Non saranno famosi

Integrati nella società d’adozione, gli italiani hanno assimilato e diffuso un loro patrimonio di cultura e tradizioni. Spesso lontano dai riflettori della mondanità.
03 Novembre 2000 | di

 Vancouver
Quando si parla di comunità  italiane, ovunque esse si trovino, è necessario porci una domanda. Ci si riferisce agli italiani in genere, di origine e di cittadinanza, o solamente a coloro che alla vita delle comunità  partecipano, mantenendo perciò legami più o meno stretti con l'Italia? È una premessa indispensabile per poter prendere in considerazione alcune realtà  concrete. Si è visto, infatti, che il rilevamento anagrafico, sia periferico che romano, non coincide affatto con le enormi cifre enunciate anni orsono in sede di pre-conferenze e conferenze dell'emigrazione, quando non si erano ancora inventati gli «italiani nel mondo»: anche se tali da sempre eravamo, con in più l'esperienza dell'emigrazione, parola e realtà  della quale non ci vergognamo perché è la storia della nostra vita. Senza storia e senza memoria non si approda a nulla.
I presunti sessanta milioni di italiani nel mondo (chi ne parlava si riferiva naturalmente, ma senza precisarlo, anche agli oriundi di varia generazione) sono diventati sulla carta circa tre milioni e mezzo: cittadini con diritto di voto non ancora facilitato, controverso e temibile ago della bilancia per partiti e partitini nazionali, eternamente combattuti tra la voglia di dimenticarci e quella di utilizzarci. Peccato. Non si è ancora capito che l'autentico rapporto con la patria d'origine non passa attraverso la politica e alcune sue istituzioni, riservate ad un numero sempre più ristretto di addetti ai lavori. I quali stanno sudando e dovranno sudare le mitiche sette camicie per conquistarsi l'eventuale elettorato. A parte i funzionari statali dislocati nelle sedi estere, i dipendenti di aziende private operanti nei vari Paesi e pochi altri, chi manifesta un interesse immediato alle cose politiche italiane?
  L'interesse di chi se n'è andato da anni o da decenni, soprattutto di chi è nato fuori d'Italia, è piuttosto rivolto alla storia e alla cultura italiane, allo sviluppo della società  civile, al progresso dell'economia nelle sue componenti interne e internazionali. Quando l'interesse c'è, proviene dalle realtà  maturate nei Paesi di accoglienza o di nascita, dal prestigio conseguito. A seconda del periodo storico e delle condizioni sociali di emigrazione, gli italiani hanno preservato - facendole conoscere e apprezzare - la cultura artigiana e contadina, la cultura del lavoro e del sacrificio, le antiche usanze e i linguaggi regionali, la concezione sacra della famiglia. Sono stati anche veicoli indispensabili per la commercializzazione (e spesso la produzione) di prodotti italiani, in primo luogo quelli alimentari. Tramite le molte associazioni e la diffusissima rete dei mezzi di comunicazione locale, sono diventati promotori di arte, musica, moda, made in Italy.
Laddove le comunità  italiane si sono formate (inizialmente in modo autonomo e autosufficiente, come a Vancouver, dove i pionieri erano arrivati alla fine del secolo scorso; e dove la prima associazione di mutuo soccorso, la Sons of Italy, risaliva al 1905, e la seconda, la Veneta, al 1911), solo molto più tardi è arrivato il governo italiano, con l'insediamento dei Consolati e degli Istituti di cultura. Più di recente sono nate le Camere di commercio. E per ultimi sono venuti i Comites. Per dire che la strada della presenza ufficiale italiana è stata aperta sempre e comunque dagli emigrati: popolo anonimo, senza voce e rappresentanza, che da solo ha innalzato il tricolore nel mondo, mentre con le rimesse in valuta pregiata contribuiva alla ricostruzione del Paese in difficoltà . Unico conforto, dove possibile, l'assistenza dei missionari dei migranti. Unici punti di riferimento le parrocchie, centri educativi e culturali della prima ora: scuole di lingua italiana, ma soprattutto scuole di vita. Come si può dimenticarlo oggi? A vantaggio di chi e di che cosa? Con quale esempio per le giovani generazioni?

Chi sono i «grandi» italiani nel mondo?

  Quando dalle stanze del potere ci si rivolge alle comunità  italiane nel mondo nell'intento di lavorare insieme - augurandoci che ciò avvenga alla pari e senza trucchi - ci si dovrebbe riferire non tanto ai personaggi illustri (i cosiddetti notabili), ai grandi oriundi, senz'altro meritevoli di ammirazione, rispetto e simpatia, e alle voci autorevoli ma solitarie della cultura, della scienza e dell'imprenditoria, quanto invece a coloro che lavorano e testimoniano nell'ombra della quotidianità , aspettandosi solo il riconoscimento della propria coscienza, l'affetto della famiglia e degli amici, forse la gratitudine dei figli e il ricordo dei nipoti. È un esercito di gente autentica: uomini e donne, anziani e giovani mai stanchi di essere fedeli a un'idea, pronti a dare senza presentare il conto. Sono i volontari delle nostre comunità  italiane. Non tutto è facile come sembra, ma la vita non è mai facile.
Alcuni esempi vengono da Vancouver, dove esistono ben 36 associazioni italo-canadesi, più o meno consolidate nella tradizione, o di nascita più recente, aderenti all'unica Italian Cultural Centre Society che gestisce il Centro culturale italiano di questa città , operante dal 1977. Ogni associazione coordina centinaia di aderenti e le loro famiglie, ha finalità  e attività  proprie, spesso in stretto collegamento con comuni e regioni di origine dei soci. Ci sono poi le iniziative collettive, espressioni di esigenze nate dal basso, in genere sponsorizzate da ditte locali. Una tradizione estiva annuale è la «Settimana italiana», una specie di divertente vetrina rivolta alla comunità  più vasta: vi si offrono avvenimenti artistici, passatempi musicali, riunioni conviviali. Quest'anno c'è stato il debutto di un gruppo teatrale cimentatosi su testi di Pirandello.
Non c'è stato bisogno di nessuna forzatura per richiamare ogni sera un numerosissimo pubblico, come invece avviene quando manifestazioni e programmi sono fatti calare dall'alto, frequentati spesso per cortesia o curiosità . Bene accolte dalle famiglie sono state anche quest'anno le «Vacanze in italiano», promosse dalla direzione didattica e dagli enti gestori delle scuole di italiano e rivolte ai bambini delle primarie canadesi, in due turni di due settimane ciascuno. I temi didattici sono stati «Vacanze al mare» ispirate alla Sardegna e «Vacanze in montagna» per far conoscere l'Abruzzo. Due attivissimi circoli locali, il sardo e l'abruzzese, hanno fatto la loro parte come co-sponsorizzatori dell'iniziativa.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017