Non è tutto nero come sembra

Il parere di parroci e laici impegnati a Roma ad animare la pastorale nelle parrocchie.
04 Aprile 2001 | di

Una stanza sobria, quasi spoglia. Alle pareti, un' icona, il crocifisso, il disegno di un bambino. Sulla scrivania tanti libri. Paolo VI, Il Concilio, La Bibbia di Gerusalemme. Don Enrico Ghezzi è un milanese trapiantato a Roma da quasi quarant' anni, da dieci è parroco a San Vigilio, all' Eur. «Minoranza? Lo dimostra la frequenza ai sacramenti, in netto calo rispetto al passato. E molti lo fanno per tradizione: una volta ricevuto il sacramento, finisce la formazione religiosa».
Quali le cause? Don Enrico non ha dubbi: «Il Papa dice che bisogna ritornare al Concilio e che la Chiesa deve dialogare. Ma se la Chiesa dice no ai divorziati, no agli omosessuali, no al la genetica, no a tutto... con chi dialoga? D' altra parte, c' è un ritorno massiccio ai santuari e alle immagini devozionali, all' elemento religioso come a una fonte di sicurezza psicologica».
Come è cambiato il ruolo del parroco in questo contesto? «È rimasto punto di riferimento per i momenti più importanti della vita. E la parrocchia resta l' immagine della Chiesa universale, a meno che non abbia perso la sua identità  facendo monopolizzare tutto dai movimenti».
 Quali consigli dare ai giovani parroci? «Oggi per fare il prete occorrono grande amore a Gesù Cristo, passione per il popolo di Dio, e spirito di sacrificio. Non so se i seminari educhino a queste cose. D' altra parte, a furia di pensare a un laicato silenzioso, i laici sono scomparsi».
«È vero, testimoni faro oggi non se ne vedono più tanti in giro - commenta Paola Moreschini, viterbese, avvocato, mamma di Davide e Lorenzo, sposata con Beniamino Lecce, 'semplice cristiana' impegnata con l' associazionismo dei consumatori - . Eppure, non condivido il pessimismo che c' è in giro: c' è una larga fetta di cristiani, che probabilmente non frequenta la comunità  ecclesiale, ma ha un atteggiamento interiore docile, di servizio e di attenzione agli altri, forse a differenza di altri che frequentano la chiesa e hanno il cuore duro come un sasso».
Paola non si sente minoranza e mette in guardia: «Questa tendenza di contarsi a me non piace molto, anche perché, qual è il criterio per farlo? La fede forse è l' unico ambito in cui i sondaggi non sono affidabili». Nessuna amarezza, dunque, ma anzi sorpresa. «Rispetto a una società , e a volte purtroppo a una Chiesa, basate sull' immagine e sui consumi, resto sempre sorpresa la domenica quando a messa vedo tante persone disposte a 'perdere' un' ora per portare avanti un discorso di fede», conclude la signora Lecce.
Un invito al discernimento viene da don Giambattista Angelo Pansa. Bergamasco, da trentatré anni a Roma, da sette guida la parrocchia della Trasfigurazione, nel quartiere Monteverde. «La cristianità  diffusa? Mi piacerebbe sapere quando c' è stata! Mi sembra che si stia equivocando, perché si contrappone ai fasti di un passato inesistente un presente che invece sarebbe disastroso».
Don Giambattista ricorda che quando era viceparroco di borgata, ventisei anni fa, la frequenza alla messa domenicale era più bassa rispetto a oggi. «Una scissione tra fede e vita è in atto ormai da molti anni nel nostro paese, anche se la grande maggioranza si professa ancora cattolica. La novità  sta nel fatto che soprattutto la globalizzazione della comunicazione ha portato alla relativizzazione dell' appartenenza religiosa. Ma questo - dice il parroco - non significa che sia cambiato il ruolo della parrocchia. Resta la fontana del villaggio, il luogo di incontro con Dio e di formazione delle coscienze. Tutti dicono che bisogna rifondare le parrocchie, eppure sono l' unica cosa che ancora regge. Tanto pessimismo sull' oggi è sfiducia nello Spirito santo, è come dire che la Chiesa del passato ha sbagliato in tutto! Non è possibile senza un discernimento serio liquidare la cultura contemporanea come antireligiosa: questo rischia di essere un alibi per gli operatori pastorali, per non impegnarsi e scavarsi delle facili trincee».
Niente minoranza, allora? «È un' analisi equivoca, perché rischia di accompagnarsi all' idea della forte identità  da difendere, anche in modo aggressivo, in lotta con il mondo. Così si cade in un vittimismo di maniera, che parla di un ritorno catacombale». Dalla collina del Gianicolo al centro di Roma. In viale Mazzini c' è la chiesa di Cristo Re, retta dai dehoniani. Padre Angelo Arrighini la guida da dieci anni. «Ufficialmente non credo si possa parlare di minoranza, ma di fatto sì: a parte il calo delle vocazioni, basta considerare che su tre battesimi, due sono figli di coppie conviventi, e alle prime comunioni, in quasi la metà  dei casi si tratta di ragazzi di separati o di divorziati. Purtroppo, i genitori non sono più in grado di trasmettere un certo humus cristiano. Insomma, non viviamo in una situazione di ostilità , ma di indifferenza».
«Il paradosso - dice padre Arrighini - è che si percepisce la necessità  di una missione all' interno delle nostre comunità , ma non c' è mai stata, come oggi, una fioritura di corsi biblici, di documenti del magistero, di sussidi audiovisivi, di istituti di scienze religiose& Forse una delle cause è il mancato aggiornamento, la mancata percezione del problema della comunicazione che c' è tra sacerdoti e mondo. Continuiamo a usare un linguaggio che non trasmette più nulla».
«Uno dei punti di forza della parrocchia - commenta padre Angelo - è la partecipazione dei laici e il lavoro del Consiglio pastorale», e tra i laici «impegnati» a Cristo Re c' è Giovanni Bachelet. Classe ' 55, sposato con Silvia Fasciolo (Agesci), quattro figli, docente di fisica e chimica alla Sapienza, Giovanni ricorda la lezione del papà , Vittorio, ucciso in un attentato terroristico il 12 febbraio del 1980. «Ho ereditato da mio padre il sano dubbio che i santi, quelli per i quali l' incontro con Gesù è un fatto decisivo che orienta e qualifica ogni scelta della vita (e non automatica o superficiale appartenenza etnica, territoriale, sociale), cioè i veri cristiani, siano sempre stati una minoranza. I cristiani erano pochi ai tempi delle catacombe, ma non erano numerosi, a dar retta a Dante, neanche ai tempi della societas christiana; non abbondavano né nei giorni dell' onnipotenza democristiana, né in quelli della contestazione; sono pochi anche ora, fra scisma sommerso e opulenta indifferenza. Pochi, ma buoni. Sufficienti a infondere speranza e carità  alla propria generazione e a trasmettere la fede in Cristo a quella successiva». .

   
   
  I SEGNI DEI TEMPI      

        «Se si guarda in superficie il mondo odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al pessimismo. Ma è questo un sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in Dio Padre e Signore, nella sua bontà  e misericordia. In prossimità  del terzo millennio della Redenzione, Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di cui già  si intravede l'inizio».
  (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n.86)

 

   
   
  IL NOSTRO PUNTO DI VISTA
APPARTENERE O ESSERE?      

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                       ean Delumeau è un raffinato storico francese, interessato particolarmente alla storia del cristianesimo. Alcuni anni fa pubblicò un saggio, tradotto anche in italiano, in cui si chiedeva se il cristianesimo fosse destinato all' estinzione. Forse no. A meno che il numero dei cristiani non giunga sotto una soglia minimale. Certamente il cristianesimo - affermava Delumeau - non avrebbe più giocato il ruolo che storicamente aveva avuto nel mondo occidentale. Sullo stesso tema è ritornato di recente un altro storico francese, René Rémond. Anche lui rilevava la scarsa incidenza, e anche un' aperta ostilità , che il cristianesimo (e il cattolicesimo in particolare) ha nella vita dei singoli e nelle società . Anche scrittori, saggisti e uomini di Chiesa di casa nostra hanno più volte trattato l' argomento. Questo per dire quanto il tema affrontato in questo dossier sia attuale, pressante e vasto: di una vastità  tale che richiederebbe altrettanto ampia trattazione, articolata secondo le varie prospettive che esso coinvolge.
                           La parola «cattolico» etimologicamente significa universale, una sua definizione ha bisogno quanto meno di un' ampia prospettiva di visuale e di interpretazione. Forse noi leggiamo il fenomeno con occhiali tipici della cultura occidentale. Non si può negare comunque, al di là  anche delle grandi cifre che il Giubileo ha messo in mostra, al di là  della sterminata folla di giovani accorsi a Roma da tutto il mondo per celebrare e vivere la Giornata ad essi dedicata, che il cristianesimo è diventato ormai una realtà  di minoranza, dal punto di vista della significatività  sociale e culturale. Resta aperta comunque la domanda su che cosa significhi essere cristiano. Se un fatto personale o un fatto sociale, di costume. Se quello che conta è appartenere alla cristianità  o essere cristiani. L' una o l' altra risposta aprono il campo a valutazioni assai diverse. E l' impressione che si ricava leggendo le  testimonianze raccolte nel dossier, è che nei cristiani di oggi, ridotti nel numero, sia prevalente la preoccupazione di essere cristiani, di vivere il cristianesimo come il Vangelo richiede. Non per crogiolarsi nell' autocompiacimento di essere «pochi ma buoni», ma per diventare lievito che fermenta una nuova evangelizzazione che avvicini tutti a Gesù, per grazia di Dio ma anche per l' esemplarità  di vita dei cristiani.
        Il discorso potrebbe portare molto indietro nel tempo, fino alla grande svolta costantiniana, quando tutto, in un breve arco di tempo, in una Roma  pagana e persecutrice dei cristiani, cominciò a fare riferimento a una cultura cristiana.
         Ma nel Vangelo Gesù fa riferimento, e con espressioni forti, a piccole comunità , invitate a essere sale e lievito. Piccole porzioni della grande comunità  degli uomini, capaci di dare sapore o far lievitare la massa, per creare realtà  più consistenti. Un eccesso di sale non dà  più sapore ma rende salato e quindi immangiabile il cibo; il lievito non può superare la quantità  della pasta, non sarebbe più capace di farla fermentare.
                  Il fatto di un cristianesimo ridotto, almeno nei numeri, a minoranza non può essere letto come reazione a un cristianesimo troppo salato o eccessivamente lievitato? A un cristianesimo diventato forte, potente, cioè pasta? Assume un sapore nuovo e un significato diverso riascoltare allora alcuni stimoli del Vangelo che ci invitano a ritornare a essere sale, a brillare come luce posta sul moggio, a non temere di essere un piccolo gregge, anche questo momento in cui il cristiano è chiamato a riesprimere la propria testimonianza in un contesto secolarizzato e dimentico delle proprie radici. Un percorso di credibilità  umana ed esistenziale, capace di farsi illuminare e accompagnare dalla  Parola.
     

di   Luciano Bertazzo

 

PER SAPERNE DI PIà™

- Bartolomeo Sorge,
Per una civiltà  dell' amore. La proposta sociale della Chiesa,
Queriniana, Brescia, 1996.
È un' introduzione allo studio e alla pratica degli insegnamenti sociali della Chiesa, ma dedica in particolare il capitolo 7 (Una nuova primavera cristiana) al tema trattato nel dossier.

- Carlo Maria Martini,
Il seme, il lievito e il piccolo gregge,
Centro ambrosiano, Milano 1998.
È il discorso tenuto dall' arcivescovo di Milano per la vigilia di sant' Ambrogio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017