NON SOLO PER «SCHEI»

Nell’immaginario collettivo regione di baciapile, alcolizzati e sempliciotti, il Veneto è diventato il motore del miracolo economico del Nordest e riserva di voti per la Lega. Ma i veneti sono disposti a seguire i progetti secessionisti del Senatur?
03 Settembre 1996 | di

Vi ricordate di Signore e signori, quel film del 1965 di Pietro Germi, girato nel Veneto, che enfatizzando difetti e ipocrisie della provincia italiana, finiva per ridurre una cultura millenaria a una macchietta da avanspettacolo? Per decenni questo è stato uno degli stereotipi che hanno rappresentato, nell`€™immaginario collettivo, un Veneto popolato da alcolizzati, adulteri, baciapile e buono solo per far ridere al cinema o in tv, grazie a quegli orripilanti intercalari come «ostrega» o «siorsì».
I veneti sono stati per molti anni vittime della loro povertà  economica; questo è fuor di dubbio. Un tempo terra di emigrazione che sapeva esportare solo domestiche e militari analfabeti, negli ultimi vent`€™anni il Veneto, lontano dai riflettori, ha inventato il «miracolo del Nordest», diventando la locomotiva dell`€™Italia. Non più la «Calabria del Nord», com`€™era apostrofato fino agli anni Cinquanta. Sempre meno terra di emigrazione (negli anni del grande esodo il Triveneto ha fornito il 34 per cento di tutta l`€™emigrazione italiana; in un secolo ha visto partire cinque milioni e mezzo di persone), oggi piuttosto è terra di immigrazione. A Vicenza ci sono 24 mila extracomunitari, tutti assunti nelle imprese per svolgere quei lavori che gli italiani, anche del Sud, non vogliono più fare.
Il Veneto ha acquisito oggi una nuova identità ? Ha forse recuperato la tradizione imprenditoriale e culturale che per secoli aveva reso grande e temibile la repubblica di Venezia? Oppure si è lasciato sopraffare dalla «religione del lavoro» e dall`€™etica dei «schei»?
Con il 7,6 per cento della popolazione italiana, il Veneto può vantare: l`€™8,7 per cento del prodotto interno lordo (Pil) nazionale, l`€™8,5 per cento delle imprese, il 12 per cento delle esportazioni, il 18 per cento degli arrivi di turisti stranieri, il 9 per cento delle spese per spettacoli e il 9 per cento dei quotidiani venduti in Italia. Rispetto all`€™Europa, il Nordest presenta aspetti economici di eccellenza, con un Pil pro capite pari a 117 (media Cee 100), il 36 per cento di addetti all`€™industria, un tasso di disoccupazione del 4,9 per cento, molto al di sotto della media europea (fonte: Censis 1992, 1994).

TANTI «SCHEI» E POCA CULTURA?

Mentre le cifre decretano il successo dell`€™economia veneta, sul versante culturale la situazione è più controversa. Nei moltissimi servizi apparsi sui media dopo le ultime elezioni, il Veneto viene accusato di arretratezza culturale, di scollamento tra ricchezza e cultura. «I giovani `€“ si è scritto `€“ vengono tirati su a Kawasaki».
La tesi sembra avvalorata dalle cifre. La media dei laureati nel Veneto è del 3,2 per cento (inferiore a quella italiana, che è del 3,6). Il 35 per cento della popolazione ha la licenza elementare, il 32 per cento la licenza media e il 17 per cento un diploma. Nella provincia di Treviso, che da sola esporta come la Grecia, tutti i quotidiani insieme vendono 56 mila copie. Questo significa che solo un trevigiano su tredici compra un giornale, mentre lo fa un italiano su dieci.
Che la cultura non sia sconosciuta tra i discendenti degli atestini, emerge però da alcuni parametri. Secondo l`€™Istat (su fonte Siae), nel 1993 i veneti hanno trovato il tempo e il modo di spendere oltre 437 miliardi di lire per assistere a concerti, spettacoli teatrali, cinematografici e manifestazioni sportive, conquistando così il terzo posto dopo Lombardia ed Emilia Romagna. Con i suoi 195 musei, poi, la regione si colloca al sesto posto nella graduatoria nazionale.
Chi lavora dieci ore al giorno ha tempo da dedicare alla cultura? Secondo Mario Carraro `€“ presidente degli industriali veneti `€“ dipende dalla preparazione di base e dalle esigenze personali. «Io lavoro dieci ore al giorno e trovo il tempo anche per molte altre cose. Dalle statistiche ufficiali risulta che, in alcune zone, i ragazzi che non hanno voglia di studiare, non appena trovano un lavoro, abbandonano la scuola. Qui stiamo perdendo anche l`€™occasione delle scuole superiori. Ma questo non deve succedere, perché bisogna tendere anche a valori diversi da quello tecnico ed economico». «Se lo sviluppo culturale corresse alla stessa velocità  dello sviluppo economico, diventeremmo tutti pazzi», dice provocatoriamente Massimo Cacciari, filosofo e sindaco di Venezia.
Veneti ignoranti? «Niente affatto», risponde Cino Boccazzi, scrittore e giornalista. Ha scritto molti libri e girato il mondo, ma ogni volta ritorna a Treviso. «Il Veneto `€“ ricorda Boccazzi `€“ ha avuto una cultura straordinaria. Basta pensare alla pittura: Tiziano, Giorgione, Cima da Conegliano, i fratelli Ciardi, Antonio Canova e, nel Novecento, Arturo Martini, Gino Rossi, Giovanni Barbisan. E fra i tanti uomini di lettere facciamo solo alcuni nomi: Giovanni Comisso, Andrea Zanzotto, Goffredo Parise, Guido Piovene». Quella veneta, per Cino Boccazzi, è una provincia sublime, il risultato di mille anni di buon governo della Repubblica di Venezia. Una repubblica dove il parlar veneziano era sinonimo di lingua internazionale del commercio, e dove i segni di civiltà  erano innumerevoli in tutti i settori. Si pensi che all`€™Arsenale di Venezia `€“ ci dice ancora Boccazzi `€“ avevano una cassa integrazione e la pensione per i lavoratori.
Questa regione ha sempre costituito una realtà  particolare, una sorta di alfabeto interiore, anche per il poeta Andrea Zanzotto, che non ha mai voluto abbandonare Pieve di Soligo. Il Veneto è ricco di tradizioni e di cultura, ma è nascosto, non si esibisce. «È come una bella donna `€“ afferma Gian Antonio Cibotto, scrittore e giornalista `€“. Va un po`€™ studiato. Lo conoscono di più gli stranieri degli italiani».

DAL CAMPANILE ALLA FABBRICA

Il Veneto, considerato la «sacrestia d`€™Italia», ha avuto un calo della pratica religiosa. Secondo una indagine sulla religiosità  in Italia, l`€™86 per cento degli abitanti del Nordest si dichiara decisamente cattolico. Ma quelli che vanno a messa tutte le domeniche sono solo il 32 per cento; quelli che partecipano alla vita della parrocchia il 28 per cento e quasi la metà , il 48,5 per cento, non crede nella vita eterna.
«La religione resta un genere di conforto di largo uso, ma la tendenza tutta moderna delle persone del nostro tempo `€œa far da sé`€ comincia a farsi strada nell`€™apparentemente stabile e confortevole società  vicentina», scrive il sociologo Enzo Pace, nella prefazione a Dio e Dionisio, una ricerca sui valori nella Vicenza negli anni Novanta. Dove Vicenza vale per Veneto. Un esempio per tutti, l`€™«elasticità » morale: il 41 per cento risponde che ognuno deve seguire «solo» la propria coscienza, senza badare a quello che dice la chiesa. Precisa la conclusione dei ricercatori: «Si è dissolta l`€™intransigenza con la quale i cattolici praticanti seguivano i dettami del pulpito». È rimasto, però, vivo e molto forte il senso della solidarietà , se è vero che nel 1995 il numero di organizzazioni impegnate nel volontariato erano 1207.

CARTE E TAROCCHI

Chi non ha fede si aggrappa dove può. E nel Nordest delle fabbriche robotizzate, una persona su tre crede negli influssi astrali, una su quattro ritiene possibile mettersi in contatto coi morti, una su cinque crede nel malocchio e una su sei si fa leggere la mano o le carte.
Anche nel Nordest, poi, abbondano tutte quelle sette che oggi operano in Italia. «È una questione `€“ osserva Cecilia Gatto Trocchi, esperta di sette, nel libro Schei di Gian Antonio Stella `€“ di pluralismo delle possibilità : prima tenevi una stalla e adesso mandi avanti una fabbrichetta di componenti elettriche; prima andavi avanti a fare il bagno a Jesolo e adesso puoi andare in vacanza alle Maldive; prima mangiavi solo polenta, adesso hai le fragole anche in gennaio... La ricchezza porta una grande pluralità  di offerte. E spacca l`€™omogeneità . C`€™è una grande domanda di qualcosa che dia un senso alla vita e alla quale rispondono un`€™infinità  di santoni».
«Certamente il consumismo ha contribuito al processo di secolarizzazione `€“ afferma monsignor Pietro Brollo, vescovo di Belluno-Feltre `€“ soprattutto nelle zone dove questo è arrivato con una certa accelerazione rispetto ad altri fenomeni. È mancata la capacità  di adattarsi gradualmente alla nuova realtà  della ricchezza e di imparare a convivere con la ricchezza senza perdere i valori. È nata quella che viene chiamata `€œl`€™ubriacatura del pane`€, che è peggiore della `€œubriacatura del vino`€. Quindi, certamente più ricchi ma più scettici».

LONTANI DA ROMA

Sotto questo acquazzone di «schei» si agita inquieta una società  dove l`€™amministrazione pubblica e le infrastrutture non riescono a stare al passo del mondo produttivo, dove cova la paura di perdere quanto è stato conquistato e dove crescono l`€™insofferenza e la rabbia contro Roma, contro la burocrazia, contro le troppe tasse, le troppe leggi e i troppi rinvii delle riforme. È dalla sensazione di lontananza e di burocratizzazione che nasce quella ribellione che ha portato la Lega a essere il primo partito nel Veneto.
Nelle ultime elezioni, infatti, la Lega ha attecchito proprio nelle province dove è forte l`€™industria: Vicenza, Treviso e Belluno. Maurizio Fistarol, sindaco di Belluno, non ha dubbi sul perché del successo della Lega e della richiesta federalista: «Ha influito molto la lontananza da Roma, dai centri di potere. Una lontananza che è diventata sempre meno tollerabile da parte delle gente veneta, che vive in una regione ricca, dotata di servizi sostanzialmente adeguati, ma che non ha mai contato».
«Più che vederci una protesta generica `€“ afferma Mario Carraro `€“ interpreto il voto alla Lega come volontà  di autonomia, staccata però da manifestazioni di tipo partitico, che invece non accetto minimamente». La visione federalista dell`€™Italia, secondo il presidente della Confindustria veneta, è un «progetto su cui lavorare per il rinnovamento dello stato intero, e non un proclama in favore del Nord o della Lombardia o di qualche altro pezzo di nazione. In questo senso, l`€™interlocutore principale è il governo, che deve darsi la prospettiva di organizzare il paese come un sistema per aree omogenee, dove si convogliano risorse e idee in un disegno sentito come proprio da persone che si conoscono».
E non è un caso che proprio nel Veneto sia nato quel «Movimento dei sindaci del Nordest» che vede raccolti, in nome di una maggiore autonomia degli enti locali, i primi cittadini di molte città  e di tutti gli schieramenti politici, dall`€™Ulivo al centrodestra, da Cacciari al neodeputato del Carroccio e sindaco di Oderzo (Treviso), Giuseppe Covre. «Il federalismo `€“ sostiene il sindaco Fistarol `€“ deve essere costruito partendo dal basso. Guai a noi se costruiamo una strategia che è fondata essenzialmente su ingegneria istituzionale. Rischieremmo di produrre a livello periferico le stesse modalità  di esercizio del potere centrale romano. L`€™importanza di un movimento come quello dei sindaci sta proprio nel costruire proposte e istanze per un federalismo che parta dalle esigenze locali, e in particolare di comuni che sono le istituzioni a più diretto contatto con i cittadini».
«Dobbiamo intenderci su cosa significa autonomia. Ritengo `€“ precisa il vescovo di Belluno `€“ che stia anche nella natura propria della chiesa il valorizzare sia la persona in quanto tale, sia tutte le realtà  intermedie che rispondono alle esigenze specifiche per cui esistono. In questo senso, per esempio, il principio della sussidiarietà  è un principio nato e acquisito all`€™interno della chiesa e che vale tanto per la vita della chiesa quanto per la vita civile.
«I nostri sacerdoti sono abituati a convivere con la gente e quindi ne sentono i problemi e le esigenze immediate. Essi avvertono quando questa gente si sente schiacciata e oppressa da realtà  molto più grandi come può essere uno stato che, attraverso un eccesso di norme e di burocrazia, non lascia più respiro».
Più problematico il parere del vescovo di Vicenza, monsignor Pietro Nonis, al quale abbiamo chiesto, come pastore della più ricca provincia del Veneto, una valutazione circa le insofferenze delle genti venete e come fosse possibile educarle in senso positivo. «Non so se Vicenza sia davvero la provincia più ricca. In fatto di ricchezza `€“ ci ha risposto `€“ esiste un occultismo e un esibiziosimo. Ma so di certo che la dialettica politica negli ultimi tempi ha fatto emergere indici e forme inusitate, se non inaudite, di animosità  e di indignazione. Quest`€™ultima è giustificabile (in parte soltanto, credo, perché le ragioni oggettive esistono anche in altre parti d`€™Italia) con la situazione reale, sociale, amministrativa, legislativa, insomma `€œoperativa`€ delle istituzioni (stato, regione), e dei rapporti che ne conseguono con i cittadini e fra i cittadini.
«Già  la diagnosi è difficile. La terapia non trova ricette preconfezionate. E io comunque non ne ho, al di fuori della ripresa, da parte di noi cristiani, della morale evangelica da attuare (a cominciare dall`€™accettazione della vita) giorno dopo giorno, con pazienza e umiltà ».
Ha collaborato Silvio Scacco

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017