Nuovi martiri
Edifici religiosi bruciati, stragi crudeli e folli, diritti impunemente lesi, violenze fisiche e psicologiche di ogni tipo: dall’Egitto all’Iraq, dal Pakistan al Sudan. E in un batter d’occhio il martirio sembra tornare, macabro e d’attualità, in contesti di cristianesimo minoritario ma con radici plurisecolari. A ragione Benedetto XVI, nel messaggio per la pace d’inizio anno, scrive: «I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede», e si tratta di persecuzioni sulle quali, al di là di interventi formali e ambigui, i governi locali non prendono posizione come dovrebbero. La «caccia al cristiano», come qualcuno l’ha definita, sembra diventare basso e tollerato sfogo di rancori etnico-religiosi mai sopiti, spesso per colpire un Occidente che viene identificato con il cristianesimo. Detto questo, non può non venire alla mente quanto Tertulliano scriveva sul finire del II secolo, e cioè che il sangue dei martiri è semente di cristiani. In che senso, oggi? Così risponde monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione: «Il martirio di molti cristiani non è diverso da quello sofferto nel corso dei secoli della nostra storia, eppure è veramente nuovo perché provoca gli uomini del nostro tempo spesso indifferenti a riflettere sul senso della vita e sul dono della fede». Sì, anche oggi il martirio scuote gli animi e dà da pensare.
Il mese di marzo è riservato dalla Chiesa italiana alla memoria santa dei missionari martiri nel mondo. La data precisa è quella emblematica del 24, giorno in cui, nel 1980, venne assassinato – mentre celebrava l’Eucaristia – il vescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, figura emblematica di martire ucciso in una nazione cattolica e molto probabilmente da mandanti ed esecutori anch’essi, almeno di nome, cattolici. Su questo sfondo ci è parso interessante rivisitare la vicenda eroica di alcuni frati minori conventuali. A Pariacoto, in Perù, la sera del 9 agosto 1991, un commando di guerriglieri di Sendero Luminoso entra nel villaggio, fa irruzione in convento e sequestra fra Michal e fra Zbigniew. Di lì a poco, dopo un processo sommario, i due missionari vengono uccisi. Unico superstite è fra Jarek, rientrato in Polonia per partecipare alla Giornata mondiale della gioventù di Czestochowa. Giovanni Paolo II, raggiunto dalla notizia, lo incontra in privato, il 13 agosto. Chiede informazioni di prima mano e lo incoraggia con queste parole: «Sono i nuovi santi martiri del Perù».
È impossibile parlare di martirio senza guardare a Gesù, primo martire e modello di ogni martirio. La vicenda della croce sintetizza e manifesta lo stile di una vita tutta centrata sulla volontà del Padre e interamente donata per-gli-altri. Eppure, come scrive di recente il Papa, «spesso la Passione, la Croce di Gesù fanno paura, perché sembrano essere la negazione della vita. In realtà, è esattamente il contrario! La Croce è il “sì” di Dio all’uomo, l’espressione più alta e più intensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna». Ci vorrebbe tempo per spiegare bene il significato di queste parole, che però ci indicano come il cammino della croce sia stato percorso innanzitutto da Dio stesso: non solo Dio si è fatto uomo (incarnazione, Natale), ma si è fatto quell’uomo (croce, redenzione, mistero pasquale), e questo è avvenuto in favore dell’intera umanità presente, passata e futura. È in questo senso che ripercorrere la Via Crucis, la via dolorosa della croce – come invitiamo a fare attraverso l’inserto finemente illustrato e commentato di questo fascicolo – è un atto di attenzione devota al mistero della salvezza che si compie e si rende a noi contemporaneo. Camminare con Gesù in obbedienza al Padre, questa è la via che salva, sulla quale tornare sempre di nuovo, con lucido abbandono.