’Na tazzulella ’e cafè

La disabilità ci sollecita a passare dalla cultura della bellezza a quella dell’originalità, dall’inutilità alla specificità. Una riflessione nata osservando alcune tazzine da caffè.
27 Febbraio 2012 | di

Come possiamo trasformare il dopo pranzo della domenica – durante il quale il calcio sembra l’unico argomento – in un pomeriggio di riflessione sulla disabilità? E se bastasse cominciare a bere insieme un semplice caffè? Proprio alcuni week-end fa, mentre sonnecchiavo davanti alla tv in un uggioso pomeriggio emiliano, la semplice visione di un set di tazzine colorate, in netto contrasto con il grigio del cielo, ha acceso la mia fantasia. Erano delle semplici tazze colorate di ceramica, che tuttavia avevano una forma un po’ insolita: erano infatti storte e sbilenche – probabilmente per inseguire i nuovi cliché del design moderno – proprio come succede ai bicchieri di carta quando hanno assolto il loro compito, e si buttano via. Ovviamente non posso dirvi la marca, ma di certo capiterà anche a voi di berci qualcosa. Quello che mi ha colpito di queste tazzine è stata, a dire il vero, la loro inutilità, tanto per cominciare, perché erano così imperfette e così scomode che non ho potuto non rivedermi in quei piccoli oggetti apparentemente inutili. A pensarci bene, però, come la maggioranza delle persone, ho fatto un errore di superficialità: mi sono concentrato sulla forma delle tazzine, sulla loro immagine, e non sul loro potenziale contenuto, proprio come molti fanno al primo impatto di fronte a disabilità evidenti. La mia domenica, dunque, è proseguita osservando queste tazzine: più le guardavo, e più mi identificavo in loro. Senza dubbio, le mie prime impressioni erano state affrettate.
 
Le tazzine, infatti, erano ergonomiche. Possiamo dire, addirittura, che non ci si accorgeva della loro comodità finché uno non le prendeva in mano. Parlando fuor di metafora, le mie prime impressioni erano state simili a quanto accade, spesso, alle persone che incontrano la disabilità. Finché non la si tocca con mano, con un atto di relazione, la disabilità resta, agli occhi dei più, una realtà scomoda, informe e, per certi versi, inutile. Però, come ci dimostrano queste tazzine, l’imperfezione, se è trasformata in modo creativo, può diventare non solo più utile del previsto, ma anche interessante e originale.
 
Molte volte, a scuola, durante le animazioni del «Progetto Calamaio», i ragazzi pongono queste domande: la disabilità è bella o è brutta? È comoda o è scomoda? Guardo di nuovo queste tazzine e mi viene spontanea la risposta: la disabilità non è né una realtà bella né una realtà scomoda, è semplicemente una realtà propria e originale, con il suo valore intrinseco. Le tazzine sono, a loro modo, attraenti perché, come ogni singolo individuo, mantengono le qualità e le peculiarità che gli sono proprie. Bisogna evitare di fare il mio stesso errore: giudicare prima di toccare. Alla fine ho gustato il mio caffè, con due cucchiaini di zucchero, in una di quelle tazzine. Era imperfetta, di colore rosso acceso… e devo dire che il caffè era davvero delizioso! E voi, che tazzine usate? Scrivete a: claudio@accaparlante.it o sul mio profilo di Facebook.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017