Ora che la scuola è di molti colori
Come si può notare dai numeriespostinel box qui a lato, la presenza di bambini provenienti da altri Paesi si sta facendo rilevante. È questa è certamente una straordinaria occasione di crescita e di integrazione sociale e culturale; ma è anche una sfida difficile da vincere, perché i problemi da affrontare per tradurre la prospettiva interculturale in progetti educativi concreti non sono certo pochi.
Da un punto di vista strettamente normativo, infatti, la scuola italiana dovrebbe aver ormai adottato, come recitano i documenti pedagogici, un modello integrativo e interculturale, che sappia accogliere gli alunni nella scuola di tutti - tenendo conto dei bisogni particolari di ognuno - e far convivere culture diverse con il minor conflitto possibile.
Per rendere concrete queste indicazioni, esistono diversi strumenti.
In alcuni casi, per esempio, l'insegnamento dell'italiano viene fatto da docenti appositamente preparati a questo compito; in altre realtà esistono iniziative di formazione per tutti gli insegnanti; altre scuole, definite ad alto flusso migratorio, possono disporre di fondi ad hoc. E ancora, ci sono scuole che si avvalgono di mediatori culturali (che facilitano il rapporto scuola-famiglia soprattutto nei primi mesi dell'inserimento, dando agli insegnanti indicazioni sul curriculum scolastico dei bambini, per esempio, o spiegando ai genitori le regole di una scuola spesso molto diversa da quella del loro Paese d'origine) e di facilitatori d'apprendimento (ovvero insegnanti dedicati al lavoro con gli alunni stranieri, n.d.r.).
Le cose, però, non stanno così proprio dappertutto.
Nella realtà quotidiana, infatti, la sensazione è che esistano situazioni fra loro molto diverse; che in molti casi, purtroppo, la norma siano piuttosto le risorse insufficienti o la riduzione di personale; che, ancora troppo spesso, non ci sia altra strada se non quella dell'ingegno e della buona volontà ...
Ma quali sono, allora, i problemi maggiori della scuola multietnica? E quali gli obiettivi da porsi per il prossimo futuro?
Ecco che cosa ne pensano due insegnanti milanesi abituati a confrontarsi quotidianamente con allievi che arrivano da tutte le parti del mondo. La loro è una fotografia chiara, realistica, per certi versi anche un po' dura e disincantata. Eppure, mai pessimistica. Perché sulle difficoltà prevale sempre l'amore per il proprio lavoro. E la consapevolezza che dalle piccole conquiste quotidiane possono venire le gratificazioni più grandi.
Matteo Piancone: scuola elementare
Matteo Piancone, 33 anni, insegnante di scuola elementare. Negli anni, la mia scuola si è progressivamente trasformata e oggi la realtà è fatta di classi dove quasi il 90 per cento dei bambini è straniero. Quali sono i problemi della scuola multietnica? Ovviamente, il primo riguarda la lingua. Spesso, i bambini non conoscono una parola di italiano; in più, in molti casi, anche il loro livello di scolarizzazione è quasi inesistente. Lo scorso anno, per esempio, in classe sono arrivate due ragazzine di 12 anni che a malapena riuscivano a tenere la penna in mano. Teoricamente, avrebbero dovuto frequentare la scuola media: considerata la loro condizione, sarebbe stato illogico e così sono state inserite in quarta elementare. La loro preparazione, però, era inadeguata e così abbiamo dovuto portare avanti parallelamente una programmazione ad hoc, molto più semplice, per far sì che potessero imparare senza sentirsi a disagio. Con questi bambini, infatti, bisogna fare attenzione anche alle implicazioni psicologiche, stimolarli a studiare evitando di farli sentire diversi dai compagni che, seppure più piccoli, lavorano su programmi più complicati.
Ed è proprio l'aspetto della programmazione quello che, a mio avviso, spesso richiede maggior spirito di iniziativa, di intraprendenza personale. Certo, esistono supporti pratici (libri, schede, programmi per i computer, progetti per le scuole ad alto flusso migratorio,n.d.r.): ognuno, però, poi deve adeguarli alla realtà con cui si confronta quotidianamente, per far sì che la progressiva conoscenza dell'italiano porti con sé la capacità di comprendere anche tutte le altre materie d'insegnamento.
Un altro problema è il rapporto con le famiglie. Anche con loro la comunicazione non è facile: c'è una barriera linguistica, ma anche una profonda fatica nel capire i meccanismi di una scuola sconosciuta e, spesso, molto diversa dalla propria.
Razzismo, intolleranza? No, queste, almeno per quanto mi riguarda, non sono mai state difficoltà . Anzi, credo che per i bambini la possibilità di conoscere culture e mondi diversi offra una grande opportunità di arricchimento umano.
Sì, per gli alunni italiani esiste il rischio che il lavoro a volte venga un po' rallentato. Portare avanti programmi differenziati, però, significa cercare di ridurre al minimo anche questa eventualità .
La scuola italiana sta lavorando bene rispetto all'integrazione. La strada da percorrere, però, è ancora lunga, soprattutto considerando il fatto che il processo d'immigrazione non è certo destinato a esaurirsi. Per questo, allora, tutte le scuole dovrebbero farsi carico responsabilmente ed equamente del problema. La sensazione che ho, infatti, è che, soprattutto nelle grandi città , si tenda un po' a creare delle scuole ghetto dove poi, però, la situazione rischia di diventare incontrollabile. Forse, una suddivisione più ampia - che tenga conto, ovviamente, dei luoghi abitativi - permetterebbe a tutti di lavorare meglio, in un clima più sereno, con maggiori risorse a disposizione. E senza l'assillo di dover affrontare, ogni giorno, una nuova emergenza.
Domenica Ladestra: scuola media
Domenica Ladestra, 42 anni, insegnante di scuola media: La prima volta in cui ho lavorato con degli allievi stranieri, ho avuto la sensazione di dover affrontare una sfida enorme. Una sfida che un po' mi spaventava, ma che alla fine mi ha regalato enormi soddisfazioni. Perché i bambini sono fantastici, sanno farti provare emozioni uniche. Capaci di farti superare ogni difficoltà .
E in una scuola dove convivono tante lingue, i problemi non mancano mai. A cominciare dal primo giorno di scuola, quando davanti a te siede un gruppo di ragazzini con cui non sai come comunicare. A volte, allora, per cominciare, devi dimenticarti, almeno per un attimo, delle parole e provare a usare un altro linguaggio, fatto di sguardi, sorrisi, gesti.
Già , i gesti, anche a questi, però, bisogna fare attenzione. Perché non in tutte le culture hanno lo stesso significato. A volte, ciò che per noi può essere un segno d'affetto, per uno straniero può invece essere addirittura irrispettoso. È anche per questo, allora, che la presenza dei mediatori culturali è fondamentale: il loro aiuto permette di superare le barriere linguistiche ma, soprattutto, di imparare a comprendere il più possibile culture diverse.
Alcuni bambini stranieri che arrivano alla scuola media conoscono già , almeno in parte, l'italiano, perché sono nati in Italia, hanno già frequentato l'asilo e le elementari. Negli ultimi anni, però, si assiste sempre più spesso anche a un altro fenomeno, legato ai ricongiungimenti familiari: una nuova immigrazione, di cui sono protagonisti bambini d'età compresa fra i nove e i quindici anni. Con loro, il primo, fondamentale obiettivo, è quello di dargli la possibilità di apprendere una lingua per comunicare i bisogni primari, fondamentali. Senza questa capacità , infatti, può risultare difficile tollerare un continuo sottofondo di suoni sconosciuti, forse addirittura fastidiosi. Staccare la spina a volte diventa inevitabile. Proprio come succede a noi in un Paese straniero, dove siamo bombardati da parole di cui non comprendiamo il significato...
Il passo successivo è legato agli obiettivi educativi. Il processo, però, è lento e individuale. Si tiene conto delle diversità presenti nella classe. Ci si pongono dei traguardi lavorando sia sul recupero che sul potenziamento.
I bambini italiani? Anche loro devono trovare il modo per dialogare con una compagno di cui non conoscono la lingua. E questa sfida è molto stimolante, li aiuta a comprendere le diversità linguistiche, culturali, religiose. In classe si crea così uno spirito di grande tolleranza, che permette ai bambini stranieri di sentirsi accettati e li aiuta a superare il disagio di ritrovarsi a vivere in un Paese straniero.
Io credo che l'inserimento scolastico debba procedere su più versanti. Conoscere, infatti, è il miglior modo per imparare ad accettare gli altri, rispettandone pacificamente le differenze.
La scuola deve saper offrire a tutti questa opportunità . Perché ciò avvenga, però, servono risorse e professionalità . E la consapevolezza che questa sfida non deve essere solo un problema di pochi, ma un impegno di cui tutti, responsabilmente, devono farsi carico.