Nicola Piovani. La musica nel sangue

Pianista, compositore di colonne sonore e direttore d’orchestra, ha collezionato un Oscar e tre David di Donatello. A 43 anni dall’esordio nel cinema, per la sua ultima fatica teatrale il maestro romano ha scomodato James Joyce.
24 Febbraio 2012 | di

Colorata come la sciarpa che indossa, essenziale come il bianco e nero dei tasti del pianoforte. Così si può riassumere la personalità di Nicola Piovani, compositore e direttore d’orchestra le cui musiche riecheggiano nei teatri, nelle piazze e nelle sale cinematografiche italiane e straniere, donandoci racconti fatti di note che lasciano il segno. L’Oscar per le musiche del film La vita è bella di Roberto Benigni, i David di Donatello ma, soprattutto, «gli applausi sinceri del pubblico» – come lui stesso ammette –, rivelano il talento di un musicista che, con un trascorso di oltre 150 opere composte, ha scritto pagine importanti della «musica da film».

Trampolino di lancio per la carriera di Nicola Piovani è la collaborazione con Fabrizio De André: sue sono le musiche degli album Non al denaro, non all’amore né al cielo e Storia di un impiegato. Gli esordi del maestro, però, sono datati 1969, quando compone la colonna sonora per il lungometraggio di Silvano Agosti N.P. Il segreto. La sua vita è ricca di avventure lavorative che lo portano in giro per il mondo, a impegnarsi su vari fronti. Qualità ed energia di questo artista non passano inosservate in Italia, così come all’estero. Nel 2008 l’allora ministro francese della Cultura, Christine Albanel, gli conferisce il titolo di Chevalier dans l’ordre des arts et des lettres. Un anno dopo Nicola Piovani compone, su testo di Eduardo De Filippo, la cantata sinfonica Padre Cicogna, rappresentata al Teatro San Ferdinando di Napoli, con la voce recitante di Luca De Filippo. È un’occasione speciale che gli permette di cimentarsi anche nella direzione d’orchestra del Tea­tro San Carlo.
Felice di affrontare sfide e generi musicali ogni volta diversi – «Mi piace molto cambiare. E una vita senza musica per me è impensabile» –, lo scorso settembre questo poliedrico artista di origini romane si è lanciato in un nuovo progetto: «Porto in scena Viaggi di Ulisse, un racconto in musica per strumenti e voci recitate in cui si può ascoltare la voce di James Joyce, riproposta grazie a una rara incisione». Un altro esperimento, per l’appunto. Un po’ come questa intervista…

Msa. Per una volta al maestro tocca scendere dalla cattedra – o meglio dal podio – e rispondere alle domande. Che cos’è per lei la storia?
Piovani. È il nostro passato a cui attingere quotidianamente, per capire qualcosa di più del presente e progettare un futuro cosciente.

Passiamo alla geografia. Se le dico «luoghi» cosa le viene in mente?
Non sono un grande viaggiatore: è un limite con cui convivo serenamente. Il motivo che mi spinge fuori casa è quasi sempre il lavoro. Quanto ai luoghi, sono quelli su cui è scritta una parte della mia storia personale: dal portico di Ottavia a Roma a piazza Padella a Corchiano (VT), da piazza del Campo a Siena all’hotel Porta Rossa di Firenze. E ancora, da via della Conciliazione a Roma – che da bambino percorrevo tutti i giorni per andare a scuola –, al quartiere Trionfale, in cui sono nato. Sono luoghi familiari, dove mi piace tornare e ritornare. Certo, ripeto, il mio è anche un limite. Probabilmente non andrò mai sull’Himalaya, nonostante le fotografie confermino che dev’essere un luogo spettacolare.

Ora le materie scientifiche: che cos’è per lei la matematica, visto che al «numero 7» ha dedicato addirittura una suite orchestrale chiamata Epta?
Si tratta di una suite improntata alla tradizione e al fascino del numero sette nella mitologia, nella Bibbia, nella matematica e nella poesia. Senza seguire un ordine logico, parla di un’attrazione in grado di turbare l’animo. Ma, tornando alla matematica, direi che è un mistero orfico che – specie quando viene applicato alla realtà materiale – mi introduce in labirinti seducenti, incomprensibili e inquietanti. A differenza dei misteri religiosi, tuttavia, la matematica ha per me una indiscussa patente di credibilità, perché fornisce verità garantite da scienziati, logici e pensatori. Quando uno scienziato mi dice che esiste l’antimateria, io ci credo. Ma è senza dubbio un mio atto di fede.

Qual è il suo rapporto con la fede?
Non sono un praticante, o meglio, lo sono saltuariamente. Però ho un profondo senso religioso per la sacralità della vita. E rispetto la religione, anzi le religioni. L’apice più sacro che conosco si chiama mistero. Coltivo questo culto leggendo libri scientifici; sono quelli che più mi trasmettono una sensazione di religiosità.

Qual è stato il primo lavoro importante, quello che le ha permesso di «piantare i piedi» nel difficile panorama musicale?
Forse Nel nome del padre, il film che Marco Bellocchio coraggiosamente mi affidò nel lontano 1969, basandosi sul credito che mi aveva dato l’ancor più spericolato Silvano Agosti.

Che tipo di difficoltà e quali soddisfazioni competono al mestiere del musicista?
Chiunque intraprenda una carriera artistica trova le medesime difficoltà. Pittori, scrittori, scultori incontrano gli stessi ostacoli, perché è difficile scovare il vero talento. Nulla, però, è più bello di un pubblico che partecipa e condivide la tua arte.

Viaggi di Ulisse è la sua ultima fatica. Da dove nasce l’esigenza di realizzare uno spettacolo che è un misto di passato e presente, disegni, parole e musica?
Ulisse è un personaggio dalle cento facce, un eroe a cui il termine eroe va stretto, perché è anche un antieroe, un disertore. Ma, prima ancora, Ulisse è l’uomo che a tutto antepone la curiosità, il desiderio di conoscenza dell’ignoto. È un personaggio che in me ha sempre suscitato una seduzione unica. Possiede quel coraggio di rischiare, quella voglia di uscire dai perimetri che ci sono assegnati, quella febbre che forse ognuno di noi vorrebbe avere. Ma, come si dice, spesso il coraggio non ci manca, è la paura che ci frega.

Che cosa intende quando definisce Pier Paolo Pasolini, l’interprete di Ulisse, un profeta?
Un profeta è semplicemente un pensatore che, prima di noi, riesce a vedere dove sta andando la realtà, quali sono gli scenari futuri e, soprattutto, quali sono le trappole del presente.

Lei passa dalla composizione per il grande schermo a quella destinata al teatro senza batter ciglio: qual è la differenza tra questi due tipi di musica?
Una musica scritta per il cinema ha bisogno di una semplicità comunicativa, che spesso richiede un forte lavoro di ricerca. Invece la musica da concerto, o da teatro musicale, permette e richiede una maggiore densità espressiva, doverosa nei confronti di un pubblico che sta seduto, o a volte anche in piedi, silente, ad ascoltare per ore. È giusto esprimere la complessità di ciò che suoniamo.

Che consiglio darebbe a un giovane desideroso di intraprendere la sua stessa carriera?
Di seguire i propri desideri e le proprie ispirazioni, sentendosi prima di tutto libero nella mente.
Chi vuol fare della musica un mestiere deve mettere in preventivo lunghi anni di studio: occorre essere disposti a comporre e scomporre di continuo. Il successo è un pensiero secondario. Ciò che fa la differenza in questo lavoro è il piacere di comunicare e condividere col prossimo un’emozione musicale, poco importa se la cosa avviene in un teatro gremito o tra pochi amici. Non sottovalutiamo, infine, l’importanza di ascoltare la musica con attenzione e senza pregiudizi. In questo senso, tutti i generi sono benaccetti, anche quelli che apparentemente non c’entrano nulla con i nostri gusti, le nostre tendenze, i nostri tempi.

In un mondo accelerato, omologato e sempre più virtuale, come il nostro, che ruolo ricoprono la musica, il teatro e l’arte in genere?
La musica teatrale – e non solo la musica, ma anche la danza, la prosa, la poesia dal vivo –, ovvero l’espressione artistica che vive in un teatro, con artisti e un pubblico in carne e ossa, è forse il più grande antidoto che abbiamo contro il rischio di smarrimento sociale ed espressivo che la nostra civiltà sta correndo.
Che siano sperimentali o accademici, tappezzati di velluto rosso o invece formati da poche scomode panche, che siano affollati o eroicamente semivuoti, i nuovi teatri che nasceranno nel nostro Paese saranno una ciambella di salvataggio contro l’incombente deriva televisiva.
 
 
La scheda
Non solo cinema


 
Nicola Piovani nasce a Roma nel 1946. Dopo il diploma in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, compone oltre 150 colonne sonore per registi come Federico Fellini, Mario Monicelli, Nanni Moretti, Giuseppe Tornatore, Roberto Benigni, John Irvin, Sergej Bodrov. Nel 1999 vince il Premio Oscar per la musica del film La vita è bella. Tra i riconoscimenti, il maestro vanta tre David di Donatello, quattro Premi colonna sonora, tre Nastri d’argento, due Ciak d’oro.
Ottiene due nomination ai César, oltre al premio del pubblico e la menzione speciale della giuria al Festival Musique et Cinéma di Auxerre. Compone musiche di scena per Carlo Cecchi, Luca De Filippo, Vittorio Gassman e molti altri. Realizza con Luigi Magni e Pietro Garinei la commedia musicale I sette re di Roma. Si cimenta anche in opere da concerto come: La cantata del Fiore, La cantata del Buffo, Romanzo musicale, Stabat mater, La Pietà – tutte su testi di Vincenzo Cerami –. Il 2005 è l’anno de L’isola della luce, su testi di Omero, Sicilo, Vincenzo Cerami, Giorgos Seferis e Mesomede da Creta.
  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017