa stessa, al suo interno, fa ancora così tanta fatica a realizzare la vera cattolicità ossia la promozione della ricchezza di incarnazioni varie e variabili della fede e della ecclesialità? I singoli soggetti minori e subordinati dovrebbero essere provocati a realizzare questo ideale che il grande soggetto superiore non riesce a realizzare in se stesso?».
Se a questi problemi aggiungiamo la difficoltà di rinnovare i quadri degli operatori, e l’ormai inarrestabile fuga delle religiose italiane dalla Svizzera, abbiamo un’idea delle difficoltà che le Missioni devono affrontare. Sembrano ormai passati del tutto i tempi in cui, ad esempio, monsignor Bonomelli inviava in Svizzera, durante l’estate, don Primo Mazzolari durante il biennio in cui il giovane sacerdote era professore in seminario, per arricchire la sua esperienza sacerdotale.
La sfida della missionarietà
I missionari non demordono. L’impegno di formare nuovi leader laici –confermato anche dalla recente ripresa di un regolare corso di Teologia per animatori laici –, sottolinea l’attuale scelta delle missioni che mettono al centro l’urgenza dell’evangelizzazione, e mirano a rendere ogni cristiano cosciente della sua vocazione missionaria. E questo anche per arrestare un’emorragia silenziosa ma tangibile di tanti giovani che cercano altrove segni di speranza. Il fenomeno delle libere chiese con la loro politica nei confronti delle minoranze (non sono pochi i giovani italiani che le frequentano) o gli onnipresenti Testimoni di Geova che hanno fatto numerosi adepti tra gli italiani, pongono degli interrogativi alla chiesa locale dove spesso operatori e operatrici pastorali poco attenti, non tengono in debito conto le peculiarità religiose dei loro fedeli.
Nel settembre scorso, i cittadini del Cantone di Zurigo hanno votato a favore di un nuovo regolamento ecclesiastico che prevede, tra l’altro, la concessione del diritto di voto anche ai cattolici stranieri. «Ora – scrive Angelo Saporiti, missionario di Zurichsee-Oberland sul Corriere degli Italiani – si può aprire una stagione nuova. Ora potremo costruire una chiesa multietnica, capace di parlare tante lingue, ma unita dall’unico messaggio dell’amore di Cristo». Lo sforzo delle missioni, portato avanti in questi anni per rendere l’emigrato cosciente della sua fede, sfocia ora in una sua partecipazione da protagonista nelle varie strutture delle chiese locali. Assisteremo a una nuova Pentecoste?

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017