Natale a tutta birra
Ci siamo. Le luci iniziano ad accendersi, nei balconi, nei negozi, nelle strade. Le statuine del presepe vengono spolverate, i vivai brulicano di persone a caccia dell’albero giusto. La televisione propone continuamente programmi e spot che ci ricordano, proprio come quelle luci, come sia caldo, bianco e dolce il Natale. E come sia il caso di correre a far regali…
Nonostante la crisi, infatti, la pubblicità ci chiama allo shopping. Eppure quest’anno, tra dolciumi che ci fanno sentire più buoni, giocattoli imperdibili e diamanti per sempre ho notato qualcosa di diverso.
Una nota birra irlandese ha scelto una comunicazione particolare e rischiosa. Lo spot mostra una partita, forse un allenamento, di basket in carrozzina. Al termine della competizione, a sorpresa, tutti gli atleti si alzano. Tutti, tranne uno. La scena finale poi li ritrae tutti insieme al pub a gustarsi una birra.
Appena finito di guardare lo spot, ho iniziato a rifletterci sopra. Perché un marchio di birra così noto a livello mondiale utilizza la disabilità per pubblicizzarsi? La birra, nell’immaginario collettivo, non vuol dire gioventù, compagnia, freschezza e festa? Che c’azzecca tutto questo con la disabilità? La disabilità non viene forse associata con i termini opposti?
Considerazione prima: qualcosa è cambiato. Se una multinazionale di quel calibro, con esperti di marketing e comunicazione di primo livello, considera la disabilità un traino per il proprio prodotto, vuol dire che qualcosa a livello socio-culturale si sta modificando, non fosse altro che dal punto di vista dell’immagine.
Nel mondo globalizzato, la pubblicità è di certo una delle componenti sociali che aiutano a formare gli stili di vita delle persone, facendo loro conoscere il prodotto, forse plagiandole. Ma certo, nel bene e nel male, influenza la nostra società. Vedere in prima serata normodotati e persone con disabilità fare sport insieme e condividere una birra al pub è un messaggio che ci piace, e che alcuni anni fa non era pensabile.
Seconda considerazione: il rischio strumentale. La multinazionale in questione non ha di certo fatto una pubblicità per cambiare la prospettiva sull’handicap o per fare integrazione. L’ha realizzata per vendere un prodotto, per migliorare la propria etichetta. Qui si corre il rischio, plausibile, di interpretare la disabilità come puro mezzo utilitaristico, «sfruttandola» a fini commerciali. Sarebbe un film già visto: il povero sfortunato disabile usato per fare tenerezza, diciamolo pure, per impietosire. E si sa, visto che a Natale siamo tutti più buoni…
Lo spunto pubblicitario però è di certo innovativo ed è giusto discuterne. Nell’insieme credo che tutto questo sia positivo, una testimonianza di cambiamento che sposta il livello della discussione a uno stadio successivo, dalla presenza alle esigenze di normalità. Purtroppo, il rischio di svuotare e inflazionare la disabilità, lo sappiamo, è sempre dietro l’angolo.
Chissà se tra un bollito e una pasta al forno, al pranzo natalizio con i vostri parenti non parta questo dibattito.
Voi cosa ne pensate? Vi auguro buone feste.
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