Morte nera a Monongah
A Crevoladossola si lascia la statale che sale verso il Sempione e si entra nella Valle Antigorio. Lungo il percorso si trovano non poche sorprese. Una di queste è la chiesa di San Gaudenzio di Baceno, «la più bella chiesa delle Alpi». Continuando a salire verso Formazza si raggiunge Premia, 700 abitanti, a 810 metri sul livello del mare. Proseguendo tra la muraglia di gneis che si alza da entrambe le parti e il rumore delle acque del Toce, arrivo a San Rocco. Qui termina il mio viaggio. Rinuncio alla salita verso le terre alte e misteriose di Formazza, tra i 1200 e i 1500 metri, territorio Walser nel quale ti inoltri dopo aver superato la cascata della Frua, una delle più belle d’Europa, con il suo salto di 143 metri. Tra il 1800 e il 1900 l’emigrazione transoceanica colpì anche i centri delle vallate ossolane già provate da un espatrio «europeo» nei secoli precedenti. Ho la sensazione che si tratti di una ferita «custodita» nel più profondo dell’anima e che il tempo non ha cicatrizzato.
Il 6 dicembre 2007 ricorre il centenario del maggiore disastro minerario americano, forse il più grave in assoluto nella storia estrattiva. Viene ricordato con il nome della località in cui esplosero contemporaneamente due pozzi carboniferi: Monongah, nel West Virginia. Un centro minerario con circa 3 mila abitanti e centinaia di immigrati provenienti da Italia, Russia, Grecia, Irlanda, Polonia. Il giorno predecente le miniere erano rimaste chiuse per via della festa di San Nicola e Santa Barbara. La Fairmont Coal Company, per risparmiare, non mantenne in funzione il sistema di aerazione. L’esplosione, alle ore 10-30 del mattino, fu violentissima e avvertita a chilometri di distanza. Il 19 dicembre 1907 un’altra deflagrazione porterà morte e lutto a Darr, in Pennsylvania. Anche qui numerose vittime italiane. L’elenco delle tragedie minerarie americane di quel periodo, è una lista atroce e infinita.
Secondo fonti attendibili, circa 1000 persone persero la vita nella sciagura di Monongah. Alle vittime ufficiali, si aggiungono bambini e aiutanti che ogni minatore «regolare» poteva portare con sé, senza l’obbligo di comunicarlo al datore di lavoro. Per via del cottimo. In seguito si sarebbero divisi il salario. Tra le 362 vittime, vengono rinvenuti 171 italiani provenienti da Molise, Calabria, Basilicata, Abruzzo, Puglia, Campania, Veneto; e un piemontese, Vittore d’Andrea, nato il 2 luglio 1869 a San Rocco di Premia (Verbania). Vittore d’Andrea era giunto a Ellis Island nel 1903. Il fratello, don Giuseppe, più anziano di un anno, era stato ordinato sacerdote nel 1892. Nel 1901 lasciò l’Italia per il Nuovo Mondo, e il 7 novembre dello stesso anno emise i voti perpetui a New Haven, nelle mani di monsignor Scalabrini. Quasi dimenticata la figura di questo sacerdote che, per un decennio, seguì la comunità italiana del centro carbonifero di Monongah.
Se ne riporta il nome nel momento della tragedia e delle cerimonie funebri. Nei mesi che seguirono la sciagura operò con il Monongah Mines Relief Committee di cui faceva parte anche l’italiano Filippo Pellegrini, originario di Atessa, in provincia di Chieti. Don d’Andrea «assistette le vedove e i figli delle vittime», curò il riconoscimento dei corpi, stilò centinaia di pratiche per la riscossione del misero indennizzo e le necessarie documentazioni per i comuni d’origine delle vittime, delle vedove e degli orfani. E collaborò instancabilmente con l’inviato del Regio Consolato d’Italia. Quell’anno «non si festeggiò il Natale a Monongah» dove regnavano gelo, fame e morte.
Il Comitato si riuniva in una stanza messa a disposizione dalla First National Bank of Fairmont. Per sei mesi la Remington prestò quattro macchine per scrivere. Qualcuno pagò la bolletta del gas. Qualche altro l’affrancatura della corrispondenza o il telefono. Un appello, lanciato sulla stampa nazionale e alla radio il 27 dicembre 1907 permise la raccolta di quasi 150 mila dollari.
Poco o nulla si è detto o scritto sulle attività sociali, culturali e religiose di Monongah. Niente sul dolore di padre d’Andrea per la scomparsa del fratello Vittore. Neppure quel che significò, per il giovane prete di San Rocco, l’esplosione del 6 dicembre 1907: l’incenerimento di ogni sforzo indirizzato a un amalgama sociale, culturale e religioso della comunità italiana di Monongah. Di lui è stata rintracciata, casualmente, una fotografia. Manca un’immagine della chiesa che innalzò e dedicò alla Madonna di Pompei.
Padre d’Andrea rimase a Monongah circa dieci anni, a partire dal 1904. Dalla documentazione rinvenuta nel Center for Emigration Studies di New York, si deduce che don d’Andrea fu persona di rilievo e valore. Gli atti, ingialliti dal tempo, ci presentano un sacerdote meticoloso, sia per quel che riguarda gli aspetti legati all’erigenda chiesa, sia per le annotazioni sui compensi per l’organista. Altri documenti registrano spese più minute, come i 20 centesimi utilizzati per l’acquisto di tabacco.
Diversi appunti riguardano momenti d’aggregazione della colonia italiana. Dal «Trattenimento del 31 dicembre» alla «Festa d’Estate», dove viene annotato anche l’incasso per la vendita di Ice Cream. Dalla creazione della «prima banda musicale Giuseppe Verdi» all’acquisto di strumenti e uniformi con una lista di ben 36 italiani decisi a vivere quell’«avventura». Fino a un dettagliato resoconto di costi e spese per biglietti e compenso per il direttore della banda stessa. Scrupolose liste documentano le offerte in occasione delle sottoscrizioni, su carta intestata della Fairmont Coal Company per liquidare parte dei debiti contratti per l’erezione della chiesa.
Dal registro delle messe emergono interessanti annotazioni, sia per lo storico che per il credente, come da alcuni certificati di matrimonio. Desta grande interesse il censimento dei parrocchiani, purtroppo non datato, con registrazione della paternità e del paese d’origine. I sette fogli si rivelano come un elenco delle vittime italiane della tragedia del 6 dicembre 1907.
Infine il necrologio del sacerdote scalabriniano, datato 23 marzo 1926, a firma di padre Vincent Jannuzzi della St. Joseph’s Italian Church di New York.
A San Rocco nessuno ricorda Monongah e i fratelli d’Andrea. Esiste solo la memoria di un’«antica e rilevante ondata migratoria verso l’America». Il sindaco di Premia, Elio Martinetti, dopo una giornata di lavoro, mi riceve in Municipio. «Dei fratelli d’Andrea non sapevamo nulla», esordisce nel suo piccolo e ordinato ufficio. E aggiunge: «L’emigrazione dalla nostra valle è un’antica tragedia che non ha risparmiato nessuna famiglia».
Dopo una breve pausa, continua: «Apprendiamo, con il centenario di Monongah, che due nostri valligiani erano attivi in questa località mineraria del West Virginia. Tra le 171 vittime troviamo un antigoriano, mentre il fratello sacerdote era a servizio della comunità. Ciò fa sì che si debbano approfondire le cause sul movimento migratorio dalla nostra Valle verso l’America e ricercarne la documentazione. E, dove possibile, tentare un contatto con i discendenti dei nostri emigranti».
Con il patrocinio del comune uscirà un’opera di narrativa che ricorda la tragedia e le vittime del 6 dicembre 1907. E, per il prossimo futuro, si programmerà un convegno sull’emigrazione verso le Americhe, possibilmente con l’esposizione di documenti e testimonianze che ricerche negli archivi comunali e parrocchiali, come presso privati, potrebbero portare alla luce.
Per quel che riguarda la tragedia di Monongah, si è accennato di dedicare un luogo pubblico a Vittore e a don Giuseppe d'Andrea e di provare ad organizzare un incontro con alcuni sindaci dei paesi colpiti dalla sciagura consumatasi sui monti Appalachi il mattino del 6 dicembre 1907.