Onestà e solidarietà, il motto delle penne nere
Un motto deve contenere l’anima della realtà che vuole descrivere, fosse anche in una manciata di parole. «Onestà e solidarietà: queste le nostre regole» è lo slogan voluto dall’Ana (Associazione nazionale alpini) per l’adunata nazionale, l’ottantaseiesima, svoltasi a Piacenza dal 10 al 12 maggio scorsi. L’espressione racchiude i valori che stanno, da sempre, alla base di un sodalizio di straordinario spessore. Il motto riassume compiutamente la realtà delle Penne nere rivelandole per quello che sono (che è, poi, quello che fanno) a chi alpino non è. Una scelta non casuale per un anno, il 2013, in cui ricorrono date importanti nella storia degli alpini: dalla battaglia di Nikolajewka (settantesimo anniversario) a quella dei Tre Monti Asiago-Gallio (VI), avvenuta nel 1918 (ricordata il 7 luglio con una commemorazione a Valbella, sull’altopiano di Asiago). Vent’anni fa, inoltre, veniva inaugurato a Rossosch l’Asilo Sorriso, ideato, progettato e costruito dalle penne nere in ricordo di chi cadde in quella battaglia e su quel fronte. Un modo per «onorare i morti aiutando i vivi», ma prima ancora un segno di pace e di amicizia espresso in maniera concreta.
Quell’ok dagli States
Questi alcuni dei contenuti della parola «solidarietà», gesti e momenti, spesso poco visibili e, a volte, persino inediti, di cui la storia dell’Ana è assai ricca. E l’«onestà? Anche a questo riguardo va riconosciuto che i fondi raccolti in varie occasioni dalle penne nere vengono bene amministrati e spesi a favore di enti, organizzazioni e persone bisognose. Val la pena, per capire meglio questa affermazione, citare un evento che ha fatto storia.
Quando, all’indomani del devastante terremoto del Friuli (maggio 1976), il governo americano decise di stanziare milioni di dollari per la ricostruzione, affidò quei fondi all’Ana, ben consapevole evidentemente che alle mani degli alpini non sarebbe rimasto attaccato nemmeno un cent. E così fu. I conti furono ben amministrati e, alla fine, come si suol dire, tornarono, con grande soddisfazione del governo degli Stati Uniti. Con queste premesse, 300 mila alpini hanno pacificamente invaso, dal 10 al 12 maggio scorsi, Piacenza, in un clima di grande festa, facendo memoria e stringendo o rinsaldando amicizie, sfilando nella giornata di domenica lungo un percorso di 2 chilometri e 800 metri (12 ore di sfilata al suono del «Trentatré – Valore alpin»), portando i consueti striscioni sui quali ogni sezione aveva posto una scritta.
Ambasciatori nel mondo
Le scritte. Tante e ricche di significato. Da quelle che parlavano di onestà e solidarietà, valori che appartengono al Dna delle penne nere, sino ad altre polemicamente attuali, come quella di una delle sezioni di Bassano del Grappa: «In un clima di poca onestà gli alpini donano solidarietà». Ma ce n’è stata, tra tutte, una particolarmente significativa, perché esprimeva una grande fede. Si trovava sullo striscione di una piccola sezione, Valdobbiadene (TV): «Signore delle cime aiutaci a operare nell’onestà e nella solidarietà». Perché il pregare, il ricorrere a Dio, il senso religioso è un altro elemento presente nel Dna degli alpini. Quelli che si son letti a Piacenza non erano semplici slogan, bensì una sintesi della vita quotidiana di uomini sempre pronti a dare: gente del parlar poco e del fare molto. Concetto che, pure il ministro della Difesa Mario Mauro, presente in tribuna, ha ripreso dichiarando che «per superare la crisi nella quale versa l’Italia, bisogna fare come gli alpini!».
Dall’Argentina con amore
Nell’adunata nazionale scarpona ogni anno è numerosa la presenza degli alpini della «seconda naja», cioè quelli delle sezioni estere. Si tratta di persone partite, nell’ultimo dopoguerra, per Paesi stranieri, alla ricerca di lavoro e pane. Dovunque sono andati si sono fatti onore, tanto da rappresentare i migliori ambasciatori d’Italia nel mondo. Tanti hanno anche fatto fortuna, lavorando senza risparmio, inventando, rischiando. È il caso di un piemontese doc: Fernando Caretti, 84 anni portati alla grande, nativo di Verbania (VB), che dal 1950 vive a Buenos Aires, dove presiede la sezione Ana. Da anni non perde un’adunata. A Piacenza, però, aveva qualcosa di particolare da raccontare. Caretti è giunto in Italia con il figlio Aldo, affermato imprenditore, nella cui dimora, l’anno scorso, il cardinale primate di Argentina Bergoglio, oggi papa Francesco, era stato ospite. Questo il suo racconto. «Il cardinale gustò una bagna caòda che tanto desiderava: un assaporare in semplicità il tipico piatto della “sua” gente piemontese, dei suoi vecchi. Eravamo una quindicina e il piatto richiesto l’avevano preparato alcune donne dell’associazione emigranti della Val d’Ossola. Sempre nel 2012, Bergoglio aveva celebrato il funerale di un figlio di un nostro alpino morto in un incidente stradale e si era poi intrattenuto con i nostri soci». E non è finita perché, «in un’altra occasione legata sempre al nostro coro e agli alpini, Bergoglio aveva chiesto di poter ascoltare Il testamento del capitano proprio per ritrovare ricordi semplici di persone care scomparse». Caretti torna poi su quella tavola della bagna caòda, in casa del figlio, per riferire un aneddoto raccontato dallo stesso Bergoglio. Vestiva il clergyman e stava attraversando la strada a un incrocio, in centro a Buenos Aires, quando un passante lo fermò e gli disse: «Ma sa che lei assomiglia al nostro cardinale?» E lui: «Me lo dicono in tanti!...». Caretti padre e figlio che non prevedevano, ovviamente, l’elezione al soglio pontificio del «loro» cardinale, attendono un nuovo incontro, magari in Vaticano, ma anche a Buenos Aires, convinti come sono che, in Argentina, papa Francesco farà ritorno per una visita. Attendono fiduciosi, anche se si dovesse trattare di una tavolata senza bagna caòda…
Sull’adunata piacentina, dunque, c’è stata, in qualche modo, anche la «presenza» di papa Francesco, ricordato poi, nella sfilata domenicale, con la scritta su uno striscione inneggiante a quella sua semplicità che fa di lui un «alpino» a pieno titolo.