Molte identità, ma valori condivisi
Nell'ambito della pastorale giovanile vanno considerati con attenzione i giovani cattolici residenti fuori dal loro Paese d'origine: una componente essenziale della chiesa europea.
14 Aprile 2010
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Barcellona
I giovani italiani in Europa: chi sono, come vivono e quali legami hanno con il loro Paese d’origine? È ben noto che la globalizzazione ha contribuito a sviluppare, accanto ai tradizionali percorsi migratori, anche nuove forme di mobilità internazionale. Queste coinvolgono soprattutto i giovani. Quando si parla, perciò, di ragazzi e giovani italiani che abitano, studiano o lavorano in altri Paesi europei, ci si riferisce in realtà a persone e a situazioni molto diverse. Vi sono i figli e i nipoti di coloro che sono emigrati verso l’Europa centro-settentrionale nel corso del XX secolo. Pensiamo alle ampie comunità di italiani, con i loro discendenti di seconda e terza generazione presenti in Germania, Svizzera, Francia, Belgio e Regno Unito. Molti giovani hanno acquisito la nazionalità del Paese in cui sono nati, e non hanno mantenuto quella italiana. Altri godono della doppia cittadinanza oppure possiedono solo quella d’origine. Questo dipende spesso dalla legge della nazione in cui risiedono. Ad essi si affiancano i ragazzi partiti di recente dall’Italia per lo più al seguito di genitori professionisti, tecnici specializzati, ricercatori. Permangono, però, anche nuclei familiari in situazione di disagio e di povertà che ancora emigrano per mancanza di lavoro stabile e regolare. Infine vi sono giovani italiani con una formazione superiore o universitaria che si trasferiscono in altri Paesi europei per trovare migliori opportunità di studio e di carriera, per vivere esperienze di soggiorno all’estero o perché, purtroppo, sono delusi dalle scarse prospettive offerte dall’Italia. Gli studenti e i professionisti si dirigono sia verso mete dove già risiedono numerose collettività italiane, ma anche verso nuove destinazioni magari più accessibili sul piano linguistico, come la Spagna.
È difficile, quindi, poter generalizzare. Si può, però, affermare che non si tratta di un numero limitato di persone, ma di un’ampia comunità transnazionale di giovani italiani che vivono in diversi Paesi europei: su 2.184.534 persone che hanno il passaporto italiano, quasi 422.000 sono compresi entro i primi 17 anni di vita, e quasi 341.000 tra i 18 e i 29 anni. Gli oriundi, poi, che non hanno più la nazionalità d’origine, sono nell’ordine di milioni: una parte di loro è costituita da giovani.
Le centinaia di migliaia di ragazzi e giovani italiani in Europa sono in maggioranza i discendenti di emigrati partiti nel dopoguerra. Essi hanno raggiunto una posizione sociale migliore rispetto a quella della prima generazione. In quanto cittadini comunitari, non hanno sofferto per la precarietà dei permessi di soggiorno, e anzi godono di diritti molto simili a quelli dei cittadini locali. Se si considera invece il successo scolastico, si notano disparità tra i Paesi: ai buoni risultati conseguiti in Inghilterra e in Francia, fanno riscontro i livelli di istruzione bassa raggiunti in Belgio e, soprattutto, la grave situazione dei figli degli italiani in Germania, i quali rientrano tra i gruppi di stranieri con il più scarso rendimento. In Svizzera, infine, si evidenzia, dopo le difficoltà della seconda generazione, un miglioramento nel livello di istruzione della terza generazione di italiani. Diversi sono i fattori che influiscono sulla riuscita negli studi: la condizione sociale della famiglia, il grado di instabilità (il sogno persistente e non realizzato di tornare in Italia), il sistema scolastico più o meno escludente, la mancanza di valorizzazione della lingua materna. A questo proposito, i recenti tagli dei finanziamenti, da parte dell’Italia, ai corsi di lingua e cultura per gli italiani all’estero, mettono in pericolo la conoscenza della lingua d’origine tra le nuove generazioni. Questo fenomeno si traduce in una perdita di radici e in un impoverimento del patrimonio linguistico dei ragazzi, ma anche in una battuta d’arresto alla diffusione dell’italiano in Europa e, dunque, in un danno economico e culturale per l’Italia.
Chi è nato all’estero non ha vissuto in prima persona l’esperienza di lasciare il proprio Paese. L’appartenenza, tuttavia, a un gruppo sociale considerato ancora migrante e soprattutto la storia familiare fa sì che questi giovani si sentano ancora «italiani»: il grado di intensità di questo legame varia, tuttavia, in base a tanti fattori. Ogni persona, in fondo, a seconda delle caratteristiche della famiglia e della società ospitante, della propria biografia e del proprio carattere arriva a costruire in modo diverso la propria identità.
I giovani studenti e professionisti, invece, che partono attualmente dall’Italia per l’«avventura europea», vivono direttamente l’esperienza della mobilità, del lasciare il proprio Paese e ambientarsi in un altro, sebbene questo avvenga oggi in modo meno traumatico rispetto al passato.
Essere un giovane italiano in Europa può significare, dunque, molte cose diverse. Vi è, però, un aspetto comune: la vicinanza geografica all’Italia, nonché la possibilità di frequenti contatti e visite fanno sì che i giovani mantengano in genere legami familiari, culturali ed economici con il Paese d’origine. I programmi televisivi italiani trasmessi via cavo o via satellite, e i nuovi media digitali permettono loro di ricevere un notevole flusso di programmi e di informazioni dalla Penisola, favorendo i rapporti transnazionali e alimentando un senso di appartenenza e di identificazione.
Importante è ricordare che prima di essere «italiani» essi sono «giovani», cioè pienamente partecipi degli stili di vita e dei linguaggi giovanili diffusi oggi a livello globale o, quantomeno, nell’ambito dell’Europa occidentale. Musica, tempo libero, atteggiamenti, aspettative sono gli stessi dei coetanei con cui condividono la vita quotidiana.
I giovani italiani in Europa, dunque, si muovono tra vari mondi culturali e mentalità. Si potrebbe parlare di pluriappartenenze che in modo diverso e dinamico ognuno di loro porta dentro di sé. D’altra parte non viene meno, anzi forse si accentua la ricerca di un’identità che sappia dare senso alle molteplici esperienze, pur rimanendo aperta. Anzi, una sana apertura all’altro presuppone anche la capacità di far crescere dentro di sé una «spina dorsale», cioè punti di riferimento e valori umani, culturali e religiosi che permettono un profondo dialogo con le diversità che oggi attraversano le società europee, evitando il disorientamento e il vuoto materialistico.
In effetti, cresce in Europa una generazione di giovani sia nativi che emigrati appartenenti a molteplici etnie e religioni, per i quali la ricerca dell’identità e del senso della vita, in un mondo multiculturale e in rapido mutamento, appare più difficoltosa. A questo proposito, la chiesa ha accompagnato per decenni le famiglie e i giovani italiani all’estero con interventi sociali, educativi e pastorali, in particolare attraverso le Missioni cattoliche italiane, le scuole e i media. Affinché i giovani italiani in Europa possano continuare a crescere nella fede e nei valori ricevuti in forma tradizionale dai genitori, testimoniandoli nei contesti plurietnici, è necessario un più forte investimento nella formazione religiosa, senza la quale essi rischiano di assimilarsi a un ambiente scristianizzato. Si pone sempre più urgentemente per le chiese locali la questione dell’evangelizzazione tra le nuove generazioni.
Un convegno a Barcellona
Un convegno a Barcellona
L’impegno della chiesa tra i giovani cattolici emigrati
Dal 7 al 10 marzo 2010 si è tenuto a Barcellona il 21° incontro annuale dal titolo «Pastorale dei migranti nelle grandi città d’Europa» che ha riunito responsabili e operatori di questa pastorale provenienti da Vienna, Bruxelles, Lione, Francoforte, Colonia, Milano, Roma, Torino, Lussemburgo, Basilea, Barcellona, nonché esponenti del Servizio nazionale della pastorale dei migranti di Francia (Parigi), della Commissione delle migrazioni della Conferenza episcopale spagnola (Madrid) e della Commissione dei vescovi svizzeri per le migrazioni (Friburgo). Il tema affrontato è stato «I figli degli immigrati. Quale pastorale?». Nel corso del convegno sono state messe in luce sfide, opportunità e progetti di azione pastorale tra i giovani d’origine straniera, il cui numero è in aumento in tutta Europa.
I giovani italiani in Europa: chi sono, come vivono e quali legami hanno con il loro Paese d’origine? È ben noto che la globalizzazione ha contribuito a sviluppare, accanto ai tradizionali percorsi migratori, anche nuove forme di mobilità internazionale. Queste coinvolgono soprattutto i giovani. Quando si parla, perciò, di ragazzi e giovani italiani che abitano, studiano o lavorano in altri Paesi europei, ci si riferisce in realtà a persone e a situazioni molto diverse. Vi sono i figli e i nipoti di coloro che sono emigrati verso l’Europa centro-settentrionale nel corso del XX secolo. Pensiamo alle ampie comunità di italiani, con i loro discendenti di seconda e terza generazione presenti in Germania, Svizzera, Francia, Belgio e Regno Unito. Molti giovani hanno acquisito la nazionalità del Paese in cui sono nati, e non hanno mantenuto quella italiana. Altri godono della doppia cittadinanza oppure possiedono solo quella d’origine. Questo dipende spesso dalla legge della nazione in cui risiedono. Ad essi si affiancano i ragazzi partiti di recente dall’Italia per lo più al seguito di genitori professionisti, tecnici specializzati, ricercatori. Permangono, però, anche nuclei familiari in situazione di disagio e di povertà che ancora emigrano per mancanza di lavoro stabile e regolare. Infine vi sono giovani italiani con una formazione superiore o universitaria che si trasferiscono in altri Paesi europei per trovare migliori opportunità di studio e di carriera, per vivere esperienze di soggiorno all’estero o perché, purtroppo, sono delusi dalle scarse prospettive offerte dall’Italia. Gli studenti e i professionisti si dirigono sia verso mete dove già risiedono numerose collettività italiane, ma anche verso nuove destinazioni magari più accessibili sul piano linguistico, come la Spagna.
È difficile, quindi, poter generalizzare. Si può, però, affermare che non si tratta di un numero limitato di persone, ma di un’ampia comunità transnazionale di giovani italiani che vivono in diversi Paesi europei: su 2.184.534 persone che hanno il passaporto italiano, quasi 422.000 sono compresi entro i primi 17 anni di vita, e quasi 341.000 tra i 18 e i 29 anni. Gli oriundi, poi, che non hanno più la nazionalità d’origine, sono nell’ordine di milioni: una parte di loro è costituita da giovani.
Le centinaia di migliaia di ragazzi e giovani italiani in Europa sono in maggioranza i discendenti di emigrati partiti nel dopoguerra. Essi hanno raggiunto una posizione sociale migliore rispetto a quella della prima generazione. In quanto cittadini comunitari, non hanno sofferto per la precarietà dei permessi di soggiorno, e anzi godono di diritti molto simili a quelli dei cittadini locali. Se si considera invece il successo scolastico, si notano disparità tra i Paesi: ai buoni risultati conseguiti in Inghilterra e in Francia, fanno riscontro i livelli di istruzione bassa raggiunti in Belgio e, soprattutto, la grave situazione dei figli degli italiani in Germania, i quali rientrano tra i gruppi di stranieri con il più scarso rendimento. In Svizzera, infine, si evidenzia, dopo le difficoltà della seconda generazione, un miglioramento nel livello di istruzione della terza generazione di italiani. Diversi sono i fattori che influiscono sulla riuscita negli studi: la condizione sociale della famiglia, il grado di instabilità (il sogno persistente e non realizzato di tornare in Italia), il sistema scolastico più o meno escludente, la mancanza di valorizzazione della lingua materna. A questo proposito, i recenti tagli dei finanziamenti, da parte dell’Italia, ai corsi di lingua e cultura per gli italiani all’estero, mettono in pericolo la conoscenza della lingua d’origine tra le nuove generazioni. Questo fenomeno si traduce in una perdita di radici e in un impoverimento del patrimonio linguistico dei ragazzi, ma anche in una battuta d’arresto alla diffusione dell’italiano in Europa e, dunque, in un danno economico e culturale per l’Italia.
Chi è nato all’estero non ha vissuto in prima persona l’esperienza di lasciare il proprio Paese. L’appartenenza, tuttavia, a un gruppo sociale considerato ancora migrante e soprattutto la storia familiare fa sì che questi giovani si sentano ancora «italiani»: il grado di intensità di questo legame varia, tuttavia, in base a tanti fattori. Ogni persona, in fondo, a seconda delle caratteristiche della famiglia e della società ospitante, della propria biografia e del proprio carattere arriva a costruire in modo diverso la propria identità.
I giovani studenti e professionisti, invece, che partono attualmente dall’Italia per l’«avventura europea», vivono direttamente l’esperienza della mobilità, del lasciare il proprio Paese e ambientarsi in un altro, sebbene questo avvenga oggi in modo meno traumatico rispetto al passato.
Essere un giovane italiano in Europa può significare, dunque, molte cose diverse. Vi è, però, un aspetto comune: la vicinanza geografica all’Italia, nonché la possibilità di frequenti contatti e visite fanno sì che i giovani mantengano in genere legami familiari, culturali ed economici con il Paese d’origine. I programmi televisivi italiani trasmessi via cavo o via satellite, e i nuovi media digitali permettono loro di ricevere un notevole flusso di programmi e di informazioni dalla Penisola, favorendo i rapporti transnazionali e alimentando un senso di appartenenza e di identificazione.
Importante è ricordare che prima di essere «italiani» essi sono «giovani», cioè pienamente partecipi degli stili di vita e dei linguaggi giovanili diffusi oggi a livello globale o, quantomeno, nell’ambito dell’Europa occidentale. Musica, tempo libero, atteggiamenti, aspettative sono gli stessi dei coetanei con cui condividono la vita quotidiana.
I giovani italiani in Europa, dunque, si muovono tra vari mondi culturali e mentalità. Si potrebbe parlare di pluriappartenenze che in modo diverso e dinamico ognuno di loro porta dentro di sé. D’altra parte non viene meno, anzi forse si accentua la ricerca di un’identità che sappia dare senso alle molteplici esperienze, pur rimanendo aperta. Anzi, una sana apertura all’altro presuppone anche la capacità di far crescere dentro di sé una «spina dorsale», cioè punti di riferimento e valori umani, culturali e religiosi che permettono un profondo dialogo con le diversità che oggi attraversano le società europee, evitando il disorientamento e il vuoto materialistico.
In effetti, cresce in Europa una generazione di giovani sia nativi che emigrati appartenenti a molteplici etnie e religioni, per i quali la ricerca dell’identità e del senso della vita, in un mondo multiculturale e in rapido mutamento, appare più difficoltosa. A questo proposito, la chiesa ha accompagnato per decenni le famiglie e i giovani italiani all’estero con interventi sociali, educativi e pastorali, in particolare attraverso le Missioni cattoliche italiane, le scuole e i media. Affinché i giovani italiani in Europa possano continuare a crescere nella fede e nei valori ricevuti in forma tradizionale dai genitori, testimoniandoli nei contesti plurietnici, è necessario un più forte investimento nella formazione religiosa, senza la quale essi rischiano di assimilarsi a un ambiente scristianizzato. Si pone sempre più urgentemente per le chiese locali la questione dell’evangelizzazione tra le nuove generazioni.
Un convegno a Barcellona
Un convegno a Barcellona
L’impegno della chiesa tra i giovani cattolici emigrati
Dal 7 al 10 marzo 2010 si è tenuto a Barcellona il 21° incontro annuale dal titolo «Pastorale dei migranti nelle grandi città d’Europa» che ha riunito responsabili e operatori di questa pastorale provenienti da Vienna, Bruxelles, Lione, Francoforte, Colonia, Milano, Roma, Torino, Lussemburgo, Basilea, Barcellona, nonché esponenti del Servizio nazionale della pastorale dei migranti di Francia (Parigi), della Commissione delle migrazioni della Conferenza episcopale spagnola (Madrid) e della Commissione dei vescovi svizzeri per le migrazioni (Friburgo). Il tema affrontato è stato «I figli degli immigrati. Quale pastorale?». Nel corso del convegno sono state messe in luce sfide, opportunità e progetti di azione pastorale tra i giovani d’origine straniera, il cui numero è in aumento in tutta Europa.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017