O rei da amizade

In Brasile dal novembre del 2004, Valensise è stato l'artefice di un forte sviluppo delle relazioni fra i due Paesi. Oggi è cinsiderato un punto di riferimento dall'intera comunità italiana.
19 Ottobre 2006 | di

BRASILIA
Calabrese di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, Michele Valensise, 54 anni, è l’ambasciatore d’Italia in Brasile, il Paese probabilmente più «italiano» del mondo. Valensise è entrato a soli 23 anni alla Farnesina, all’indomani della laurea in Giurisprudenza conseguita all’Università La Sapienza di Roma.
Nel 1978 è in Brasile dove fa esperienza nel settore della comunicazione e in quello economico, e tre anni dopo viene trasferito a Bonn – capitale dell’allora Germania federale –, presso la cancelleria politica. A Roma, dal 1987 al 1991, è capo della Segreteria del Sottosegretario di Stato agli Esteri e nel periodo successivo, fino al 1997, viene inviato a Bruxelles come Primo Consigliere alla Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione Europea.
Nel suo percorso professionale spiccano due delicati incarichi in altrettante zone calde del pianeta: quello di consigliere all’Ambasciata di Beirut, con funzioni vicarie di capo missione, alla metà degli anni Ottanta, durante la guerra civile libanese; e quello di Ambasciatore in Bosnia-Erzegovina nel 1997, subito dopo la cessazione delle ostilità.
Prima di essere nominato ambasciatore in Brasile, Valensise ha ricoperto l’incarico di capo del Servizio stampa e informazione del Ministero, e di portavoce del ministro degli Esteri.
Un ambasciatore poco burocrate, che predilige il contatto diretto con le persone alle fredde missive diplomatiche e all’etichetta. Un ambasciatore, in un Paese dalle dimensioni continentali con 180 milioni di abitanti, che ti risponde personalmente, se gli si scrive un’e-mail. E, dunque, perfettamente a suo agio in un Paese nel quale il fattore umano conta moltissimo, anche ai massimi vertici della politica.
Non è un caso, dunque, che alla gente piaccia ricordarlo in maniche di camicia alla cerimonia di commemorazione dei 130 anni dell’emigrazione italiana in Rio Grande do Sul, assieme al governatore Rigotto; italiano fra gli italiani, a celebrare una grande ricorrenza per gli italo-gaúchi e gli italo-brasiliani in generale.
Meneghini. Signor ambasciatore, quali sono i numeri della presenza italiana in Brasile?
Valensise
. La presenza di cittadini italiani in Brasile, muniti cioè di passaporto italiano, si aggira intorno alle 250 mila persone. Ben più rilevante è, invece, il numero di cittadini brasiliani d’origine italiana che, secondo le stime ufficiali, è di 25 milioni di persone.
Nonostante questi numeri e nonostante gli oriundi italiani occupino ruoli di primo piano nella politica e nell’imprenditoria, l’associazionismo italiano in Brasile non è riuscito ad esprimere nessuna grande organizzazione, a differenza di quanto è accaduto in altri grandi Paesi a forte immigrazione italiana, come ad esempio gli Stati Uniti d’America. Perchè, secondo lei?
In Brasile esistono in effetti molte associazioni italiane che promuovono le tradizioni, la lingua, la cultura del nostro Paese. Il Brasile, com’è noto, ha dimensioni continentali e, forse, per le caratteristiche del Paese, l’integrazione delle nostre comunità è stata meno laboriosa di quanto non sia stata in altri grandi Paesi d’emigrazione. Forse per questo è mancato un ente unico di rappresentanza.
È un dato di fatto che la presenza italiana in Brasile sia poco nota all’opinione pubblica del nostro Paese, e che solo negli ultimi anni se ne sia cominciato a parlare. Eppure di tracce ne abbiamo lasciate: Matarazzo è stato uno degli uomini più ricchi del pianeta, C`ndido Portinari è considerato il più grande pittore dell’America Latina, Geremia Lunardelli era considerato «O rei do café», Adoniran Barbosa è stato uno dei personaggi dello spettacolo più amati di tutti i tempi. E per venire a tempi più recenti, pochissimi sanno che Marisa Lula, la moglie del presidente del Brasile, è cittadina italiana. Come spiega che in Italia ci sia questo vuoto sulla storia migratoria verso il Brasile e, di conseguenza, sulla reale portata della nostra comunità, oggi?
La realtà degli italiani e dei discendenti degli italiani che vivono in Brasile è molto dinamica. È stata protagonista di varie storie di successo e, comunque, di impegno e di serietà nel contribuire allo sviluppo del Brasile. Penso che dovremmo compiere tutti uno sforzo maggiore per far conoscere meglio in Italia il peso e l’importanza della nostra comunità, che qui è molto rispettata, e di alcuni protagonisti di spicco che siamo orgogliosi di vantare in tutti i settori: dall’economia, all’arte, alla cultura.
Lei avrà certamente seguito da vicino la missione della Confindustria italiana in Brasile di qualche mese fa. Pensa che le comuni origini italiane possano favorire lo sviluppo della cooperazione fra imprenditori italiani e imprenditori brasiliani?
Sì, senz’altro. Grazie all’importante presenza italiana nella vita economica e, direi, in parte nella stessa cultura del Brasile, il dialogo tra gli imprenditori dei nostri due Paesi è fortemente facilitato, e rappresenta, a mio avviso, un indubbio valore aggiunto nello sviluppo della cooperazione economica bilaterale.
Dal suo punto d’osservazione, può darci un’idea di quali siano le attuali quotazioni dell’Italia in Brasile?
L’Italia è percepita innanzitutto come un Paese amico, di antica cultura e capace di innovazione. Siamo certamente apprezzati per la nostra versatilità e la nostra inventiva. Potremmo esserlo ancora di più, dimostrando a pieno le nostre capacità di operare – a livello Paese – con un vero e proprio spirito di «sistema».
Il «marchio Italia» piace molto in Brasile. E in campo culturale, le nostre migliori risorse dell’arte, della musica, del cinema possono essere certe di trovare qui una grande accoglienza. L’elenco degli artisti italiani amati in Brasile è davvero molto lungo!
Sappiamo che negli ultimi anni è esplosa una sorta di corsa al passaporto italiano da parte dei brasiliani d’origine italiana. In nessun altro Paese al mondo, pur con alte percentuali di oriundi, si è mai registrato un fenomeno simile. Secondo lei, che cosa spinge un discendente di seconda o terza generazione a richiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana?
Le comunità italiane nel mondo, e in particolare in Brasile, costituiscono un’enorme risorsa umana, culturale, economica e politica per l’Italia. Per molto tempo, questa risorsa è stata sottovalutata. Dobbiamo quindi capire la profondità e anche la particolarità dei vincoli che legano tantissimi oriundi al nostro Paese e assecondare, nel nostro stesso interesse, il desiderio di quanti, anche dopo decenni, sognano di riavvicinarsi all’Italia.
Qualcuno ritiene che sarebbe opportuno, prima di consegnare il passaporto italiano agli oriundi che ne fanno richiesta, che questi dessero prova di avere almeno delle conoscenze basilari della nostra lingua, cultura e storia. Lei che ne pensa?
L’attenzione nei confronti della comunità italiana non dovrebbe essere disgiunta da un nostro intenso impegno per la diffusione della lingua e della cultura italiana. Le eventuali implicazioni operative potranno essere, se del caso, valutate nelle sedi appropriate, nel quadro della normativa sulla cittadinanza. Ma credo che vi sia comunque un interesse generale a promuovere più lingua e più cultura italiana nel mondo.
Brasile e Italia sono legati anche da numerosissime iniziative rivolte al Brasile meno fortunato, al Brasile che soffre, messe in atto da Ong, missionari, reti di solidarietà, volontari, ecc.
È vero. Le iniziative di cooperazione, governativa e non governativa, con il Brasile costituiscono un capitolo importante delle relazioni bilaterali e sono seguite con molta «partecipazione» dall’Ambasciata. Sono un grande esempio di generosità dell’Italia e della nostra società civile. L’Ambasciata non solo promuove alcuni apprezzati progetti di cooperazione, specialmente nei settori sociale e ambientale, ma funge da punto di raccordo tra le diverse iniziative in corso, governative e non governative.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017