Non cadiamo nella trappola dei terroristi

Parafrasando il Santo Padre, questo profeta postmoderno, oseremo scrivere che "il terrorismo è un male necessario", da affrontare: con fermezza sì ma senza isterismi.
27 Ottobre 2004 | di

Certamente Sabina e Jessica, le due sorelline di Dronero uccise dai terroristi che han mutato Taba e quell'Hilton in un carnaio,  avran sentito parlare, in casa, del terrorismo. Troppo giovani per aver vissuto l'occupazione tedesca, ne han saputo gli orrori attraverso il discorso dei propri genitori. Di più: in un paese serio e quadrato qual è Dronero, la Resistenza al terrorismo ateonazista non è mai stata messa in soffitta com'è accaduto altrove, e non mi risulta che certo revisionismo (frutto di senescenza coniugata con l'opportunismo) scatenato da giornalisti-scrittori già  eccessivamente de sinistra abbia fatto breccia nella Provincia Granda.
Un giornalista-scrittore doc qual è Giorgio Bocca, uno che la Resistenza l'ha fatta rischiando la pelle, combattendo (ad armi impari contro le SS, insomma: sul serio - e non l'ha mai rinnegata questo è importante), ha scritto che al tempo turpe dell'occupazione tedesca all'ingresso in Dronero, presso la fontana, c'erano posti di blocco con le mitraglie pronte a sparare.

Bocca spiega che la violenza nazista, coniugata con la ferocia repubblichina, non sarebbe giunta a sorpresa, c'era stato il preavviso, sinistro, Dronero era un paese assediato, mentre il terrorismo che è arrivato ora con le due ragazze uccise a Taba, è stato invece una sorpresa. Le due sorelline Rinaudo, ammazzate nella stanza 502 del mitico Hilton, lì sul Mar Rosso ch'è di cobalto a specchio di dune biancogialle, non si rendevano conto (e come loro tutti i vacanzieri, israeliani e no) d'essere arrivate in prima linea. E probabilmente, dice ancora Giorgio Bocca, per i cittadini di Dronero l'idea di poter essere bersaglio del terrorismo era remota, non potevano immaginare che quel lontano paese dei balocchi (...) fosse una trappola mortale.
Adar retta agli esperti tutto il mondo che siamo abituati a frequentare è sotto schiaffo: l'idra terroristica allunga dovunque i suoi infami tentacoli, l'insidia sabota il nostro quotidiano, la morte è dietro l'angolo. Sarà  proprio così? Se la risposta fosse affermativa dovremmo, dunque, stravolgere la nostra vita? No. Assolutamente no. Se la sindrome dell'attentato dovesse fagocitarci, sarebbe la fine.
Con tutto il rispetto, non sono affatto d'accordo con quei lettori che mi han scritto c/o La Stampa (il giornale in cui lavoro dal 1963) per deplorare, condannare eccetera quella che ritengono sia una assuefazione al terrorismo. I lettori assumono che il fatto che la quasi totalità  dei turisti (italiani) abbia confermato la vacanza sul Mar Rosso sia da giudicarsi negativamente. No, amici cari, distrarsi da quel che accade non è affatto l'unico modo, oramai, di fare i conti con una realtà  che non vogliamo accettare. E non è vero che confermare la vacanza a Sharm-el Sheikh dopo il recente massacro sia dimostrazione di indifferenza.

Non ci siamo affatto assuefatti (al terrorismo), la verità  è che stiamo cominciando a imparare a convivere con le insidie del nostro tempo presente. E ciò deve confortarci, non fosse altro perché manda all'aria il disegno del terrorismo islamista che è quello di seminare il panico per paralizzare - terrorizzandoli - i Paesi islamici rei di gravitare nell'orbita occidentale, impaurendo, al tempo stesso, la gente occidentale, i Paesi alleati degli Stati Uniti.
Sicuramente ci attendono giorni non facili ma prima o poi l'incubo finirà . Mai nella Storia in terra islamica la contestazione  s'è tramutata in istituzione. C'è il Nulla alle spalle dei terroristi della galassia islamista e non c'è più prospettiva che non sia l'implosione. Parafrasando il Santo Padre, questo profeta postmoderno oramai in San Pietro da ventisei anni, oseremo scrivere che il terrorismo è un male necessario, da affrontare: con fermezza sì ma senza isterismi.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017