Orgoglio degli italiani di Montréal

Intervista a Silvio De Rose che insieme a Giuseppe Borsellino, Mario Galella, Lino Saputo, Luigi Liberatore, Frank Zampino ed altri hanno creduto e lavorato alla realizzazione del Centro.
24 Giugno 2003 | di

 MONTREAL
I grandi progetti, soprattutto quando sono finalizzati ad offrire servizi ad un'intera comunità , sono sempre frutto di un lavoro di gruppo e di grandi capacità  manageriali che, partendo da un'idea base, riescono a condurli a buon fine. Il Centro Leonardo da Vinci di Montréal, uno dei più grandi e più completi nel suo genere al mondo, da un anno ha iniziato il suo cammino in seno alla Comunità  Italiana di Montréal ad opera di un gruppetto di uomini decisi e di grande esperienza che hanno creduto nella necessità  della sua realizzazione.
Di un Centro Comunitario si è parlato per anni. Quando le prime idee furono messe su carta, era previsto un complesso di modeste proporzioni dal quale era stata esclusa la costruzione di un teatro, forse per ragioni di costo. Ricordo che sulle colonne del Corriere Italiano intervenni io stesso dicendo che un Centro Comunitario senza un teatro non aveva valore perché un teatro rappresenta il santuario di molte importanti attività  culturali. Silvio De Rose e Giuseppe Borsellino che già  erano convinti di questa necessità , si adoperarono per cercare i fondi così il teatro fu incluso nel progetto definitivo.
Per conoscere da vicino il potenziale operativo di questo Centro, abbiamo chiesto ad uno dei suoi principali realizzatori, Silvio De Rose - ritenuto un po' il leader del gruppo, e attualmente presidente operativo - di parlarci di come si è arrivati a questa realizzazione e quali sono i benefici che ne ha ricevuto la comunità  italiana che conta 250 mila persone.
Msa. Quando è approdato alla guida della Fondazione, quali erano i suoi propositi?
De Rose
. Un chiaro orientamento verso il futuro. Ho trovato qualche problema da risolvere ma nel prendere in mano il dossier del nuovo Centro mi sono entusiasmato. Devo dire che Giuseppe Borsellino che da sempre aveva creduto ad un progetto del genere, ne aveva preparato le basi ottenendo la promessa dalla città  di San Leonard di avere il terreno dove avrebbe dovuto essere edificato il Centro. Si trattava di un posto strategico, centrale, accanto al municipio, alla biblioteca, alle piscine e ad un'arena. E sindaco della città  di San Leonard era Frank Zampino, un uomo di grandi vedute, che insieme al suo consiglio comunale, composto in gran parte da italiani, aveva accolto con molto interesse l'idea di creare un Centro comunitario a San Leonard dove vivono molti nostri connazionali, tanto da diventarne anche lui promotore.
Quali furono i primi approcci per giungere ad un progetto funzionale?
Siamo partiti avendo in mente tre direzioni: culturale, sociale e sportiva. Strada facendo abbiamo aggiunto anche quella religiosa. Abbiamo compiuto molte ricerche dentro e fuori la nostra comunità  per stabilire quali fossero i bisogni più sentiti, e una volta avute in mano alcune precise indicazioni, abbiamo fatto le nostre scelte. E prima di finalizzarle ho dovuto fare un po' il missionario per mettere tutti d'accordo.
Messo a punto il progetto, occorreva trovare i fondi per finanziarlo e si trattava di parecchi milioni di dollari.
Inizialmente il costo era di 14 milioni di dollari, poi lo ampliammo per giungere, alla fine, ai 17 milioni e 300 mila. La Fondazione non aveva tanti soldi in banca: una modesta somma di 1 milione e 500 mila dollari. Nel 1995 i governi federale e provinciale lanciarono il programma nazionale per il finanziamento delle infrastrutture, con lo scopo di creare posti di lavoro, e noi approfittammo per inserirci in questo programma e, con l'aiuto dell'onorevole Alfonso Gagliano, allora ministro dei Lavori Pubblici e del defunto senatore Pietro Rizzato, ottenemmo dai due governi un finanziamento totale di 6 milioni e 500 mila dollari.
Cos'ha fatto la Fondazione per cercare i fondi che mancavano?
Decidemmo di percorrere due strade: quella di cercare i soldi tra i membri della Fondazione, e l'altra di ricorrere alla comunità  italiana. Premetto che la Fondazione Comunitaria Canadese-Italiana del Quebec è composta da oltre 200 membri-governatori, quasi tutti uomini d'affari e professionisti affermati. È un ente senza scopi di lucro, creato per raccogliere fondi per beneficenza e promozione umana. Ebbene Giuseppe Borsellino aveva creato un fondo di grandi donatori se il progetto fosse stato realizzato. E, infatti, molti contribuirono con somme ragguardevoli e con impegni diluiti nel tempo. Da citare Lino Saputo, presidente della Saputo Co. che ha dato 2 milioni di dollari.
In che modo contribuì il resto della Comunità  Italiana?
Fu creato un Comitato per la campagna di finanziamento presieduto da due dinamici uomini d'affari: Luigi Liberatore e Mario Galella i quali con l'aiuto del console generale d'Italia a Montréal, Gian Lorenzo Cornado, della senatrice Marisa Barth, dell'ex presidente Tony Meti, dell'attivissimo Giuseppe Borsellino, del direttore dei lavori di costruzione, Pasquale Iacobacci, e di tanti altri raccogliemmo il resto dei soldi.
Oggi il Centro Leonardo da Vinci è una realtà  in cammino, attiva già  da un anno. Completato il progetto qual è il suo attuale ruolo in seno al Centro?
Dopo 8 anni ho lasciato la presidenza della Fondazione. Al mio posto è andato Mario Galella. Giuseppe Borsellino è diventato presidente del Consiglio d'amministrazione del Centro mentre io ne sono stato nominato presidente operativo, Mario Galella vice-presidente, e Nicola Di Iorio segretario. Poi ci sono i rappresentanti della CIBPA, del Congresso e della Camera di Commercio Italiana. Pasquale Iacobacci ha assunto la carica di direttore generale.
Quali servizi offrite alla comunità ? E quante persone impiegate?
Abbiamo in tutto 130 mila piedi quadrati tutti utilizzati con 40 persone che lavorano in parte a tempo pieno e in parte a tempo parziale. I servizi che offriamo sono molteplici. Il teatro dedicato a Lino e Mirella Saputo funziona a pieno ritmo: rappresentazioni teatrali, cinematografiche e avvenimenti culturali di vario genere. Abbiamo il bocciodromo con quattro campi, sempre affollatissimo. Due grandi saloni attrezzati per la ginnastica frequentati da circa 800 persone; il campo per il calcetto e la pallacanestro molto attivo. Al terzo piano abbiamo gli uffici di varie federazioni di associazioni, Congresso, Comites, Uomini d'Affari. Nell'ala laterale, la Corte Municipale. Aule per corsi di lingua. Un salone per le mostre. Una cappella per i riti religiosi, 3 messe domenicali celebrate in teatro e sale per accogliere 1.000 bambini per il catechismo.
E le sfide per il futuro?
Mantenere una struttura del genere non è cosa da poco. Entro due anni deve diventare autosufficiente. Sono fiducioso sul fatto che ci riusciremo.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017