Omaggio della Francia a Goldoni

L’umanissimo «servitore di due padroni», protagonista indiscusso della tournée del Piccolo Teatro di Milano, accolto con entusiasmo dai nostri connazionali.
05 Febbraio 2000 | di

Tolosa
Una marea di spettatori per la tournée francese del Piccolo di Milano. Dieci giorni di pienone nella sola Tolosa, dove abbiamo incontrato la compagnia al Théatre de la Cité. Più di 2000 rappresentazioni all'attivo per Ferruccio Soleri nel corso di poco meno di cinquant'anni. Già  un record: quello di essere lo spettacolo più rappresentato nella storia di tutti i tempi. Il segreto della fortuna mondiale di Arlecchino, della sua capacità  di catturare spettatori di qualsiasi generazione e cultura «sta forse nel segreto di Carlo Goldoni scrittore di teatro: saper concentrare la genialità  drammaturgica pescando i suoi soggetti nel libro della vita».

 Un Arlecchino quello interpretato da Soleri, che è andato via via prendendo forma non solo come fatto personale, ma anche come sensibilizzazione di una particolare situazione umana, di un'epoca. Questo Arlecchino è l'immagine di un uomo in lotta tra due mondi, la cattiveria e l'inganno da una parte, la purezza e la semplicità  dall altra (i suoi due padroni?) con tutte le sue contraddizioni, le sue furberie, le sue astuzie, le sue ruffianerie, dette con una voce non realistica che si sposa perfettamente con la maschera grintosa e giovane da gatto, e che lo spinge a interiorizzare quello che il corpo riceve dall'esterno. Quello di Strehler e di Soleri è un Goldoni di storie semplici, reali, possibili, concrete nelle quali egli rappresenta i rapporti tra esseri della vita, capiti dal di dentro. Con quel tanto di contrastante, di aggressivo, di ambiguo che tutto ciò comporta, ma riuscendo sempre a commuovere, a farne una metafora del mondo come solo la grande poesia sa fare.
È un Arlecchino fondamentalmente umano, come Goldoni, disarmato di fronte al male, al buio, alla miseria. Arlecchino, lo sappiamo, deve vendersi a due padroni per poter mangiare. Una miseria interiore che tanto spesso - ieri come oggi - il teatro mette in luce e condanna. Il successo di Arlecchino è un tributo anche a Goldoni, quest'uomo morto solo, senza soldi, quasi senza affetti, a Parigi. Ed è proprio la Francia, a distanza di più di duecento anni, a rendere omaggio al suo genio.
Così, con tutta la sua vicenda umana e artistica, di trionfi e di sudore, di malinconia e di tenerezza, di strepitosa teatralità , Arlecchino dice addio al Novecento e con uno dei suoi balzi fantastici e allegri si precipita avidamente e gioiosamente, a piedi uniti, nel nuovo millennio.
 

Soleri: quando Strehler mi diceva «Non fai ridere»
Il mondo visto dal buco della serratura

Sotto la maschera di Arlecchino, si nasconde un commediante dai capelli bianchi che, da bambino, sognava di fare l'acrobata. Ferruccio Soleri ha trovato il ruolo della sua vita nell'Arlecchino servitore di due padroni. Un personaggio che interpreta dal 1963.

Msa. Il suo incontro con Arlecchino è avvenuto quasi per caso quando studiava come attore all'Accademia d'Arte Drammatica a Roma. Ce ne può parlare?
Soleri.
  Ero preoccupato: nato in Toscana non avevo mai recitato in veneziano. «Non aver paura - mi disse il mio maestro Orazio Costa - verrà  l'Arlecchino di Strehler a metterti a posto». E, infatti, nel 1959 mi fu proposto di partecipare alla tournée americana del Piccolo Teatro di Milano per la rappresentazione dell'Arlecchino. Una parte di comparsa la mia, quella di cameriere, ma con l'invito di stare vicino all'acclamato Arlecchino dell'epoca, l'indimenticabile Marcello Moretti, per coglierne tutti i segreti. Poi la telefonata di Moretti stesso che a bruciapelo mi chiede: «Cosa le piacerebbe fare nell'Arlecchino?». E io sicuro: «Silvio». «E Arlecchino no?». «Ma lo fa lei, quello», risposi. «E se ci fosse bisogno di un sostituto?». Fu cosi che seppi di essere stato scelto per sostituire Moretti e che era tempo di mettermi d'impegno a prepararmi ad interpretare questo personaggio.

Si ricorda un fatto particolare delle sue prime recite?
Ricordo ancora la mia prima recita a New York, in un giorno feriale. Venne annunciato al microfono che, in quella replica, Moretti era sostituito da Ferruccio Soleri. Il teatro aveva duemila posti: da dietro il sipario dove stavamo già  tutti pronti con il braccio alzato nella caratteristica posa del balletto, sentii duemila mormorii di disappunto. Il braccio mi cadde giù, mi sentii svuotato.

Cosa accadde?
Dalle quinte mi arrivò, perentoria, la voce di Paolo Grassi: «Soleri, per carità , il braccio». Si aprì il sipario. Narcisa Bonati che allora interpretava Smeraldina, ha sempre sostenuto che il pubblico mi fece un applauso di sortita. Ma io devo dire che non lo sentii proprio. Il primo atto andò così così. Il secondo, con la scena del pranzo e del budino interessò molto il pubblico. Nel terzo sentii che ce la potevo fare. Questa è stata la mia prima volta come Arlecchino. Indimenticabile.

Poi l'incontro con l'Arlecchino di Strehler!
A Strehler devo tutto. Il mio Arlecchino lo devo a lui. Devo dire, però, che di difficoltà  ne ho avute molte. La prima nasceva dal mio rapporto con la maschera. «Non fai ridere, non esprimi niente», mi diceva Strehler durissimo, e questo mi gettava nel panico. Ho cominciato a studiare la maschera davanti allo specchio. Lì ho capito che la maschera spingeva a interiorizzare quello che avrebbe dovuto sentire il corpo. Ero terrorizzato da questo; poi ho capito di avere un vantaggio rispetto agli altri: potevo guardare il mondo dal buco della serratura, mentre gli altri non potevano vedere le mie emozioni.

Qual è il suo ricordo di Strehler durante le varie edizioni
dell'Arlecchino?
Strehler non mi ha mai detto: «Ecco ci sei; ecco è fatta». Lui era così. Ma mentre provavo l'edizione che fu chiamata «dell'Addio», nel 1987, mi disse una cosa che ricorderò per sempre: «Ferruccio, io non capisco. Tu invecchi, ma il tuo Arlecchino è sempre più giovane. Come fai?».

Appunto, come fa? Qual è il suo segreto dopo tanti anni?
Vede, per me ciò che conta è la gioia del pubblico. Quando vedo che il pubblico è contento trovo le energie per ogni nuova replica.

Può dirmi in una parola sola qual è la luce che sprigiona questo Arlecchino?
Le dirò una frase, ed è di Strehler stesso: «ciò che vince nel cuore dell'uomo è sempre il semplice, il naturale».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017