Monsignor Locati, prete di frontiera
Tanti e tanti anni fa il giornale mi spedì a Nairobi. Era il tempo dei Mau Mau, i guerriglieri patrioti del mitico Jomo Kenyatta al quale gli inglesi davano una caccia accanita. Al pari di tutti gli altri giornalisti alloggiavo al New Stanley Hotel perché quell'albergo aveva un barman strepitoso e la gente-bene di Nairobi tutte le sere si dava convegno al bar. Vecchi colonialisti, signore senza età innamorate dell'Africa, mercanti d'armi, trafficanti d'ogni risma: tutti facevano pettegolezzo politico e a saper ascoltare si imparavano tante cose, si riusciva financo a stabilire un contatto con la guerriglia.
In quel bar ebbi la filata giusta per incontrare Tom 'Mboya, giovine braccio destro di Kenyatta, primo ministro dopo l'affrancamento del Kenya dall'imperiale Gran Bretagna. Giovine inviato speciale puntavo al bersaglio grosso: il leggendario Jomo. Dopo giorni e giorni di incontri con questo e con quello, mi toccò ripiegare sulla figlia di Kenyatta. L'incontro avvenne nel fitto della boscaglia, dopo un lungo percorso in jeep guidata da un falso «cacciatore bianco» di cui i Mau Mau si servivano per i loro contatti.
La figlia del vecchio patriota aveva un volto bellissimo, color dell'ebano. Mi colpirono le mani: lunghe, aristocratiche. Portava un modesto braccialetto di perline colorate al polso sinistro: regalmente, quasi fosse un inestimabile gioiello. Con un sorriso sghembo mi disse che «studiosi molto seri» ipotizzavano che il Kenya fosse stato il Paradiso Terrestre. «Ma poi i nostri avi vendettero l'anima al Faust colonialista e il paradiso divenne inferno», sorrise agra.
Io avevo tante domande da farle e lei poca voglia (e tempo) di rispondere, tanto che: «Vada dai missionari, mi disse: essi conoscono la nostra realtà . Essi sanno».
Anche Monsignor Luigi Locati, Vicario apostolico di Isiolo, nel Nord del Kenya, vescovo, sapeva. Forse troppo. Per questo l'hanno ammazzato, il 15 di luglio, mentre dal refettorio della missione si recava nella sua baracca-alloggio. Due colpi alla testa, la fuga del commando assassino, tre uomini, e poi il pianto dei fanciulli e dei vecchi, i funerali spartani. Avete visto, cari lettori, il film La mia Africa? Bellissimo, niente affatto folkloristico ci mostra una natura vasta e solennemente bella. Ma quella di monsignor Locati è una tragedia vera, non un film.
Era un «prete di frontiera», un uomo dotto ma semplice, caritatevole: la gente lo amava e tuttavia - poiché il Male è sempre in compagnia del Bene e viceversa - lo hanno ucciso. Verosimilmente perché questo prete piemontese, buono ma rigoroso, mite ma severo cercava di fermare la mortale faida in corso tra le comunità Borana e Gabra; e non è improbabile che abbia richiamato all'ordine chi spargeva morte e zizzania in quel remoto angolo d'Africa. Lui, Monsignor Luigi, aveva appena compiuto 76 anni sicché sarebbe andato «in pensione». Diceva celiando ai suoi che non si vedeva ai giardinetti, che a Dio piacendo sognava di chiudere gli occhi nella «sua» Africa.
Ho voluto raccontare questa (tragica) storia ai lettori del «Messaggero» per pregare insieme idealmente in memoria di un «prete di frontiera».Distratti da non poche preoccupazioni, noi che viviamo un tempo boreale, spesso dimentichiamo gli umili eroi di Cristo, i missionari. Io li ho sempre amati e rispettati anche se, debbo dirlo, spesso ho pensato che per vivere nella boscaglia, senza servizi né luce e acqua corrente, dividendo un cibo così così coi nativi, ho pensato che per vivere in certe condizioni occorre avere un briciolo di follia.
«Hai ragione», mi disse una volta Padre Zanottelli: «Pensa a san Francesco`¦». E la fede, non è forse «celeste follia», come diceva Padre Pio? «Certum est quia impossibile».