Non cercate il Vivente nel passato
«Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto». Se lo sentono dire le donne che per prime scoprono il sepolcro di Cristo vuoto, ed è lo stesso annuncio che noi riviviamo in ogni celebrazione della Pasqua, il mistero che fonda la nostra fede. Risorto da morte, Cristo è il Vivente, presenza salvifica nella storia dell’umanità. Un messaggio radicalmente paradossale che esige da ogni autentico credente una risposta altrettanto paradossale. L’afferma Søren Kierkegaard nel suo Esercizio del cristianesimo: «Ciò è possibile soltanto se Cristo non viene considerato esclusivamente un personaggio storico, per quanto straordinario, ma un “vivente”, un “contemporaneo” che chiede a ciascun uomo di seguirlo “qui e ora”». Essere cristiani significa essere contemporanei di Cristo. «La presenza di Gesù in terra non diventerà mai un evento del passato; fin quando esiste un credente, bisogna ch’egli sia stato e sia contemporaneo della sua presenza; questa contemporaneità è la fede stessa», aggiunge il filosofo danese.
Cogliendo, nel nostro rapporto di fede, la contemporaneità di Cristo, noi poniamo radici profonde alla nostra identità cristiana, in un tempo in cui emergono nella cultura, nella società e nella politica tanti segni dell’assenza di Gesù, risorto da morte dopo aver donato un messaggio-guida per la salvezza dell’uomo. Relegandolo come un personaggio del passato, noi intacchiamo la sua identità, togliamo alla sua presenza, vissuta con i discepoli e i credenti d’ogni tempo, la contemporaneità e la forza salvifica del suo Vangelo.
«La Chiesa ha individuato come necessaria e urgente la stagione di una nuova evangelizzazione perché la trasmissione della fede possa ritrovare fluidità e diventare frutto quotidiano di ogni vissuto cristiano» ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, aprendo il recente convegno romano sul tema: «Cristo nostro contemporaneo». L’impegno, come quello delle donne al sepolcro, è di divenire annunciatori della risurrezione di Gesù nel contesto di una società che verso questo evento presenta segni di distacco, svuotandone il significato. Invece l’apostolo Paolo, nelle sue lettere, presenta la risurrezione come il kérigma, ovvero l’annuncio-cuore del Vangelo e della fede cristiana.
Ma come non possiamo porre la presenza di Gesù solo nel passato, così non possiamo separarlo dalla sua Chiesa, di cui è fondatore, riducendola a struttura umana. La credibilità della Chiesa è garantita oggi dalla vitalità del Magistero che, in Benedetto XVI, offre continui approfondimenti sulla persona di Gesù. A ciò si aggiunga un certo risveglio di testimonianze, in movimenti e cammini di fede che stanno ridonando alle comunità cristiane aggregazioni e prospettive collegate alla nuova evangelizzazione.
Il cristianesimo, del resto, è seguire una persona, non una dottrina. Così avvenne per i due discepoli di Emmaus e per gli apostoli dopo la risurrezione; così avviene per la vita di ogni credente; così la presenza di Cristo Gesù e la sua contemporaneità diviene rapporto d’amore, dopo l’incontro personale con lui. Credere significa, infatti, parlare cuore a cuore, come scriveva san Francesco di Sales. Un motto che il grande convertito, John Henry Newman, il più autorevole apologista della fede che la Gran Bretagna abbia avuto, scelse come motto per la sua esperienza di vita: «Cor ad cor loquitur».