Padre Boris nella città degli sradicati

Psicologo, lascia un’avviata carriera scientifica all’università di Mosca per farsi prete ortodosso. Il regime lo confina in una lontana città russa, dove promuove iniziative per aiutare la gente, distrutta dalla miseria, a ritrovare se stessa.
07 Gennaio 1998 | di

Konakovo, 45 mila abitanti, una delle tante cittadine sperdute nella provincia russa, a metà  strada tra Mosca e Tver , è un centro 'a rischio'. Qui in epoca comunista venivano confinati gli alcolizzati di Mosca: la capitale, vetrina dell'Unione Sovietica nel mondo, non poteva mettere in mostra dei disadattati. A Konakovo venivano mandate persone per vari motivi sgradite al regime e, in genere, gli ex detenuti per reati comuni.

Oggi le industrie hanno chiuso o cercano di tenersi a galla faticosamente. In compenso, si moltiplicano gli spacci di vodka e i cinema che proiettano film spazzatura. La vita familiare è difficile: spesso la figura del padre è inesistente e per le madri, quando restano senza lavoro, l'unica fonte di reddito sono i ripetuti viaggi a Mosca, per acquistare merci che nei negozi di provincia non si trovano e rivenderle a prezzi maggiorati. In altri termini, un ottimo terreno per la delinquenza minorile, la tossicodipendenza e la prostituzione.

Ma come ha fatto uno psicologo dell'università  di Mosca, all'inizio di una carriera scientifica ben avviata, e appartenente a una famiglia sovietica con tutte le carte in regola, a finire tra gli 'asociali' di Konakovo? Ce lo racconta lui stesso: 'Vengo da una famiglia non credente per tradizione - esordisce padre Boris Nic^iporov, parroco della chiesa ortodossa del Profeta Elia, nel villaggio di Selichovo, alla periferia di Konakovo - . Mio padre è comunista, mia madre, pur non essendo iscritta al partito, è sempre stata comunista per convinzione. All'università  non mi ha mai soddisfatto la psicologia che ci facevano studiare. Era, a mio avviso, una psicologia menzognera, burocratizzata, dove il grande assente era proprio l'uomo. Nella mia vita personale non posso dire di aver mai avuto esperienze negative che in qualche modo mi spingessero a cercare rifugio in Dio. Andava tutto a gonfie vele. Mi sono laureato abbastanza presto, ho discusso la tesi di dottorato, mi sono sposato, mi è nato un figlio. Ma dentro di me intuivo che non avrei mai potuto darmi pace finché non avessi conosciuto la verità , finché non avessi saputo perché ero qui, su questa terra. Non so dire di preciso come ho avuto questa intuizione. All'inizio si trattava di un sentimento piuttosto vago. Poi nel 1980 ho ricevuto il battesimo e per me è iniziato il cammino verso Dio. Ho incontrato un ottimo padre spirituale, che ancor oggi è il mio confessore. Mi ha aiutato a superare i numerosi ostacoli che si trovano anche all'interno della chiesa'.

Gradualmente il dottor Nic^iporov capisce che la sua vocazione è il sacerdozio, e risponde positivamente anche a questa chiamata.

Negli anni Ottanta vige ancora la disposizione 'non scritta', ma immancabilmente attuata dal Kgb, per cui i sacerdoti con una istruzione superiore non possono esercitare il proprio ministero a Mosca, e vengono destinati alle parrocchie più sperdute, lontano dai giovani della capitale.

Una volta parroco di Selichovo, padre Boris cerca un modo nuovo per mettere a frutto l'esperienza maturata nell'ambiente universitario. La vicina Konakovo pullula di ragazzini disadattati. Già  toglierli dalla strada sarebbe una bella sfida. Ma perché questo avvenga, è necessario offrire loro un'alternativa reale.

All'arrivo di padre Boris il coro della parrocchia di Selikovo è formato da poche vecchine. Il parroco invita a cantare alle sue liturgie alcuni giovani insegnanti di scuole musicali, che non solo rispondono con un entusiasmo inaspettato, ma propongono l'esperienza ai loro colleghi. Ha inizio il lavoro di catechesi con i bambini della parrocchia; si offre qualche pasto caldo ai poveri; si promuovono attività  ricreative. Contemporaneamente, dal 1989 padre Boris comincia a insegnare in una scuola media di Konakovo, dove è a contatto più diretto con i ragazzi e con i loro problemi. Da queste esperienze, passo dopo passo, nasce il centro di 'Nuova Ko^nokova?', oggi una delle maggiori istituzioni di aiuto ai giovani promosse dalla chiesa ortodossa russa.

Di cosa si tratta esattamente? 'Il nostro è un centro culturale - risponde padre Boris - ; non si tratta di un'iniziativa elitaria, ma aperta a tutti. Da noi arrivano soprattutto ragazzi senza genitori, con genitori alcolizzati o indigenti. Oggi, con la collaborazione di 36 educatori, seguiamo più di 500 giovani. Proponiamo loro varie attività . Tra queste una scuola musicale frequentata da circa 300 allievi, divisi in più sezioni, strumentali e corali. Ne sono nati complessi professionalmente molto seri... Un'altra iniziativa - prosegue padre Boris - è il corso di pittura e iconografia. C'è un laboratorio di ceramiche: abbiamo un nostro programma radiofonico, gruppi folkloristici e di ballo, gruppi sportivi. Proponiamo lo studio della storia della Bibbia e dei fondamenti di psicologia morale. Organizziamo campi estivi...'.

Il centro, tiene a precisare padre Boris, non vuole sostituirsi all'istituzione scolastica; si è riusciti, anzi, a instaurare una collaborazione con le strutture statali già  esistenti. 'La nostra è u'attività  extrascolastica, ma si svolge presso le scuole statali, in alcuni locali che prendiamo in affitto. Il comune, con il suo budget, paga gli stipendi agli educatori che insegnano materie non religiose. La chiesa ortodossa riesce a finanziare la parte del nostro progetto educativo che la riguarda più da vicino. Recentemente, però, con l'arrivo del nuovo sindaco e del nuovo governatore della provincia, gli organi amministrativi intendono decurtare i fondi destinati alla nostra attività  e dimezzare gli stipendi degli educatori. Io però mi farò in quattro perché non si distrugga quello che abbiamo costruito, perché i nostri ragazzi non ricadano nella rete della tossicodipendenza e le nostre ragazze non debbano ridursi ad aspettare fuori dalle discoteche qualche cliente danaroso. Data la situazione della nostra città , non c'è alternativa'.

Di fronte a un'attività  tanto vasta, sviluppatasi in pochi anni e in condizioni proibitive, sorge spontanea la domanda: 'Qual è il suo metodo educativo?'. 'Se oggi un sacerdote vuole lavorare con i bambini, con i giovani, deve essere in tutto un uomo del suo tempo, nel senso migliore del termine. Ciò non significa che debba andare in discoteca o masticare chewing-gum. Significa che deve entrare nell'anima dei ragazzi di oggi e trovare un linguaggio comune con loro. Alla base del nostro centro sta l'idea della gioia. Di cosa ha bisogno un bambino? Di positività . Al nostro centro i ragazzi vengono dopo la scuola, nessuno li costringe, tantomeno i genitori, che spesso non sono credenti. Vuol dire che si trovano bene. Nel nostro centro si respira un'atmosfera pasquale, gioiosa: è questo il requisito fondamentale. Studiamo, ci divertiamo insieme e così facendo il bambino scopre la fede e l'importanza della tradizione.

'Quanto al metodo, ho una lunga esperienza come educatore, e so che per insegnare un certo mestiere bisogna seguire una certa metodologia. Ma non conosco nessuna metodologia per educare la persona. L'unico metodo è condividere la propria vita con i ragazzi. Sei hai nel cuore la carità , la grazia, allora può accadere qualcosa. Ma la grazia non te la garantisce nessuna metodologia scientifica. I bambini capiscono solo questo: se tu sei lieto e desideri veramente il loro bene vengono da te. Certo, quando prepariamo un campo estivo ci troviamo per mettere a punto un piano di lavoro. Tuttavia, per un educatore l'importante è lavorare sul proprio cuore. Molti, anche in Occidente, sono abilitati a insegnare, ma non tutti lavorano con i giovani, perché è difficile. Se invece l'insegnamento è vissuto come vocazione può essere fonte di grande gioia'.

Alla base dell'educazione cristiana sta, dunque, una convivenza, essendo il cristianesimo un avvenimento presente... 'Cristo l'hanno crocifisso proprio per questo: perché era in tutto un uomo del suo tempo. C'è chi vorrebbe ritornare al passato e dice: allora sì che si stava bene, c'era lo zar... Altri invece evadono nel futuro. Ma vivere qui e ora, essere contemporanei alla propria gente è la cosa più difficile. Cristo c'è riuscito. Come duemila anni fa, anche oggi dobbiamo vivere nel mondo e annunciare Cristo a tutti, a cominciare dai giovani. I risultati non saranno immediati: noi moriremo e le nuove generazioni cresceranno, costruiranno. Come dice san Paolo: 'Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere''.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017