OGM meglio non rischiare

Le mutazioni genetiche naturali hanno avuto tempi secolari. Le manipolazioni attuali sono rapidissime e rischiano che di qui a qualche decennio ci si trovi di fronte a brutte sorprese. Il problema dei brevetti e della biodiversità.
03 Ottobre 2002 | di

Una fragola enorme, bellissima, rossa`€¦ e al suo interno una lisca di pesce. È una delle tante foto che giornali e pubblicità  hanno dedicato agli organismi geneticamente modificati (Ogm). L`€™immagine virtuale rende bene l`€™idea che è alla base della sperimentazione su cui il mondo della scienza e quello degli ambientalisti, la politica e i consumatori, si stanno dividendo: l`€™introduzione di alcuni pezzi del codice genetico di un organismo all`€™interno del Dna di un altro, al fine di dargli nuove proprietà . Per tornare alla nostra fragola il ragionamento è di questo tipo: il frutto deperisce in un clima troppo freddo, per ovviare al problema nel suo patrimonio genetico si inserisce quell`€™elemento che permette ai pesci del mare artico di sopravvivere al gelo.

Sì, ma a quale prezzo?

Il nodo è tutto qui. Perché a questa domanda nessuno sa dare ancora una risposta definitiva. L`€™uso delle cosiddette nuove tecnologie è recente: in natura le mutazioni genetiche che hanno accompagnato il cammino dell`€™uomo, degli animali e delle piante hanno avuto tempi secolari. Le manipolazioni attuali, invece, sono rapidissime e rischiano che di qui a qualche decennio ci si trovi di fronte a brutte sorprese. Le divisioni sono tra chi consiglia prudenza a oltranza e chi, tra qualche rischio ipotetico e le sicure opportunità  che gli Ogm offrono oggi, ritiene di puntare su queste ultime.

L`€™argomento è stato dibattutissimo all`€™ultimo vertice della Fao, che si è tenuto a Roma nel mese di giugno. Su forti pressioni degli Stati Uniti, che sono il primo produttore mondiale di Ogm, nella risoluzione finale del vertice c`€™è una cauta apertura: Chiediamo di proseguire la ricerca... L`€™introduzione di nuove tecnologie, incluse biotecnologie, provate e verificate, deve essere compiuta in modo sano, adatto alle condizioni locali, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a migliorare la loro produttività  agricola.

Evidentemente non si tratta di un argomento per i soli addetti ai lavori. Dietro la partita degli Ogm non ci sono soltanto fragole e merluzzi. In gioco entrano gli interessi più vari: le economie di alcuni fra i maggiori Paesi industrializzati, Usa in testa; i bilanci delle multinazionali; il salario dei contadini, e il nostro carrello della spesa. Perché in ultima analisi gli Ogm li ritroviamo sui banchi dei supermercati.

Una storia recente

Tutto è nato qualche decennio fa per rispondere alle campagne contro l`€™uso dei pesticidi e degli insetticidi in agricoltura. Negli anni `€™70 la ricerca scientifica mette a punto delle varietà  di mais e di soia in cui il Dna è stato manipolato. È il caso, per esempio, del mais Bt, che viene innestato del gene di un bacillo che uccide i suoi predatori. Da quel momento l`€™accelerazione è stata incredibile. Nel 2001 l`€™area destinata a coltura geneticamente modificata è stata di 52,6 milioni di ettari, con l`€™impiego di 5,5 milioni di aziende di 13 Paesi. Gli Stati Uniti ospitano circa il 70 per cento di tutti i campi coltivati a Ogm, con Argentina e Canada si arriva al 98 per cento del totale. Le principali colture biotecnologiche sono la soia (63 per cento), il mais (19 per cento), il cotone (13 per cento), la colza (2,7 per cento). Il mercato è controllato da poche multinazionali, tra le quali Dupont, Monsanto e Novartis.

Nel giugno scorso all`€™assemblea della Fao i paesi produttori, che sono contro ogni limitazione alla libertà  di commercio, si sono opposti ancora una volta i paesi dell`€™Unione europea, anche se con qualche divisione tra loro. Di recente, dopo la moratoria del `€™99 sugli Ogm, l`€™Ue ha aperto un piccolo varco chiedendo in cambio una direttiva più garantista e il varo di due regolamenti relativi alle etichette dei prodotti in commercio. Si tratta in sostanza di norme più sicure per la tracciabilità  e l`€™etichettatura dei prodotti destinati all`€™alimentazione umana e animale, che definiscono il limite delle sostanze geneticamente modificate alla soglia dello 0,5 per cento.

Una decisione che risponde da un lato alla cattiva accoglienza che gli europei riservano agli Ogm (il 94,5 per cento secondo un sondaggio, vuole avere possibilità  di scelta e il 70 per cento non li vuole nel piatto); e dall`€™altro all`€™interesse del mercato europeo di salvaguardare la sua produzione di qualità , legata strettamente ai prodotti tipici di un territorio. La battaglia nel nostro Paese vede combattere dallo stesso lato personaggi di fede politica diversa, come il verde Pecoraro Scanio e il ministro delle Politiche agricole di An, Gianni Alemanno, che vorrebbe fare dell`€™Italia il Paese leader nel settore degli Ogm free.

Favorevoli e contrari

Il dibattito è destinato a protrarsi. Il partito dei sì conta a suo favore nomi illustri. Si parte da un premio Nobel per la pace, l`€™agronomo Norman Borlag, che sogna di riuscire a trapiantare il seme del riso, che non è attaccabile da funghi e parassiti, negli altri cereali. Dello stesso partito il genetista Francesco Sala, docente all`€™università  di Milano, che ha sviluppato con altri un progetto che prevede la coniugazione delle biotecnologie con i prodotti tipici italiani, e lo scienziato Tullio Regge, il quale sostiene che il pomodoro san Marzano e il riso Carnaroli, minacciati d`€™estinzione da orde di parassiti potrebbero essere salvati dalla transgenesi. Regge contesta quella che considera la retorica ambientalista circa la produzione biologica: Sono culture facilmente aggredite da muffe vegetali che contengono aflatossine, potenti cancerogeni; al contrario, aggiunge, non esiste assolutamente evidenza di danni alla salute provocati dagli Ogm.

Il fronte dei no, con sfumature svariate al suo interno, è enorme. In prima linea le centinaia di organizzazioni presenti al controvertice della Fao. Come la Consulta dei popoli indigeni, che contesta soprattutto l`€™estensione dei diritti di proprietà  intellettuale a beneficio delle corporazioni transnazionali cosa che ha incrementato la biopirateria e l`€™appropriazione illecita della nostra diversità  biologica e delle conoscenze tradizionali. 

Il capitolo brevetti

Questo dei brevetti è un altro dei capitoli connessi alla vicenda Ogm. Con il controllo della tecnologia i semi rischiano di essere monopolizzati `€“ dice Luca Colombo, che coordina la campagna Ogm dell`€™associazione ambientalista GreenPeace `€“. Il vero pilastro delle biotecnologie sono i brevetti, che garantiscono di norma per venti anni un monopolio sulla tecnologia. Le multinazionali controllano la risorsa cardine sui cui si regge l`€™alimentazione del pianeta, cioè i semi. Nel momento in cui questa cultura del transgenico dovesse diffondersi e ampliarsi su scala planetaria, significherebbe appaltare la sicurezza alimentare mondiale nelle mani di pochi soggetti multinazionali che ovviamente hanno come scopo il profitto e non sfamare gli esseri umani.

L`€™altro cavallo di battaglia degli ambientalisti è che la diffusione degli Ogm finisce per far scomparire la biodiversità . Il primo rischio è l`€™inquinamento delle risorse genetiche, che si ha quando una coltura transgenica attraverso l`€™impollinazione incrociata entra nel patrimonio genetico di colture tradizionali e nei cosiddetti parentali. Il secondo rischio è che tutta una serie di piante selvatiche che spesso sono malerbe nei campi, con la contaminazione diventano resistenti agli erbicidi. Infine, un terzo rischio, dice Colombo è la contaminazione delle colture originali, come ha dimostrato la prestigiosa rivista Nature, che ha registrato come il Dna transgenico si sia inavvertitamente trasmesso alle piante originarie di mais in Messico.

I rischi per la salute

Ma quali sono i rischi per la salute, secondo il partito del no? Non abbiamo garanzie certe sull`€™innocuità  del cibo transgenico e invochiamo il principio di precauzione: a fronte di un salto nel buio, si acquisiscano tutte le informazioni necessarie per capire dove si sta andando. Di certo le allergie sono in aumento. E a oggi sappiamo che ci sono problemi con un mais venduto negli Usa: autorizzato solo a fini zootecnici, ha inquinato una quantità  piuttosto ampia di prodotto diretto al consumo umano, provocando numerose allergie.

Un altro problema è che il tipo di tecnologia sviluppata nel transgenico incorpora degli antibiotici e con un utilizzo degli Ogm su larga scala e nel lungo tempo si può arrivare a un fenomeno di resistenza della microflora intestinale a questi antibiotici nel caso di un trattamento farmaceutico.

Una ricerca inglese, recentissima, avrebbe inoltre dimostrato che il Dna dei cibi modificati può essere acquisito dai batteri che popolano il nostro intestino, cosa che fino ad oggi era stata ritenuta impossibile.

Come ha dimostrato l`€™ultima assemblea Fao, la battaglia in Europa più che giocarsi sulle coltivazione si basa sulle importazioni. Nella guida su come difendersi dagli Ogm di Greenpeace (disponile sul sito internet www.greenpace.it) il suggerimento è di tener d`€™occhio le etichette dei prodotti. Anche se l`€™etichetta non sempre dice tutto quello che c`€™è da dire e in maniera chiara `€“ spiega Colombo `€“, allo stato attuale dice se c`€™è presenza di soia o mais transgenico dei quali sono rilevabili Dna e proteine. Un olio o un amido ottenuto da una coltura transgenica non ha l`€™obbligo di essere etichettato perché non contiene né Dna né proteine. Detto questo, gli ingredienti a rischio sono mais e soia, ma non solo. Anche gli alimenti di origine zootecnica, vale a dire latte, carne, uova, vanno tenuti sott`€™occhio perché il bestiame è stato probabilmente alimentato con Ogm. L`€™80 per cento delle importazioni di transgenico in Europa entra sotto forma di mangime destinati ad alimentare gli animali.

Una delle accuse che i fautori degli Ogm muovono agli ambientalisti è di non considerare che con colture transgeniche su larga scala si potrebbe avere raccolti più ampi tali da sconfiggere la fame nel mondo. Così si spaccia per soluzione ciò che costituisce una minaccia `€“ dice Colombo `€“. Il problema non è di quantità  di cibo disponibile, né tantomeno di avere un alimento super. È un problema di diritti e di lotta alla povertà : 800 milioni di persone, secondo la Fao, soffrono la fame e tre quarti vivono in ambiente rurale, cioè dove i cibi vengono prodotti. Questo vuol dire che i Paesi poveri non solo non hanno accesso adeguato al cibo ma neppure alle risorse per produrre i cibi, cioè ai semi. La condizione monopolistica di controllo da parte delle multinazionali rischia di aggravare la situazione di povertà .

 

Anche la chiesa per la tutela della biodiversità 

Non soltanto le associazioni ambientaliste sono interessate alla tutela della biodiversità . Di recente, infatti, ne parlato anche il Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee). Si tratta di prendere atto del fatto che l`€™ecosistema planetario è composto da una varietà  di microrganismi viventi e che la presenza di questa varietà  è essenziali per la stabilità  dello stesso ecosistema `€“ dice il teologo Simone Morandini, che ha partecipato all`€™incontro Ccee `€“. In fondo la creazione è anche l`€™espressione di Dio che crea. Egli stesso è diversità , uno e trino: nella biodiversità  potremmo vedere quasi un`€™espressione di questa ricchezza e creatività  di nostro Signore.

C`€™è un criterio per definire il confine etico tra ricerca scientifica e manipolazione finalizzata al profitto? Indubbiamente fa parte della vocazione dell`€™uomo il trasformare l`€™ambiente intorno a sé. Occorre invocare un principio di precauzione, di sperimentazione controllata prima dell`€™immissione sul mercato, soprattutto di fronte a forme di intervento che possono mettere a rischio la stabilità  dell`€™ecosistema stesso, indurre sofferenza inaccettabili negli organismi manipolati, pensiamo agli animali, o addirittura mettere a rischio la salute umana. In Italia, dice Morandini, c`€™è una domanda di qualità , di naturale, di integro. Al mercato offrire delle risposte adeguate, al legislatore fare in modo che siano come promettono di essere.

E al consumatore? Una rinnovata etica del consumo, vale a dire una sana diffidenza contro l`€™overdose di consumo che spesso ci viene proposto come modello di riferimento. Va recuperato il senso del limite, dell`€™essenzialità , il gusto del poco ma di qualità . Un consumo sano, moderato, può avere un impatto importante anche dal punto di vista economico sul mercato.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017