Nel 2008 una Conferenza mondiale dei giovani
Bologna
In occasione del seminario organizzato dalla Consulta nazionale dell’emigrazione, abbiamo incontrato Elio Carozza, segretario generale del Cgie, Consiglio generale degli italiani all’estero.
Segafreddo. Qual è il suo parere sul tema della rappresentanza delle associazioni nel Cgie e nelle altre istituzioni nazionali?
Carozza. La discussione sulla rappresentanza e sull’associazionismo è centrale nei rapporti con i nostri connazionali all’estero; ne abbiamo dibattuto molto nel Cgie. L’arrivo in Parlamento di 18 rappresentanti delle nostre comunità all’estero, ci ha posto in una situazione nuova, obbligandoci ad affrontare le problematiche degli italiani nel mondo con un approccio nuovo rispetto al passato. Lo hanno evidenziato, quest’anno, anche alcuni interventi apparsi nei media italiani. La rappresentatività delle forze dell’associazionismo e della società civile nel Cgie è altissima: possiamo constatare che il 90% dei componenti del Cgie è espressione diretta dell’associazionismo italiano nel mondo. E la stessa percentuale si riscontra nei Comites. Questa rappresentanza è dunque parte integrante delle istituzioni italiane all’estero, un fenomeno che sottolinea come le realtà associative degli italiani all’estero abbiano avuto, fin dagli anni Novanta, una rappresentatività significativa. E ciò, naturalmente, garantisce sia il proprio futuro che quello della rappresentanza italiana all’estero. Se dovessero, poi, cessare di esistere le associazioni nazionali, rimarrebbe vivo l’associazionismo locale che già oggi opera con aperture e modalità diverse rispetto alle vecchie forme di rappresentanza.
Come vede oggi il fenomeno dell’integrazione degli italiani?
È un fatto assolutamente positivo che i nostri connazionali – chi più, chi meno – si integrino socialmente, culturalmente e politicamente nella vita dei Paesi d’accoglienza. Essi hanno giustamente e saggiamente scelto di impegnarsi nei contesti in cui vivono. E ciò vale soprattutto per i giovani. Anche se essi sono meno interessati, rispetto alle prime generazioni, a partecipare alla vita delle associazioni italiane, al contrario si sentono molto coinvolti dai problemi che riguardano situazioni ed eventi del resto mondo. Tuttavia, con la concessione del voto in loco, possiamo misurare il livello di interesse verso l’Italia: è proprio con l’esercizio di questo diritto che si concretizza la partecipazione. Per l’associazionismo all’estero, poi, tutto ciò rappresenta anche un’occasione per verificare, per il futuro, la propria reale efficacia di rappresentanza e attrazione anche verso le giovani generazioni integrate nei contesti in cui vivono.
Nel mondo ci sono 10 mila associazioni italiane, con circa 200 mila responsabili e soci aderenti. Una cifra significativa che palesa quanto esse abbiano fatto per mantenere vivi contatti e rapporti con l’Italia, con le sue regioni e i suoi comuni. Oggi, però, le cose potrebbero cambiare, proprio a causa del buon livello d’integrazione delle nostre comunità che hanno sempre meno bisogno dell’Italia. Al contrario è l’Italia che ha bisogno di queste comunità sparse nel mondo: un messaggio importante, questo, per chi governa e gestisce le istituzioni del nostro Paese. Per cui, se vogliamo che le nostre regioni, province e comuni possano «utilizzare» oggi il patrimonio e le risorse dell’altra Italia, dobbiamo lavorare uniti: Cgie, Comites, istituzioni, associazioni, regioni, comuni e mondo dell’informazione. Sono molti i segnali che ci dicono che c’è la volontà di approfondire questo rapporto: quindi vale la pena impegnarsi. Se, però, questi segnali dovessero rimanere tali, non propedeutici a un impegno concreto, lo si dica chiaramente, evitando alle istituzioni all’estero l’atteggiamento inutile e dannoso per tutti dell’autoreferenzialità.
Al convegno di Bologna, oltre al Forum permanente delle associazioni regionali, è stato auspicato un coordinamento nazionale delle Consulte dell’emigrazione.
Sono segnali della necessità che abbiamo di un coordinamento delle nostre iniziative. Nei mesi scorsi, quattro importanti enti locali – Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Provincia di Trento – hanno realizzato delle conferenze per i rispettivi giovani corregionali senza un reciproco scambio d’informazioni. Se, invece, avessimo avuto lo strumento del «Coordinamento», avremmo potuto programmare il lavoro, ognuno con le proprie prerogative e autonomie, ma con risultati più efficaci per tutti. C’è bisogno di un quadro di riferimento in cui ognuno – nel rispetto della propria autonomia – possa operare in maniera coordinata. Ad esempio, il convegno degli ottanta giovani convocati dalla Regione Emilia-Romagna in Argentina, si poteva organizzare a latere della Conferenza continentale del Cgie già in programma nella stessa Argentina. Lavoriamo tutti come volontari, gli uni per gli altri, ed è nostro dovere far emergere le occasioni di aggregazione.
Quali sono gli impegni e gli interessi prioritari del Cgie?
Abbiamo ripreso la nostra attività nel dicembre del 2006 dopo la fase post-elettorale e il blocco provocato dalle note sentenze. Tuttavia, credo che sia un merito del nuovo Cgie aver approvato, anche tra difficoltà, due documenti importanti e di indirizzo, consegnati al Parlamento e ai presidenti delle Regioni, sulla formazione della rappresentanza dello stesso Consiglio, e sul tema dell’informazione e della riforma dell’editoria. La partecipazione degli italiani all’estero alla vita politica e culturale del nostro Paese è unita alla qualificazione di un sistema informativo circolare: rivolto alle nostre comunità all’estero e da esse agli italiani residenti in Italia. È la prima volta che il Cgie, a nome degli italiani nel mondo, ha dato un parere al Governo e anche alla Rai, sul ruolo dell’informazione e dell’editoria.
Uno degli interessi prioritari del Cgie è legato al voto in loco. La cifra di coloro che hanno votato nelle ultime elezioni politiche, però, non esprime la vera consistenza della presenza dei cittadini italiani nel mondo. Solo le associazioni che vivono sul territorio e sono a contatto con le nostre comunità, con i rappresentanti dei Comites, del Cgie e delle altre realtà aggregative, possono conoscere e coinvolgere quell’altra parte degli italiani che ancora non partecipa alla vita socio-politica del nostro Paese. Ma la concessione del voto in loco non basta. In questi mesi abbiamo cercato di far emergere, in ogni circoscrizione consolare, le risorse che già esistono per sollecitare una maggiore partecipazione ai lavori del Cgie.
Quali sono gli obiettivi che il Cgie vuole raggiungere a favore delle nuove generazioni?
Senza distogliere l'impegno per le prime e seconde generazioni, siamo innanzitutto interessati ai giovani oriundi. Nella prossima Assemblea generale del Cgie, infatti, oltre alla riforma della legge sulla lingua e cultura italiana, abbiamo in programma l'organizzazione della Conferenza mondiale dei giovani che pensiamo di tenere entro il 2008. All'ultima Conferenza del Cgie hanno già partecipato 22 giovani residenti all'estero che hanno gestito una loro «giornata»: ci hanno spiegato chi sono e cosa fanno nei rispettivi Paesi di residenza. Finito l'evento hanno continuato a tenersi in contatto e creato una rete di rapporti. Ogni giovane ha coinvolto così, nel suo Paese, almeno una trentina di coetanei. Recentemente li ho contattati per stimolarli a preparare un documento che presenti al governo i contenuti e il percorso della Conferenza mondiale dei giovani, impegnandoli a designare i loro rappresentanti alle Commissioni continentali del prossimo ottobre. È una grande scommessa. Non basta, infatti, cambiare dei presidenti di associazioni, carichi d'età e d'esperienza, con dei giovani se non sono preparati a gestire un'associazione con stile e modalità innovativi. È giunto il momento di dare loro più spazio e fare in modo che nel rinnovo delle cariche associative si inseriscano nuove leve: giovani e donne. L'impegno di sollecitare l'associazionismo giovanile, di sostenerlo e preferirlo a quello di carattere «tradizionale» è dunque una scelta dovuta. La vita oggi è più aperta e diversa rispetto al passato, e non possiamo pretendere che i giovani oriundi si comportino in modo diverso dai propri coetanei. Dobbiamo dunque sostenerli, dare loro spazio e possibilità di creare altre forme d'associazionismo, mirate all'incremento della presenza italiana nel mondo.