MORTE DI UNA NAZIONE

Il vescovo di Dili ha sempre difeso il popolo di Timor Est, contro cui si sono accanite per vent’anni le truppe indonesiane.
01 Dicembre 1996 | di

Nel 1989, nel corso della sua visita in Indonesia, il papa fece tappa nell'isola di Timor. Al suo arrivo all'aeroporto di Dili, capitale di Timor Est, non baciò il suolo come fa di solito, ma una croce appositamente posta su di un tappeto, quasi a significare che quello era un territorio ancora in contestazione.

Ventuno anni fa, infatti, Timor Est venne invasa, dall'Indonesia con la tacita approvazione degli Stati Uniti, dell'Australia, della Gran Bretagna e di altri paesi occidentali, che temevano la presa del potere dei comunisti in quella parte dell'isola, da poco diventata indipendente dal Portogallo, e che certamente costituisce un punto strategico nell'Oceano Pacifico.

Per molti anni il mondo si è completamente disinteressato del destino di questo popolo, soggetto a una immane tragedia. In poco più di vent'anni oltre 200 mila persone (un quarto della popolazione) hanno perso la vita non solo in combattimento, ma anche vittime del sistematico sterminio di interi villaggi, di donne e bambini da parte dei soldati indonesiani. È ben documentato l'uso di inermi timoresi come scudo umano contro l'avanzata dei guerriglieri, così pure la loro uccisione gettandoli dagli aerei in volo; oppure la loro deportazione nei cosiddetti «villaggi di risistemazione» (eufemismo per «campi di concentramento») dove parecchie migliaia di persone sono morte.

Nel febbraio 1994 venne presentato in molte nazioni occidentali il documentario televisivo Death of a Nation (Morte di una nazione), con molte immagini girate durante il massacro. Per la prima volta, a un mondo incredulo e ampiamente disinteressato, veniva fatto vedere quello che veramente stava accadendo a Timor Est.

Da allora la tensione si è un po'allentata, ma la situazione di Timor Est rimane alquanto grave. Strenuo difensore del suo popolo continua a essere il giovane e coraggioso vescovo di Dili, monsignor Carlos Filipe Ximenes Belo. Amministratore apostolico dal 1983 - quando aveva solo trentacinque anni - monsignor Belo è il portavoce dei diritti del suo popolo. A ottobre gli è stato conferito il Nobel per la pace 1996. Lo abbiamo intervistato nella sede vescovile di Dili.

Nel dicembre del 1975 le truppe indonesiane hanno invaso il suo paese, con il pretesto di essere state invitate a intervenire dalla fazione nazionalista di Timor Est, che temeva il nascere di un governo comunista. Esisteva davvero questo pericolo?

«Si è trattato chiaramente di un pretesto da parte dell'Indonesia. La situazione politico-sociale nel Sudest asiatico in quegli anni era segnata dalla guerra fredda; però non vi era alcun pericolo di un golpe da parte dei comunisti. Ma volendo anche ammettere che ci fosse stata una qualche lontana possibilità  di presa del potere da parte dei comunisti, l'Indonesia non aveva alcun diritto di invadere Timor Est. Del resto, lo stesso Sukarno, l'allora presidente dell'Indonesia, aveva più volte affermato che il suo paese non aveva alcuna pretesa sulla nostra isola».

Qual è stata la sua prima reazione alla notizia dell'intervento armato indonesiano a Timor Est?

«Una tristezza profonda; perché non ho avuto dubbi che con l'invasione indonesiana l'indipendenza di questa parte dell'isola sarebbe stata irrimediabilmente perduta».

L'organizzazione internazionale Amnesty International ha denunciato l'esorbitante numero di 200 mila morti in Timor Est, nel periodo che va dal l'intervento armato indonesiano sino ai nostri giorni, a causa della guerra, della fame e della carestia. Se si pensa che la popolazione di Timor Est non ha mai superato gli 800 mila abitanti, si può aver un'idea della grande sofferenza che ha colpito il suo popolo. Perché i mass media internazionali non hanno dato rilievo a questa tragedia?

«Dal 1975 al 1985, la maggioranza degli indonesiani non sapeva granché dell'intervento armato avvenuto in Timor Est semplicemente perché i loro mezzi di comunicazione non li informavano. La stessa cosa succedeva per i mezzi di comunicazione che provenivano dall'estero: tutto veniva controllato e casomai censurato. Quel poco che sapevano erano il pensiero e gli orientamenti della politica governativa. Ma molti mass media internazionali hanno preferito passare sotto silenzio i tragici avvenimenti di Timor».

I governi delle grandi potenze sapevano...

«Certo che ne erano a conoscenza. Anzi, erano conniventi. Prima dell'intervento militare, l'Indonesia aveva senza dubbio informato l'America e l'Australia delle sue intenzioni, e si suppone che abbia anche ottenuto la benedizione dall'allora presidente degli Stati Uniti, Gerald Ford e dal segretario di stato Henry Kissinger. Prova ne sia che nel 1977, quando gli americani sono entrati a far parte del Catholic Relief Service, non hanno mai fatto obiezioni sulla questione di Timor Est e si sono ben guardati dal fare qualsiasi tipo di denuncia».

Si sente parlare con una certa regolarità  di disordini, violenze e vittime a Timor Est. Quali sono le cause?

«La ragione principale è certamente quella politica. Con l'annessione l'Indonesia chiede l'integrazione di Timor Est con il resto della nazione. La maggioranza dei timoresi vuole, invece, un referendum per l'indipendenza. Soprattutto i giovani rischiano scontri con la polizia, prigione e anche la morte per il diritto fondamentale all'autodeterminazione. Devo dire, però, che non mancano quelli che opterebbero volentieri per una annessione all'Indonesia. Le due tendenze, essendo radicali, portano a dimostrazioni, scontri, retate della polizia, arresti, torture ... ».

Secondo lei, l'indipendenza dall'Indonesia sarebbe una soluzione giusta per l'avvenire di Timor Est?

«Ciò che è fondamentale, secondo me, è dare alla gente il diritto di poter esprimere il proprio parere. Il popolo deve essere sovrano ed è lui che deve decidere. Che, poi, Timor Est sia in grado di poter vivere in autonomia oppure no, questo è un problema secondario. Lasciamo decidere ai timoresi il loro destino, senza che nessuna potenza intervenga fornendo pareri interessati. Che un gruppo umano sia grande o piccolo non fa differenza. Ciò che è in questione è sempre la persona umana, la sua dignità  e i suoi diritti fondamentali. Parlando ai giovani chiedo sempre di prepararsi a essere dei bravi timoresi lavorando e studiando, perché l'indipendenza non è solo un diritto, ma un grande valore che deve essere raggiunto con i propri sforzi. L'indipendenza non cade dal cielo».

Che interesse può aver avuto l'Indonesia a invadere questo piccolo paese?

«La domanda che lei fa a me, io la rivolgerei ai responsabili della politica indonesiana. Perché tanto interesse per un lembo di terra che non presenta alcuna eccezionalità ? Perché sacrificare tanti giovani militari indonesiani in questa nostra terra? Per quale ragione spendere tanti soldi per mantenere l'ordine?».

Ho sentito parlare di petrolio...

«Sì, c'è il petrolio; ma credo che negli anni Settanta, al momento dell'invasione, il governo indonesiano abbia soprattutto considerato l'importanza strategica dell'isola, che poteva diventare base dei comunisti. Dopo la caduta del muro di Berlino e la disgregazione dell'ex Unione Sovietica, la paura di un governo comunista è solo una scusa».

Secondo lei, l'autodeterminazione non potrà  mai avvenire in Timor Est?

«Finché avremo un governo di militari e dittatori questo non potrà  avvenire».

Timor Est è quasi al 90 per cento cattolica. Oggi è difficile parlare di Dio e di amore per il prossimo, nel suo paese, in una situazione in cui violenza, povertà  e ingiustizia sono all'ordine del giorno?

«È molto difficile. Noi certo preghiamo per ottenere e offrire il perdono per le offese date e ricevute. Preghiamo per i nostri nemici... Ma spesso la gente - soprattutto i giovani - mi chiedono come sia possibile perdonare coloro che hanno ucciso i genitori, i fratelli... Con sincerità  devo dire che questo è il nostro dramma di oggi... Ma il vangelo è troppo chiaro su questo punto, e noi dobbiamo seguirlo per aver pace e far parte di coloro che sono dichiarati beati nelle persecuzioni».

Monsignore, ha mai temuto per la sua vita?

«Certamente. Ma sono convinto che si muore una sola volta, e possibilmente per rendere la vita degli altri migliore. E poi sono 250 mila le persone di Timor Est che hanno sacrificato la loro vita per avere libertà  di scelta... Immaginiamoci se un vescovo non possa sentirsi pronto a offrire la propria vita per la sua gente. La vita di un vescovo non è certo più importante di quella del suo popolo».

  

ATLANTE

Timor Est, la parte orientale dell'isola di Timor, fino al 1976 fu colonia portoghese e poi, venne annessa all'Indonesia. Si estende per 14.619 Km quadrati, conta 715 mila abitanti. L'altra parte, già  olandese, era diventata indonesiana nel 1946. Gli abitanti di Timor Est, di religione cattolica, non hanno gradito la nuova situazione, e dal 1975 lottano per l'indipendenza.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017