Parola d’ordine: riciclare

In Italia si producono ventisei milioni di tonnellate l’anno di rifiuti, in massima parte smaltiti in discariche. Opportunamente raccolto e riciclato quel materiale potrebbe diventare una pulita miniera d’oro.
04 Luglio 1997 | di

L'Italia giardino d'Europa? Forse una volta. Tanti e tanti anni fa. Nel suo recente Rapporto annuale sullo stato del paese Legambiente ha, infatti, assegnato al nostro paese l'ultimo posto, la maglia nera. Per rispetto dell'ambiente siamo davvero una frana, anzi un immondezzaio. Infatti, tra le note più dolenti del rapporto, una riguarda lo smaltimento dei rifiuti. Mentre altri paesi europei si sono attrezzati per ridurre al minimo quanto va a finire in quei nauseabondi letamai a cielo aperto e fonti di inquinamento, che sono le contestatissime discariche, noi continuiamo a portarvi il 90 per cento dei nostri rifiuti. Fanno peggio di noi solo Irlanda e Grecia. Poiché di rifiuti ne produciamo in un anno 26 milioni di tonnellate, il doppio rispetto a quindici anni fa, se non corriamo ai ripari, c'è il rischio di venirne sommersi.

Le possibilità  di ridurre drasticamente la produzione di rifiuti con quel che segue, non mancano. Basta guardarsi intorno. Per riuscirci, sia pure gradualmente, è necessaria anzitutto una scelta di fondo, un cambiamento collettivo di mentalità , che ci faccia passare dalla logica del massimo (massimo spreco, esasperazione dei bisogni e dei consumi) alla logica del minimo (semplificazione e riduzione dei bisogni, che vanno soddisfatti con il minimo possibile di materie prime), questo ci rende disponibili a rivedere tutta la politica dei rifuti e ad agire di conseguenza. E anche a fare ognuno la propria parte. Fare i furbi non paga.

Abbiamo parlato a lungo di questi problemi con Michele Boato, consigliere dei Verdi alla regione Veneto ed ex presidente nazionale della Federconsumatori. Arciconvinto che discariche e forni inceneritori siano pericolose fonti di inquinamento e di sprechi, Boato si batte (e non da solo) perché si adottino altri procedimenti, non inquinanti e redditizi, che possiamo già  qui anticipare. Occorre: ridurre alla fonte gli imballaggi, lattine a perdere, confezioni usa e getta che, valutati in peso, costituiscono il 35-40 per cento dei rifiuti: alla fine avremo meno cose da scartare. È assurdo mettere in vendita prodotti con 2-3 involucri di protezione, che poi vanno inutilmente gettati. 'In Germania - afferma Boato - i produttori di imballaggi non riutilizzabili devono pagare una tassa, e in due anni si sono ridotti i rifiuti del 16 per cento'.

Bisogna, quindi, attuare la raccolta differenziata per riciclare e riutilizzare quanto possibile: si raggiunge il massimo se in questa si comprende la distinzione tra materiali solidi e materiali 'organici', cioè scarti di cucina che, compostati, danno un eccellente concime... Alla fine, alle discariche e ai forni va il meno possibile, riducendo puzze e inquinamenti vari. E ricavando non trascurabili utili dal riciclaggio, tra cui, come vedremo, un certo numero di posti di lavoro.

C'è naturalmente chi la pensa in modo diverso e punta tutto sugli inceneritori i quali, bruciando, possono produrre energia elettrica utlizzabile; però inquinano, e, a conti fatti, come vedremo, non si guadagna affatto.

Per sensibilizzare sulla necessità  di bloccare alla fonte la produzione di rifiuti, lo scorso Natale il Forum risorse e rifiuti ha invitato i clienti di alcuni supermercati a scegliere prodotti in bottiglie di vetro da restituire, a non acquistare bibite in lattina, a usare la ricarica per prodotti liquidi come shampoo o detersivi, a usare pile ricaricabili, ecc. Come è andata? 'Abbiamo raggiunto risultati interessanti - spiega Boato - . Grandi supermercati si sono messi su questa strada. La Coop, ad esempio, ha eliminato le scatole di cartone nei prodotti con il proprio marchio, quando non necessarie. Anche la Ferrarelle ci ha assicurato che proseguirà , potenziandolo, nell'uso delle bottiglie in vetro a rendere...'.

Msa. Nessuno vuole discariche o inceneritori vicino casa. Che fare?

Boato. Molti comuni del Veneto, ma anche della Lombardia, obbligati dall'emergenza, hanno scelto di ridurre drasticamente i rifiuti da mandare in discarica, attuando la raccolta differenziata. I rifiuti solidi recuperabili (carta, vetro, metalli, plastica...), vengono venduti e riciclati, quelli umidi (resti di cucina...) vanno agli impianti di compostaggio per ricavarne del buon concime per l'agricoltura. In discarica va soltanto ciò che non può essere in alcun modo riciclato. Chi ha scelto questa soluzione, nel giro di pochi mesi ha visto diminuire i rifiuti portati in discarica anche del 50 o 60 per cento. Il 40 che resta è materiale inerte che non puzza, non inquina le falde, può essere compattato e depositato in discarica senza rischio.

Ma questi rifiuti selezionati e raccolti nelle campane vanno veramente divisi?

Anni fa ci sono stati imbrogli segnalati alla magistratura. Sono episodi limitati. La serietà  amministrativa è cresciuta, i comuni non lasciano più fare alle ditte appaltatrici quello che vogliono. Anche perché economicamente non conviene a nessuno. C'è il 'decreto Ronchi' (il ministro dell'Ambiente) che vieta espressamente di mandare in discarica materiale raccolto separatamente per essere riciclato. Poi, costa molto di più portare i rifiuti in discarica che riciclarli. Il vetro raccolto nelle apposite campane ha un valore di mercato di circa 100 lire al chilo. Portato in discarica ha, invece, un costo di circa 100 lire o anche più. Chi è lo sciocco che invece di guadagnare 100 lire preferisce spenderne 100 rimettendocene alla fine 200? Per l'alluminio delle lattine, il guadagno è di 1000 lire al chilo. La carta rende meno: 30-40 lire il chilo; mandarla in discarica significa non guadagnare 40 lire, ma spenderne 100, cioè perdere 140 lire ogni chilo: 140 mila lire a tonnellata. Una campana pesa 1-2 tonnellate, non credo che convenga perdere così 2-300 mila lire.

Il riciclo dei rifiuti può creare nuovi posti di lavoro?

Il problema della disoccupazione è grave in Italia, soprattutto al Sud dove anche il 50 per cento dei giovani è senza lavoro (20-30 per cento al Nord). Creare nuovi posti di lavoro è, quindi, fondamentale. Quanti ne può offrire il settore dei rifiuti? Secondo uno studio effettuato due anni fa dal M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology), un milione di tonnellate di rifiuti solidi urbani (in Italia sono circa 26 milioni), raccolti separatamente e riciclati, creano 1000 posti di lavoro. La discarica occupa 600 lavoratori per un milione di tonnellate, quindi i posti di lavoro nuovi con il riciclo sono 1000. È chiaro che diminuiranno gli addetti alle discariche, ma cresceranno quelli del settore riciclo.

In Italia si punta a riciclare almeno il 35 per cento dei rifiuti solidi urbani, quindi un terzo dei 26 milioni di tonnellate prodotti ogni anno, cioè 10 milioni per circa 10 mila occupati, non necessariamente pubblici. Nel Veneto, negli ultimi anni, sono sorte decine di associazioni, cooperative, imprese per la raccolta e il riciclo, e danno lavoro ai giovani. 10 mila posti in Italia vuol dire, all'incirca, un migliaio nel Veneto, 1500 in Campania, posti di lavoro veri, non assistiti. Alla fine, un comune spendendo meno per lo smaltimento, finisce con il guadagnare qualcosa che può tradursi nell'abbassamento della tassa, dopo avere creato anche qualche posto di lavoro. Il comune di Campolongo Maggiore, nel veneziano, 8 mila abitanti, nel 1996 riciclando ha risparmiato rispetto all'anno prima una cinquantina di milioni e creato 5-6 nuovi posti di lavoro.

Questo succede in un comune piccolo, ma in una città  grande?

Nell'estate del 1995, Milano si è trovata con la discarica di Cerro bloccata dai cittadini, invece di andare a cercare altre discariche ha preso la strada del riciclo [vedi riquadro]. Sono partiti alla vigilia di Natale del 1995, cioè nel momento della maggior produzione di rifiuti, ma nel primo mese hanno ridotto del 25 per cento il materiale andato in discarica, dimostrando che una città  di un milione e mezzo di abitanti è gestibile, con qualche difficoltà  in più, come un paese da 10 mila abitanti. L'esperimento milanese viene studiato ormai a livello internazionale.

Il governo si sta muovendo nel senso che voi desiderate?

Adesso il 'decreto Ronchi' deve essere gestito: è una legge che tutti dicono essere ben fatta. Ora sta ai comuni e alle regioni applicarla. Non è ancora la migliore - la legge tedesca, che fa pagare direttamente a chi produce i rifiuti, è migliore di quella italiana - , però consente di fare un passo avanti. Per la legge italiana, la raccolta degli imballaggi - che costituiscono il 40 per cento dei rifiuti: bottiglie, lattine, scatole, ecc. - deve essere pagata dai produttori e dagli utilizzatori degli imballaggi; ad esempio, paga chi produce la bottiglia ma anche la ditta che la riempie col suo prodotto, come, ad esempio, la 'Coca-Cola'. Quindi, un imprenditore pagherà  in base alle quantità  di bottiglie, lattine o scatole che immetterà  sul mercato: è un incentivo a produrne lo stretto necessario. Per beni durevoli, invece, come televisori e frigoriferi, c'è l'obbligo del ritiro. Non solo, ma ci sarà  presto anche una cauzione da pagare per chi non riporta il vecchio elettrodomestico.

Qual è la sua opinione sugli inceneritori?

C'è anzitutto un problema occupazionale: quel milione di tonnellate che crea 1600 posti di lavoro nel riciclaggio, ne crea solo 80 con l'incenerimento. Quindi, abbiamo un rapporto di 1 a 20. Poi, incenerire i rifiuti, anche ricavandone energia elettrica, costa il doppio o il triplo rispetto al riciclo. Il terzo svantaggio, che per me è forse il più importante, è il problema ambientale. Incenerire vuol dire espandere nell'aria gli inquinanti, e disseminarli in un raggio di almeno 10 chilometri. Si dice, poi, che incenerire vuol dire produrre, recuperare energia; ma allora facciamo quattro conti. Bruciando un chilo di carta, creo un tot di energia, ma di carta ne serve ancora, e per riprodurla devo consumare energia, esattamente una quantità  10 volte superiore rispetto a quella recuperata bruciandola. Riciclandola, invece, risparmio gran parte di quell'energia.

Incenerire o recuperare? È vero che certi materiali non si possono riciclare, ma questi sono una piccola quantità  rispetto a quello che sostengono i propugnatori degli inceneritori. L'importante settimanale tedesco 'Der Spiegel', afferma che gli inceneritori sono in crisi di astinenza, essendo stati costruiti e programmati per una certa quantità  stabile di rifiuti; con la raccolta differenziata, che qui viene effettuata su vasta scala, si è ridotto all'origine la quantità  di rifiuti, tanto che deve importare rifiuti dal Brasile per mantenere in efficienza gli inceneritori che aveva costruito. l

Chi ci sta provando

La proposta di passare alla raccolta differenziata di materiali umidi, destinati al compostaggio, e secchi (vetro, metalli, carta, plastica...) che vanno riciclati, sta ottenendo grandissimi risultati soprattutto in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

Albignasego, il popoloso centro alle porte di Padova, convertito solo da febbraio di quest'anno al nuovo tipo di raccolta, già  a fine maggio segnalava il dimezzamento dei rifiuti destinati alla discarica, passando dai 593 mila chili dell'anno precedente in quel periodo, a 320 mila circa, mentre è quadruplicato complessivamente il rifiuto recuperato (carta, plastica, vetro). Con costi di gesione inferiore complessivamente del 3 per cento (tenendo conto che in fase di avvio sono necessarie alcune spese).

Milano. Chiusa nel 1995 la discarica di Cerro, dove finivano 1600 delle 2200 tonnellate di rifiuti prodotti ogni giorno, il comune è passato alla raccolta differenziata: dapprima con un progetto di emergenza che distingueva centro città  e fascia esterna, quindi con un altro progetto che la coinvolge tutta con l'introduzione di sacchi di diverso colore per ogni tipo di rifiuto raccolti in spazi condominiali controllati, da dove vengono prelevati in giorni prefissati. Quando, con il 'decreto Ronchi', la tassa sarà  rapportata alla quantità  dei riufiuti prodotti, ogni sacco sarà  munito di un microchip che misurerà  il prodotto. Questo ha consentito di ridurre del 35 per cento il materiale da discarica, nella previsione di giungere presto al 45, con un notevole risparmio, dato il prezzo di 300 lire al chilo della dicarica.

L'alta padovana. Nella prima settimana dell'aprile 1996 i 200 mila abitanti dei 26 comuni dell'alta provincia di Padova avevano mandato in discarica 1150 tonnellate di rifiuti; tre mesi dopo i rifiuti portati alla discarica di bacino, a Campodarsego, si sono ridotti a 570 tonnellate, con una riduzione del 52 per cento. A far cambiare le cose, la decisione del sindaco di Campodarsego di accettare solo la parte secca non riciclabile dei rifiuti, in modo da ridurre l'impatto ambientale e renderlo sopportabile ai cittadini. I dati più straordinari sono quelli di San Pietro in Gu, che ha ridotto i rifiuti dell'85 per cento, riciclando praticamente tutto: ogni abitante manda in discarica 130 grammi al giorno contro gli 820 dell'anno precedente.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017