Nuove regole o il caos

In questo lungo colloquio il presidente del Senato ci parla di sé, del suo ruolo, della situazione politica attuale tra luci e ombre, dell’urgenza delle riforme per ridare un futuro a un paese stanco e diviso.
04 Aprile 1997 | di

Msa. Presidente, ricorda come entrò in politica?

Mancino. Sin da giovane sono stato fortemente attratto dall'impegno politico, ma a casa, soprattutto mio padre, mi volevano giudice. A Napoli, dove studiavo, in occasione delle elezioni amministrative passarono tutti per piazza Plebiscito: De Gasperi, Togliatti, Nenni, Saragat. Fui attratto dalla prosa asciutta, ma persuasiva di De Gasperi. Era il 1952 e nel mio paese, Montefalcione (in provincia di Avellino) vinse una lista monarchica. Nel collegio di corso Vittorio Emanuele di Napoli, di proprietà  del Sovrano ordine di Malta (avevo vinto una borsa di studio), molti giovani universitari erano cattolici democratici. Discutevamo con quelli di sinistra, che erano pure tanti. Fu per me l'occasione di una scelta. Ogni fine settimana, di ritorno da Napoli, cominciai a tenere conferenze nella sede sindacale della Cisl.

Poi un amico, che è stato per me più di un fratello maggiore, mi chiese di impegnarmi nella locale sezione della Dc. Feci la campagna a favore della cosiddetta 'legge truffa', e nel 1954, parlando al congresso provinciale, a liste già  chiuse, fui cooptato in comitato provinciale su proposta dell'onorevole Sullo con l'incarico - non avevo neppure fatto il soldato - di commissario... del Movimento combattentistico. Un buon inizio...

Come ricorda De Gasperi?

Come il più grande politico che abbia avuto l'Italia dall'unità  in poi. De Gasperi prese le redini del paese in condizioni disperate, assolutamente privo di credibilità  internazionale; lo guidò verso la rinascita e uno sviluppo senza precedenti, facendogli guadagnare rispetto nel mondo. Nella costruzione dell'Europa si dimostrò un grande leader, insieme con Adenauer e Schuman.

Lei è stato anche ministro degli Interni. Come si sta nella poltrona del Viminale?

Diventai ministro dell'Interno nel periodo più tormentato per l'ordine pubblico, a cavallo tra l'uccisione di Falcone e quella di Borsellino. Assunsi l'incarico con risolutezza: lo stato non poteva più perdere terreno nella contesa con la criminalità  organizzata. E infatti i latitanti più pericolosi (Madonia, Santapaola, Riina) furono assicurati alla giustizia, uno dopo l'altro, grazie a una maggiore determinazione delle forze dell'ordine, alla ripristinata armonia di intenti tra le forze dell'ordine e la magistratura, il che rese possibile un'efficace applicazione della legislazione differenziata già  messa a punto. Devo dire che in quel periodo è stata realizzata, tra ministri dell'Interno e della Giustizia e tra forze dell'ordine e magistratura, un'intesa mai prima raggiunta nella storia della lotta alla criminalità  organizzata.

Lei, affezionato Dc, come ha vissuto i tragici momenti del crollo democristiano?

Con una profonda amarezza per il sentirsi chiamato in colpa in base a responsabilità  oggettive. Il sistema politico che si è creato storicamente intorno alla Dc ha mostrato, certo, le sue debolezze anche ad opera di Tangentopoli. Ma già  all'interno della Dc erano prevalse componenti non disponibili alle riforme; l'appagamento del potere produceva una insensibilità  diffusa alle esigenze di rinnovamento dello stato e del partito. Così è stato per gli ultimi dieci-quindici anni, che hanno logorato seriamente le istituzioni e moltiplicato la disaffezione della gente.

Come vede le divisioni della vecchia Dc in tre partiti?

Male. Anche perché sarà  difficile, nel tempo, far capire bene alla gente la diversità  non marginale tra protagonisti politici che pure affermano di ispirarsi tutti alla dottrina sociale della chiesa. C'è gente che difende le mostrine e vuol rimanere 'qualcuno'.

Lei si è schierato con il Partito popolare italiano: perchè?

Perché lo ritengo un partito che, rispetto alla tradizione del Partito popolare di Luigi Sturzo e della Democrazia cristiana, è in grado di conservare l'ispirazione laica, la fedeltà  democratica e la coerenza con i principi.

Come vede il futuro del Partito popolare?

Lo vedo bene, ma a patto che la dirigenza del partito apra le porte al nuovo e lasci spazio ai migliori esponenti delle giovani generazioni, tenendo conto che c'è stato anche un salto culturale nel modo di guardare alle questioni del nostro paese. Ma non sempre resto tranquillo riguardo alle prospettive del mio partito. Avverto incertezze, titubanze, deboli collegamenti sul territorio.

Questo partito riporterà  l'unità  politica dei cattolici?

L'unità  politica dei cattolici appartiene a un'altra epoca. Sarà  molto difficile che si ripeta, all'interno del sistema democratico, una esperienza straordinaria quale è stata quella democristiana in un contesto storico che registrava sul piano internazionale la contrapposizione dei due blocchi, occidentale e comunista. Su quello interno, oggi, c'è più una tendenza alla frammentazione che alla coesione e alla semplificazione.

Lei, presidente del Senato, come vede la nostra situazione politica, oggi?

È una situazione incerta, vischiosa, destinata a essere fonte inesauribile di amarezze e delusioni se non si realizzano le riforme. Bisogna rivedere il nostro ordinamento costituzionale. Quello che ha retto i primi cinquant'anni, dopo la crescita tumultuosa e ineguale, si è rivelato inadeguato. Servono nuove regole che organizzino il potere, trasferendolo il più possibile dalle istituzioni centrali a quelle territoriali. C'è solo questa possibilità  di miglioramento. O, almeno, soprattutto questa.

Aveva mai sognato di giungere così in alto?

No. Però la presidenza del Senato mi era già  passata davanti nel 1992: il veto di Craxi bloccò tutto. In politica, spesso, si ottengono risultati quando meno te li aspetti.

Cosa le ha offerto per ora l'esperienza come presidente del Senato?

Osservo da una posizione più alta l'impoverirsi della politica. Noto l'assenza di veri leader. E senza veri leader la politica non potrà  spiccare il volo. L'Italia vive ancora una fase di transizione, verso quale traguardo non è dato ancora di immaginare. No, il futuro non si vede nemmeno da quassù.

é facile presiedere il Senato in questi momenti di confusione politica?

Non sempre. In generale, c'è rispetto dello status. Ma c'è una opposizione di principio portata avanti, anche in chiave ostruzionistica, soprattutto dalla Lega, che mette a dura prova la pazienza e l'equilibrio. E il rispetto dei ruoli diventa a rischio.

é il parlamento la sede più idonea per realizzare le riforme istituzionali?

Non c'è dubbio. Senza parlamento nessuna riforma è possibile, se non di tipo rivoluzionario. Ma il nostro paese non ha bisogno di rivoluzioni; ha bisogno di un adeguamento (ancorché energico) delle regole. E lo strumento che il parlamento si è dato - la commissione Bicamerale - è la risposta più adeguata alle giuste e improcrastinabili necessità  di cambiamento.

Secondo lei il governo Prodi reggerà  per tutta la legislatura?

Il governo Prodi è nato sulla base di una proposta e in determinate condizioni politiche. Quando dovesse venir meno la maggioranza uscita vincente, la regola vorrebbe che si andasse allo scioglimento anticipato delle Camere. Questa è, però, la regola della 'democrazia compiuta'; e il nostro paese non credo abbia ancora realizzato questa cultura, che attribuisce alla maggioranza il ruolo di governo e all'opposizione quello di controllo. Del resto, anche nella scorsa legislatura, il venir meno della maggioranza del Polo determinò il cambio di governo (con il famoso 'ribaltone') e non elezioni anticipate.

Ma questo governo non è un'ammucchiata di ministri?

No. Non mi pare. Questo governo esprime delle personalità  notevoli; altre forse un po' meno, ma complessivamente mi sembra un discreto governo.

Lei che ha lottato una vita contro le sinistre, e ora fa maggioranza con loro, vive questa esperienza come uno smacco o una nuova fase politica?

Ci troviamo, indubbiamente, in una nuova fase politica: non c'è più la Dc, ma non c'è più nemmeno il Pci. Perciò si potrebbe anche rovesciare la domanda e chiedere agli ex comunisti come si trovino a collaborare con gli ex democratici cristiani. Devo dire, comunque, che ex comunisti ed ex Dc, a mio parere, non sempre dimostrano di aver preso coscienza delle profonde modificazioni avvenute nel quadro politico, sociale, economico, culturale, sul piano internazionale e su quello interno. Spesso si manifestano più motivi di offesa, o di difesa, che di impegno su una dialettica costruttiva o su una prospettiva comune si può essere competitivi, rimanendo uniti.

Come giustifica la presenza di Prodi, cattolico praticante, a capo di un governo di centrosinistra?

Per il mondo che lo ispira credo sia un successo notevole: un cattolico democratico capo del governo non era davvero nelle previsioni prevalenti, dopo la frammentazione della Dc. Vuol dire che l'ispirazione è tuttora valida e che chi la incarna nell'impegno politico può meritare il credito non solo delle forze politiche ma - ed è ciò che più conta - anche della gente.

Cosa pensa di Berlusconi e della opposizione in genere?

È lo stesso Berlusconi a dire di sé di non essere un vero politico, anche se, secondo me, fa ogni sforzo per diventarlo. È a capo di una opposizione che ha una sua piena legittimazione, in forza del consenso popolare. Egli fa il suo mestiere, anche se oggi mi sembra un mestiere difficile e contrastato. Si potrebbe anche desiderare una opposizione diversa; ma in politica bisogna fare i conti con ciò che c'è, non con ciò che si desidera. Del resto, neppure la maggioranza fa sempre bene la sua parte. Oggi mancano sia la cultura di governo sia quella di opposizione. Occorre pazientare: vi arriveremo.

L'economia italiana va al passo con quella degli altri paesi europei?

L'economia italiana registra delle difficoltà  nel perseguire gli obiettivi posti dal Trattato dell'unione, ma di fatto subisce la stessa sorte delle altre economie: deve fare i conti con la necessità  di tenere il passo con una tecnologia sempre più sofisticata e con una concorrenza di economie emergenti, soprattutto asiatiche, favorite da un costo del lavoro così in basso da rendere quasi impossibile la competizione.

Prodi spinge perchè l'Italia entri in Europa. Lei condivide ciò, visto che richiede ancora tanti sacrifici agli italiani?

Senza questa spinta resteremmo emarginati, molto più vicini al Nordafrica che all'Europa.

Quali sono i problemi più importanti che desidera siano risolti nel nostro paese?

Innanzitutto i problemi istituzionali. E poi quelli di un riequilibrio produttivo che consenta un giusto approccio europeo non solo alla parte più dotata del paese ma anche a quella più impoverita.

L'impegno politico le ha impedito di occuparsi della famiglia?

Spesso sì, purtroppo. E me ne dispiace.

Com'è l'onorevole Mancino in pantofole?

Sono un uomo normale, al quale diventa difficile stare in pantofole. Le responsabilità  politiche ti arrivano d'improvviso e fanno a pugni con le pantofole.

Chi comanda in casa Mancino, lei o sua moglie?

Mia moglie e io abbiamo un rapporto sereno e tranquillo. Lei è paziente e... sacrificata. Riesce benissimo a fare anche la mia parte. Anche quando si tratta di comandare (ma che brutta parola). Sulle questioni essenziali decidiamo insieme; ma proprio perché sto così poco in casa, mia moglie spesso resta da sola a decidere.

Quali i suoi rapporti con i figli?

Ho una sola figlia, Chiara. Andiamo d'accordo, credo, nonostante le mie latitanze forzate. Vorrei, però, dire che sento sempre viva, dentro, l'esigenza di stare in famiglia il più possibile. Tanto è vero che i miei collaboratori mi fanno notare che spesso, appena posso, corro a casa; anche se mia figlia, poi, che ha ventiquattro anni, la sera a casa ci resta poco...

Com'è il suo mondo religioso?

Sono un cattolico con le proprie debolezze; cerco di vivere in coerenza con i principi.

Lei crede di essere un politico dalle mani pulite?

Questo è un giudizio che non spetta a me, ma agli altri. Io mi impegno di esserlo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017