New York, quattro mesi dopo

I focolai tra le macerie delle Twin Towers si sono spenti. E ora inizia la riflessione. Dal cuore ferito dell’America nascerà un Paese più forte.
02 Gennaio 2002 | di

 New York

La verità  è quella comune a tutte le guerre, i conflitti, le tragedie: il tempo sana le ferite. Lo stesso vale per il dramma di New York. Dopo quattro mesi dal disastro delle Twin Towers, siamo tornati nella Big Apple per capire cos";è cambiato di quest";America: quella dei sogni e delle speranze. Siamo andati per la strada, dentro le famiglie, le chiese, nei luoghi più tradizionali e intimi della gente comune, laddove s";incontrano e si mescolano irlandesi, cinesi, italiani, sudamericani, africani, pakistani, afghani... Ovvero, quello che qui chiamano il popolo della City. «New York non è l";America`€¦ è molto di più!». La città  senza volto e dalle mille facce, oggi ha un dramma che sembra accomunare tutti: dentro quelle Torri era rappresentato il mondo intero.

Il cardinale Egan che fu tra i primi soccorritori giunti sotto le Twin Towers ha detto: «Il sangue così come il dolore o la speranza, non fanno distinzione di razza e nazionalità . Quando ti colpisce, t";impone una sua prova che è inevitabilmente un confronto spirituale per tutti; atei o credenti che siano». Anche il Natale appena trascorso non è stato lo stesso di sempre. Le luci erano le stesse, così come le vetrine con i colori ai quali la metropoli ci ha abituato. C";era anche quella voglia di tornare a vivere come aveva auspicato il sindaco uscente Rudolph Giuliani nel giorno del suo commiato. C";era quasi tutto, ma forse, in troppi sapevano che mancava l";indispensabile. Il tempo è troppo breve perché impedisca al pensiero di ritornare al Punto Zero, a «Ground Zero».

Per molti, il Natale non è bastato a nascondere i drammi personali e le preoccupazioni per il futuro. I dati lo confermano: dopo gli attentati dell";11 settembre sono più di centomila i disoccupati, migliaia gli orfani e le famiglie colpite. Il turismo è crollato, così come l";idea sfavillante della Grande Mela. Niente è più come prima. Nemmeno per Francesca De Graff, romana di 28 anni, trasferitasi qui da tempo. Lo conferma lei stessa: «In questa città  dove tutto supera le dimensioni umane, e l";individualismo è quasi una legge, conobbi un amico. Uno di quelli che incontri casualmente senza sapere che poi diventerà  uno degli affetti più cari. L";ultima volta che lo vidi era la fine di agosto, si era sposato da poche settimane. Il suo ufficio era in una delle due Torri. Quel mattino non è mancato all";appuntamento con la morte».

«Scott non l";ho più visto "; le fa eco Francesca G. ";. Di lui non è rimasto altro che un pensiero su cui piangere». È diventato un missing, uno delle migliaia di dispersi tra quelle colonne di fumo: «Ancora oggi "; conclude Francesca con le parole rotte dalla commozione "; non posso immaginare di aver ";respirato"; il mio migliore amico!». La sua è una delle tante testimonianze che camminano per strada, dietro quelle facce di sempre della gente dei quartieri.

 

Quegli italiani tra le Torri

 

Fino a qualche tempo fa, l";odore acre del fumo che si levava dalla voragine occultata dai grattacieli, arrivava anche nel quartiere di Little Italy. Una zona storica, oltre che turistica, tra le più celebri. Una roccaforte italiana, insidiata dalla vicina China Town. Anche qui la crisi è evidente, sottolineano i molti gestori di ristoranti dai nomi squisitamente italici, come Sorrento, Napoli, Palermo... Indice soprattutto delle zone di provenienza dei primi emigranti d";inizio secolo. «Qui "; ci dice Franco G., calabrese, 47 anni, molti dei quali passati in varie parti del mondo e giunto dieci anni fa a New York per vendere sigari italiani e cubani "; il vero emigrante-tipo è scomparso del tutto. Non ci sono più i poveracci che arrivavano per fare fortuna. Chi viene oggi è semmai il laureato in cerca di laboratori di ricerca o di fondi. È il businessman in carriera, assai diverso dalla generazione che ci ha preceduto. Ormai qui sono quasi tutti di seconda generazione. Sta di fatto che, dopo il crollo delle Torri, niente è più come prima, sia per noi sia per gli americani. Il sogno americano, forse, è finito per sempre`€¦ probabilmente presto torneremo a vedere le auto di seconda mano. Spariranno molte limousine che circolano per le strade. Già  ora sono molti in meno quelli che vengono nei ristoranti italiani, e non solo. C";è crisi, è inutile nasconderselo! Oggi più che mai se vuoi un lavoro serio, devi rivolgerti agli amici giusti».

 

Il grande vecchio di Little Italy

 

È seduto in un cantuccio del suo negozio tra santi di gesso e giornali italiani che vende ormai da più di settant";anni, in una delle strade più note del quartiere italiano. Lui è considerato da tutti il grande vecchio degli italiani di New York. Figlio di emigrati napoletani, Luigi Rossi ha 91 anni, e nonostante due bastoni che lo aiutano a camminare, non ha perso lo spirito del commerciante. Era seduto sulla stessa sedia anche l";11 settembre scorso quando, sotto il crollo delle due Torri moriva anche un suo nipote, un pompiere di 35 anni. «Nella mia vita ne ho viste tante "; racconta "; ma mai ho vissuto una tragedia del genere. Credo che da quel giorno anche la mia New York sia morta. Qui non passa più nessuno, vendi uno o due giornali al mattino, e poi aspetti che arrivi la sera. Ai miei tempi eravamo quasi tutti poveri; e tutto era più facile. Oggi l";America è diversa`€¦ tanto diversa, a tal punto che stento a riconoscerla!».

 

Crediamo alla democrazia dell";America

 

Quando parliamo del futuro, Marisa Cerlieco, 62 anni, emigrata nel lontano `€˜69, dice: «Vivo qui da molti anni. Ho passato la mia vita con mio marito Edoardo, e mai come ora, non vedo un futuro per noi». Il suo è un italiano che sa poco di americano ma ancora molto di triestino. «Come posso dimenticare la mia Italia? In questi mesi, purtroppo, sto rivivendo la mia seconda guerra mondiale, dopo che all";età  di otto anni, scappai come profuga dalla Provincia di Pola con la convinzione che per noi istriani e dalmati quello era un secondo olocausto. Quando ho visto accartocciarsi le due Torri, mi è tornato alla mente tutto il mio passato che speravo di aver dimenticato. Vorrei stringere la mano a tutte quelle persone che hanno perso qualcuno là  sotto. E vorrei ricordare a coloro che continueranno a vivere in America, soprattutto ai giovani, di credere sempre nelle radici democratiche di questo Paese».

New York si maschera, ma anche si dispera. Come capita a coloro che hanno oltrepassato la linea rossa della tragedia: qui come in Bosnia, Rwanda, Afghanistan: il dramma si ripete inesorabilmente.

«Sicuramente qualcosa di profondo è mutato "; sostengono padre Giuseppe Cogo e don Al Barozzi, uno vicentino e l";altro trentino, che da anni esercitano il loro apostolato tra i grattacieli di New York-. Molto è cambiato e molto altro ancora cambierà  nel cuore di questa gente».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017