Nuovi contadini
«Non c’era nulla di scritto – racconta –. E papà non ha costretto nessuno di noi a seguire la sua strada, fatta di sudore, di fatica, senza domeniche, senza vacanze». Carlo Zaccaria è uno dei tanti giovani che ha deciso di fare il contadino. Seguendo le orme paterne, riconosce, ma con una spinta all’innovazione. Ha scelto di fare il produttore. Riso di qualità, venduto online, perché frequenta il web e ha aperto anche un blog all’interno del quale tiene un diario quotidiano e discute, la sera, di ritorno dai campi, del suo riso e del suo lavoro con altri agricoltori.
Un ritorno alla terra che nel nostro Paese sta creando una vera e propria rivoluzione. «Nel primo semestre del 2008 il numero di nuove imprese agricole – spiega Arianna Giuliodori, segretario nazionale della Coldiretti Giovani Impresa – ha superato quelle nate nel settore industriale. In Italia sono quasi centomila i giovani under 35 che hanno scelto di porsi alla guida di aziende agricole che rappresentano la componente più dinamica dell’agricoltura italiana. Lo dimostra il fatto che sono maggiormente presenti in attività a più elevato impiego di lavoro, come l’allevamento e l’orticoltura. Questi giovani ci mettono la faccia nel prodotto che vanno a vendere. C’è una sorta di nuovo senso etico nel lavoro che hanno scelto di fare, un profondo senso di responsabilità, prima di tutto verso il consumatore».
Le aziende agricole dei giovani under 35, secondo Coldiretti, possiedono oggi una superficie superiore di oltre il 54 per cento rispetto alla media nazionale (9,4 ettari contro 6,1), il loro fatturato è più alto di almeno il 75 per cento (18.720 euro a fronte di 10.680) e hanno ben il 50 per cento in più di occupati per azienda. Le giovani leve della campagna dimostrano, poi, una maggiore propensione al biologico (3,7 per cento delle aziende, mentre nel Paese la media è del 2,1 per cento), ma incontrano qualche difficoltà nell’acquisto del capitale terra che solo nel 54 per cento dei casi è di loro proprietà rispetto al 74 per cento del dato nazionale.
Un ritrovato piacere del verde, e della tracciabilità dei prodotti agroalimentari, che spiega il fenomeno dei farmers’ market (i mercati di contadini che troviamo sempre più spesso nelle nostre città), o, ancora, la voglia dell’«orto di casa». Quattro italiani su dieci fanno home-farming, con orticelli in cortile e persino sul balcone del proprio appartamento. Basti pensare, andando oltreoceano, ai victory gardens che stanno spopolando in America, nel cuore di grandi metropoli come New York. L’idea è quella di piantare orti in luoghi simbolici e ben visibili, per incoraggiare il cambiamento delle abitudini alimentari, promuovere il consumo di cibi locali e possibilmente biologici e fare in modo che gli alimenti non arrivino sulla tavola di chi li consuma dopo aver girato il mondo, inquinando e sprecando risorse.
«Negli anni Settanta si era certi che il futuro sarebbe stato della grande azienda industrializzata con salariati – spiega Roberto Fanfani, docente all’università di Bologna, uno dei nostri maggiori economisti agrari –. Nel frattempo, però, la famiglia contadina, e con essa tutto ciò che vi ruota attorno, non si è estinta. Anzi, in questi anni è diventata più flessibile, pluriattiva, multifunzionale. Insomma, ha resistito, integrando con creatività un reddito ancora inferiore alla media. In questo tempo di crisi, proprio grazie a questa solida struttura di base, l’agricoltura è uno dei pochi settori che sta tenendo. Il ricorso alla cassa integrazione ordinaria ha visto in Italia un aumento del 925 per cento; in agricoltura c’è stato, ma si assesta intorno al 45 per cento. Le imprese che oggi danno risultati economici positivi sono quelle agricole, in particolare se pongono l’accento sull’innovazione e se hanno una forte proiezione verso il futuro».
Il sostegno pubblico
Questo rinnovato interesse per la terra ha richiesto maggiore attenzione da parte delle amministrazioni pubbliche, soprattutto a motivo di un inatteso aumento delle richieste di contributo avanzate dalle nuove imprese. Qualche esempio. In Lombardia l’agricoltura rappresenta il 3,5 per cento del Pil complessivo regionale, con oltre 70 mila strutture produttive e di trasformazione, oltre 200 mila addetti (4,1 per cento delle unità lavorative lombarde) e un valore delle produzioni agroindustriali che ammonta a 11 miliardi di euro. Una regione «in verde», dunque, che pesa per il 15 per cento sul valore nazionale del comparto agroalimentare, aggiudicandosi il primato agricolo italiano. «Dal 2000 al 2006, grazie al Programma di sviluppo rurale (Psr), sono stati erogati più di 791 milioni di euro. Per il 2007-2013 la dotazione ammonta a 900 milioni. Le domande di contributo pervenute sono già 11 mila, con oltre 600 milioni di euro richiesti – spiega l’assessore regionale all’agricoltura, Luca Daniel Ferrazzi –. Per l’insediamento dei giovani agricoltori abbiamo stanziato 19 milioni di euro e al momento sono state finanziate 327 domande per 6,7 milioni di euro. La terra sarà sempre di più un bene prezioso, soprattutto a fronte della pressante antropizzazione, vale a dire la trasformazione attuata dall’intervento dell’uomo che i nostri territori stanno accusando. Le imprese dovranno organizzarsi per affrontare un contesto esterno in forte cambiamento. Potranno farlo contando sul supporto pubblico». Un altro esempio è quello del Piemonte. Le aziende agricole sono 64 mila con 66 mila occupati, quelle agroindustriali 9 mila con 40 mila addetti, 300 le cooperative agricole e agroalimentari. Il valore della produzione agricola è di 3,3 miliardi (il 7,3 per cento di quella nazionale), l’incidenza agricola sul Pil regionale è del 2,5 per cento, che raggiunge il 5,3 per cento calcolando l’agroalimentare. Ormai su oltre un terzo della superficie agricola si praticano sistemi di agricoltura ecocompatibile e biologica. «Nell’ambito del Psr sono pervenute quasi duemila domande di finanziamento da giovani agricoltori che intendono insediarsi in aziende agricole – sostiene Mino Taricco, assessore regionale all’agricoltura –. Ne attendevamo la metà. In qualche caso si tratta di figli di agricoltori, ma in molti altri sono persone che non hanno mai lavorato la terra. Credo sia un importante segnale di vitalità e dinamismo di un settore che, pur vivendo il contesto generale di crisi, mostra alcuni segnali in controtendenza».
Gli olivi di Marco
In Piemonte abita Marco Giachino, 32 anni, «quasi commercialista» come si definisce. Il padre ha uno studio ben avviato a Torino. Per Marco un avvenire sicuro, ma lui ha deciso di mollare tutto. Ha comprato un terreno e ci ha piantato mille ulivi. «Non sarà facile, lo so – racconta Marco –. Ho però tutte le motivazioni perché il mio è, prima di tutto, un investimento di vita. Ero stanco dell’ufficio, della città, del cellulare che squillava di continuo. Ho deciso di produrre olio extravergine. Ricevo e-mail e telefonate di tanti giovani che mi fanno i complimenti e mi chiedono come fare». Marco ha da poco costituito un Consorzio di produttori. «Non sarà per il profitto. Quello che interessa è la qualità – conclude – che si raggiunge mettendo insieme macchine, energie e idee».
Dunque il settore agricolo, più ampiamente ricompreso nell’agroalimentare come puntualizza Fanfani, non solo tiene, ma crea pure occupazione. Secondo una ricerca sull’andamento degli sbocchi lavorativi per quanti studiano Agraria, condotta dall’Università di Firenze, quasi il 50 per cento dei laureati nelle ventitré facoltà di Agraria italiane riesce a trovare un impiego nei primi due-tre anni dopo la laurea triennale. Una nuova attenzione che spiega, per esempio, gli oltre mille contatti raggiunti in pochi giorni dai giovani della Coldiretti che hanno deciso di sbarcare su «Facebook», uno dei social network più famosi, per far conoscere la vita nei campi al numero crescente di ragazzi che ne sono attratti come alternativa di lavoro, e questo in un momento in cui l’economia denuncia tutti i suoi limiti.
Custodi della vita
Il trattore e le cicogne
Nella piana di Salussola si sta facendo giorno. Carlo Zaccaria arriva in campagna prima del solito. Con sé, stamattina, ha voluto portare il figlioletto Giovanni.
In lontananza stanno prendendo il volo le cicogne. Non capita tutti i giorni di poterle scorgere mentre si alzano sull’acqua. Padre e figlio se ne stanno in silenzio. «Avevo sei anni, la stessa età di mio figlio, quando papà mi faceva salire sul trattore e mi portava qui». Un’emozione unica che Carlo ha scelto di rivivere. n
I numeri
1,7 milioni, le aziende agricole in Italia nel 2008;
1,3 milioni, quelle a conduzione familiare;
1,5 milioni, con una superficie inferiore ai 10 ettari;
45 mila, le biologiche che collocano l’Italia al primo posto nel mondo;
13 mila, quelle che fanno agriturismo;
901 mila, gli agricoltori in Italia, pari al 4 per cento della popolazione occupata;
4 su 10, gli italiani che fanno home-farming in città;
173, dop e igp ossia i prodotti riconosciuti a denominazione d’origine e indicazione geografica protetta (160 in Francia, 117 in Spagna e 114 in Portogallo).
Luca Zaia. Il ministro… “made in Italy”.
«I contadini sono l’unica multinazionale che difendo». A parlare è Luca Zaia, ministro per le Politiche agricole, 41 anni, trevigiano. Un ministro «verde» che conosce molto bene un settore che sta promuovendo nel segno del «made in Italy». «Non credo esista un ministro dell’Agricoltura che non faccia del suo meglio per dare una mano ai produttori agricoli del proprio Paese – spiega Zaia –. Non c’è nulla di scandaloso in questo, ma solo la volontà di proteggere il lavoro di tante famiglie italiane. La mia non è una crociata contro questo o quel prodotto. Ai consumatori voglio solo dire che non ci si può più permettere di preferire alimenti che devono viaggiare per il mondo prima di arrivare sulle nostre tavole, quando l’Italia può contare su un paniere di 4.500 prodotti tipici». Una battaglia, la sua, condivisa anche da tanti giovani. «Il vecchio stereotipo del contadino non esiste più. L’agricoltura è giovane, ed è sorprendente la quantità di e-mail inviatemi da ragazzi che mi chiedono indicazioni su come intraprendere questa strada. I nostri territori producono qualità ed è questa la chiave per affrontare il futuro. Abbiamo costi di produzione altissimi, viviamo in un mercato che oggi ci penalizza, ma le persone che desiderano dedicare la loro vita all’agricoltura sono tante e notevoli le loro capacità». Dal 18 al 20 aprile Zaia è riuscito a portare il G8 dei ministri dell’Agricoltura a due passi da casa, a Cison di Valmarino (TV). Per discutere, attorno allo stesso tavolo, di sviluppo compatibile. «Ci siamo presi la responsabilità di tracciare una strada condivisa per uscire dalla crisi e rispondere all’emergenza alimentare mondiale. Dobbiamo restituire alla produzione agricola e ai contadini il ruolo centrale che spetta loro nell’economia, abbattendo gli sprechi, per i quali paghiamo un costo sociale, oltre che economico, non più sostenibile. Per ogni caloria consumata ne corrispondono 7 spese per il trasporto del cibo. Ogni giorno finiscono nelle discariche o negli inceneritori 4 mila tonnellate di prodotti e nel 2007 nel comparto distributivo alimentare italiano sono state sprecate quasi 240 mila tonnellate di generi alimentari non venduti. Con tutto quel cibo si potrebbero sfamare 600 mila persone con tre pasti al giorno. Ognuno, nell’era della rivoluzione agricola, può contribuire al cambiamento: i consumatori con le loro scelte, la grande distribuzione con il suo impegno in favore dei prodotti locali, i governi nel pianificare le strategie di sviluppo migliori per il nostro futuro». Zaia ha chiesto di sostenere le popolazioni colpite dal recente terremoto: «Portiamo sulle nostre tavole i prodotti tipici di questa regione: la presenza di formaggi, carni, zafferano e dolci abruzzesi sarà un aiuto concreto per agricoltori e allevatori che stanno vivendo un momento di grande difficoltà». Un’attenzione alla solidarietà a cui Zaia crede da tempo. Come nel caso del progetto, partito 5 anni fa, che vede protagonisti i ragazzi dell’Associazione persone down della Marca Trevigiana che hanno presentato, all’ultimo Vinitaly, il «Raboso del Piave» da loro prodotto nei vigneti della famiglia Cecchetto. «Sono miei amici e con loro ho avuto la fortuna, lo scorso settembre, di trascorrere l’ultimo giorno di vendemmia. Condividiamo uno dei migliori progetti che io abbia mai avviato. Hanno bisogno del sostegno e della collaborazione di tutti».