Morire di freddo a Milano

Dobbiamo noi aspettare che i poveri ci trovino, o che nel frattempo muoiano di freddo, o provare ad andare a cercarli, ascoltarli e accoglierli.
04 Gennaio 2002 | di

 «Il freddo non guarda in faccia nessuno, non chiede permessi. Siamo francescani e abbiamo il dovere evangelico di aprire a chi bussa: dovrebbe essere l`€™imperativo morale di tutta la città ». Sono parole di padre Clemente, dopo che tre persone sono morte in meno di una settimana sui marciapiedi milanesi. Padre Clemente è economo del convento di Sant`€™Angelo che, attraverso la Fondazione «Fratelli di san Francesco», fa quanto può per aiutare quanti sono senza riparo. Un aiuto che, nei mesi invernali, può significare aver salva la vita. E che, nonostante gli sforzi e l`€™accoglienza di molte realtà  di volontariato, laico e religioso, non basta per tutti. A Milano, ad esempio, i posti letto disponibili sono 1.145, ma, secondo le stime della Caritas ambrosiana e del mensile «Scarp de`€™ tenis» specificatamente rivolto ai problemi dei senza dimora, questi ultimi a Milano sono almeno 2.000. Una situazione destinata a peggiorare, poiché oltre a 1.620 sfratti già  eseguiti nel 2000, dal prossimo gennaio, data in cui scadono le proroghe, sono previsti altri mille sfratti a carico di famiglie con membri anziani e malati o disabili gravi, vale a dire con meno possibilità  di trovare alternative abitative e con maggiore bisogno di aiuto.

Queste cifre significano che a Natale (così come tanti altri giorni, prima e dopo la ricorrenza dell`€™Avvento) a Milano almeno 850 persone hanno dormito all`€™addiaccio e che, come si vede, non di rado per questo muoiono. Seguendo le parole di padre Clemente, forse la «capitale morale» d`€™Italia non sempre ha udito e attenzione sufficiente per sentire il bisogno che bussa alla porta e per ascoltare l`€™imperativo di accogliere e sostenere i fratelli più poveri. Ma questo, purtroppo, è vero per molte altre città .

Ogni anno, infatti, arriva l`€™«emergenza freddo». Ogni anno il «generale inverno» miete decine di vittime tra coloro che non hanno un riparo. E veramente rimane incomprensibile il fatto che si continui a chiamare «emergenza» un evento climatico ciclico e del tutto prevedibile, cui sarebbe agevole far fronte con qualche servizio aggiuntivo organizzato per tempo. Certo, significherebbe qualche costo (neppure considerevole, spesso meno di quanto si spende per organizzare qualche kermesse natalizia) in più per le amministrazioni locali, ma anche e soprattutto qualche morte evitata e qualche adempimento in più a quel dovere evangelico, che non può rimanere solo nei libri di preghiera o nelle buone intenzioni. E che neppure va sempre e solo delegato alle istituzioni pubbliche, alle parrocchie o al volontariato, perché richiede un contributo integrato e comune.

Sempre a Milano si è dimostrato che non è così difficile passare dalle buone intenzioni alle buone, e concrete, volontà : l`€™amministratore delegato delle FS, Cimoli, di fronte all`€™«emergenza» e ai morti assiderati, ha messo a disposizione un ostello dei ferrovieri in disuso, adattandolo e dandolo in gestione ad alcune associazioni. Così, 80 persone in più hanno potuto trovare riparo.

Secondo una recente ricerca dell`€™università  Bicocca, un milanese su cinque (come a dire 250mila persone) è povero o a forte rischio di diventarlo; una parte cospicua è già  in condizioni di disagio grave: si tratta di 83mila cittadini, che vivono come meno di 700mila al mese. Nel 40 per cento si tratta di ultrasettantenni. Il che ci deve fare ulteriormente riflettere, perché la condizione di anziano, quella di povero e di senza dimora sempre più spesso arrivano a sovrapporsi. O a confondersi. Come a Torino, dove qualche settimana fa, Riccardo, 81 anni è morto per la strada; subito si è pensato fosse un «barbone». Invece, una casa, in cui viveva da solo, l`€™aveva. Ma è morto lo stesso, su un marciapiede. Di freddo, di infarto, di malanni accumulati o forse, assieme, di solitudine, di mancata assistenza, di scarsa considerazione sociale.

In un recente convegno, dove si discuteva di emarginazione degli anziani, il cardinale Carlo Maria Martini ha invitato a «riaffermare che la vecchiaia non è una malattia», a considerarla una fase della vita umana «con un suo senso proprio che la rende degna di essere vissuta e meritevole di cura da parte della società ».

La cura è qualcosa di più e di diverso dalla sola assistenza. Allo stesso modo, fornire riparo ai senzatetto significa garantire sopravvivenza, ma anche dignità . Sempre a Torino, in questo inizio di inverno, è stato soccorso un uomo, un cittadino extracomunitario, che dormiva in un cassonetto delle immondizie. Un altro, a Roma, aveva costruito il suo precario giaciglio tra i rami di un grosso albero.

Chissà , forse avevano bussato già  a tante porte, senza che fossero aperte. Forse non avevano avuto documenti da esibire o possibilità  di sottostare alla rigidità  di orari e regole dei dormitori, dove pure è difficile trovare posto. Forse, semplicemente, non hanno avuto la fortuna di incontrare bravi cristiani e servizi pubblici civili. Ma, forse, siamo noi a non dover aspettare che i poveri ci trovino, o che nel frattempo muoiano, di freddo o di stenti. Forse, dobbiamo provare ad andare a cercarli, dobbiamo saper ascoltarli, dobbiamo voler accoglierli.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017