Non è un Paese per principianti
Rio de Janeiro. Il risveglio della coscienza sociale sarà probabilmente il maggiore beneficio che otterranno milioni di brasiliani dall’aver ospitato il Campionato mondiale di calcio, in programma dal 12 giugno al 13 luglio.
La coscienza è forse un’inattesa luce in qualcosa di nascosto nell’inconscio di un individuo, ma anche nell’inconscio collettivo. Come per la moltitudine di giovani che il 18 giugno 2013 occuparono, in maniera imprevedibile pure a loro stessi, l’ampia terrazza del parlamento brasiliano. La rivolta avrebbe sorpreso anche l’architetto comunista Oscar Niemeyer che disegnò la democrazia negli edifici di Brasilia e nel palazzo preso d’assalto dai dimostranti che protestavano contro la cronica corruzione politica brasiliana, ma anche contro il colossale finanziamento pubblico stanziato dal governo (l’85 per cento dei 30 miliardi di reais spesi per la Coppa provengono dalle casse dello Stato) per organizzare il Mondiale.
I giovani, come milioni di brasiliani, avrebbero voluto che i fondi venissero diretti verso la disastrosa educazione pubblica, la decadente sanità, lo sconquassato trasporto e la giustizia sociale.
L’onda lunga della protesta
La rivolta di Brasilia ha innescato un’incessante onda di proteste sempre più imprevedibili. Legate ai Mondiali, ma non solo. Si va accentuando l’aggressività della campagna elettorale. Il 5 ottobre i brasiliani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo presidente e decidere l’assetto politico per i prossimi quattro anni. I brasilienses hanno sorpreso e preoccupato i politici, ma anche la direzione della Fifa. Numerosi i problemi con l’ordine pubblico verificatisi durante la Confederations Cup, prova generale dei Mondiali. Não vai ter Copa («Non ci sarà la Coppa»), lo slogan dell’evento, è divenuto un ritornello molto popolare nell’eterogeneo mondo della protesta brasiliana.
La stessa Fifa ammette che il 41 per cento dei brasiliani – i quali considerano il calcio una passione nazionale – è contrario alla Coppa. Curioso che siano proprio l’atteso Mondiale e il futebol a mostrare che il Brasile, la nazione adulata fino a poco tempo fa dalla stampa internazionale, non è diventato il «Paese del futuro», ma vive ancora il duro presente.
Sono ben 11,4 milioni i favelados che, negli ultimi anni, hanno avuto accesso al mercato dei consumi, ma non a quello dei diritti umani. Il musicista e compositore Tom Jobim diceva che «il Brasile non è un Paese per principianti». E forse non lo è proprio, se Jérôme Valcke, il segretario generale della Fifa, ha ammesso che la Federazione ha avuto dei problemi con i partner brasiliani per la costruzione di parte degli impianti. Le preoccupazioni maggiori vengono dagli stadi Arena Pantanal di Cuiabá, Arena Beira Rio di Porto Alegre e Arena Corinthians, più noto come Itaquerão, di São Paulo. In quest’ultimo ci sarà la cerimonia di apertura del Mondiale. E sempre qui sono morti Fabio Hamilton da Cruz (a causa dei disumani turni di lavoro) e altri operai in seguito a crolli durante i lavori.
L’incognita sicurezza
Una Coppa discussa. Ancor di più dai circa 170 mila carioca rimossi dalle loro case per far posto a impianti sportivi, parcheggi e centri commerciali. Il numero delle rimozioni aumenta vertiginosamente se si considerano anche quelle avvenute nelle altre città coinvolte nel percorso tracciato dalla Fifa. La Odebrecht, l’impresa paulista che costruisce opere edili e d’ingegneria in quattro continenti, non ha rispettato i tempi di consegna degli impianti sportivi. Per rimediare al problema, doveva realizzare al più presto strutture provvisorie. Ma, in molti casi, non si sono trovati sponsor né pubblici né privati.
Le prefetture sono diventate restie a spendere ancora denaro pubblico per finanziare la Coppa, soprattutto con il crescente malcontento popolare. A fare attenzione al consenso è in particolare il Partido dos Trabalhadores. Al governo da circa dodici anni attraverso un’alleanza di partiti, cercherà di ottenere la rielezione della presidente Dilma Rousseff.
La sicurezza pubblica è l’altra spada di Damocle sulle teste dei politici e dei dirigenti della Fifa, preoccupati che il malcontento approfitti dell’evento calcistico per attirare l’attenzione mondiale sui problemi del Paese. Durante la Coppa ci sarà il maggior schieramento di militari e polizia mai visto nella storia dei Mondiali. Lo scorso aprile l’esercito brasiliano ha occupato la Maré, la favela vicina all’aeroporto di Rio de Janeiro. I narcotrafficanti non hanno fatto resistenza, ma in altre favelas le gang del Comando Vermelho e l’organizzazione criminale Ada continuano ad attaccare gli uomini delle Unità pacificatrici della polizia, che occupano il Complexo do Alemão e la Rocinha. Secondo Livia De Tommasi, professoressa di sociologia all’Università federale fluminense, i narcos, sotto pressione a causa della presenza militare, potrebbero infiltrarsi tra i manifestanti per fare degenerare l’ordine pubblico durante le partite.
GIOVANI
E anche qui… non se ne vogliono andare
Negli ultimi anni il professor José Mauro Gonçalves Nunes (dottore in psicologia, Puc-Rio, specialista in Comportamento do Consumidor e Professor dos MBAs della Fundação Getulio Vargas) vede circolare un’altra tipologia di studenti nel gigantesco edificio dell’Università statale di Rio de Janeiro, a due passi dalla favela della Mangueira e dal Maracanã, dove a luglio si giocherà la finale del Mondiale.
«Provengono quasi tutti dalla nuova classe media emergente – specifica il professore Nunes –. Sono giovani della periferia carioca che conoscono la povertà, i disservizi pubblici, ma sono anche i più preparati perché hanno avuto accesso allo studio grazie alle politiche d’inclusione sociale nate nei governi Lula e ampliate in quello della Rousseff». Sebbene le statistiche registrino un record storico di occupazione nel Paese, le stesse, secondo Nunes, non ufficializzano però l’alto indice di giovani che non cercano lavoro.
Molti di loro, afferma il docente, preferiscono restare a casa dei genitori con l’obiettivo di continuare a studiare, specializzarsi e raggiungere un impiego di qualità. Riescono a farlo perché oggi non sono più espulsi dalle famiglie.
«I genitori, un tempo, esigevano da loro un salario per completare il reddito famigliare. I giovani erano obbligati a lavorare. “Borsa Famiglia” e altri benefici governativi hanno liberato i giovani dalla tirannia del lavoro sottopagato, ma hanno anche innescato l’esplosione della protesta».
Sono i giovani che aderiscono sempre più all’eterogeneo mondo della protesta brasiliana. «Il Mondiale e le Olimpiadi sono il simbolo del malcontento giovanile che contesta l’uso del denaro pubblico utilizzato per finanziare i megaeventi», sostiene Nunes. Un fatto inedito, conclude, per il Brasile odierno.