Paul Cézanne abita ancora sull’Arno

Sull’Arno d’argento brillano i colori di Cézanne. La storia dei suoi due collezionisti segreti.
16 Aprile 2007 | di

È lei. Il «suo timido fragile tesoro». Il volto serio, occhi lontani, labbra sensuali. Le enormi mani, intrecciate in grembo, sotto un fiocco infantile spruzzato di macchie colorate. Un prodigio di espressività negata, eppure vibrante. Un ritratto che folgorò il poeta Rainer Maria Rilke. Si tratta del ritratto più celebre di Paul Cézanne: Madame Cézanne sulla poltrona rossa (1877), opera di un artista geniale, innamorato della moglie, che ci guarda sprofondata nella sua gigantesca, leggendaria poltrona. Hortense Fiquet, la bellissima modella (che Paul incontrò nel 1869 e che sarebbe diventata sua moglie, appunto madame Cézanne, nonché madre di suo figlio), ricopre i muri di Firenze e ci ricorda la mostra sul pittore a Palazzo Strozzi.


Firenze capitale dell’arte

Nei magnifici anni di fine Ottocento l’Arno «prese i colori della Senna», grazie a due giovani collezionisti americani residenti a Firenze, Egisto Fabbri e Charles Loeser, che s’innamorarono di Cézanne quando nessuno ancora apprezzava le opere dell’artista destinato a diventare il padre dell’arte moderna. Fabbri arrivò a possedere trentadue Cézanne, Loeser quindici.
La mostra è la prova della genialità di Paul Cézanne e insieme il racconto della straordinaria avventura intellettuale dei due giovani e lungimiranti collezionisti che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, raccolsero nelle loro dimore le opere del maestro francese, acquistate a Parigi per pochi soldi. In quegli anni Firenze era diventata il crocevia, oltre che di botteghe, anche di artisti, collezionisti e letterati: sui colli circostanti, nelle ville, soggiornavano gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Henry James e il grande critico d’arte Bernard Berenson (compagno di Fabbri ad Harvard). Proprio la passione dei due «scopritori» e collezionisti di Cézanne fece del capoluogo toscano una meta obbligata, irrinunciabile per quanti si avvicinavano all’arte con l’entusiasmo innovatore delle prime avanguardie. A Firenze si respiravano l’amore per l’arte antica e il gusto per il nuovo mondo culturale, che arrivava dalla Francia; si parlava francese, inglese, russo nei giardini, a teatro e nei salotti. Quando la «mitica città d’arte» scopre il nuovo mondo della pittura grazie all’impressionismo, grazie a Degas, Pissarro, Monet, Van Gogh, tutto cambia. La «città museo» si rinnova con magici restauri di ville e castelli e trova il coraggio, alla fine dell’Ottocento, di rendere moderno il proprio centro medievale e rinascimentale, di regalarsi i boulevard. Gli antichi palazzi dei Guicciardini, dei Corsini, dei Torregiani si aprono alla musica, allo sguardo adorante degli stranieri che eleggono Firenze centro del «mondo nuovo».
Proprio queste raccolte di Cézanne nel 1910 arricchirono la prima mostra italiana dell’Impressionismo, a Firenze, nelle sale del Lyceum e, dieci anni più tardi, nel 1920, fornirono i capolavori, la linfa vitale, alla sala che la Biennale di Venezia dedicò a Cézanne. Il maestro sommo nell’arte di trasfondere la pienezza dell’idea nei colori. Nel rappresentare «figure che risultano gioiose come se avessero respirato una musica misteriosa o rivestite d’una dolce gloria sotto la medesima luce attenuata e calda».
Ora, con «Cézanne a Firenze», dopo decenni, venti capolavori del maestro sono ritornati nel luogo del primo grande amore. Per raccontarci come all’alba del Novecento altri artisti: Soffici, Fattori, Medardo Rosso, Ghiglia, Carena, Rosai e Maccari (anch’essi in mostra a Firenze), siano partiti proprio dalla rivoluzione pittorica di Cézanne per tracciare una strada nuova all’arte toscana e italiana. Mentre i nostri artisti imparavano dal maestro del moderno, un giovane spagnolo, Pablo Picasso aveva già inghiottito e digerito la lezione delle celebri Bagnanti di Cézanne, dipingendo uno dei suoi capolavori, Les Demoiselles d’Avignon, che inaugurò il periodo cubista.
Nel 1898, quando aveva quasi sessant’anni (solo da poco aveva tenuto la sua prima personale con totale insuccesso) Cézanne scriveva a due giovani artisti: «Forse sono arrivato troppo presto. Non sono un pittore della mia generazione ma della vostra». Aveva, allora, il maestro la disperazione e la consapevolezza di essere un anticipatore. Le sue celebri ciliegie, pesche, pere, arance (che Woody Allen cita tra le cose per cui vale la pena di vivere), le sue preziose nature morte, venivano mostrate con ironia e sarcasmo agli allievi delle scuole di pittura. Nei suoi quadri Cézanne cambia continuamente il punto di vista: mette sullo stesso tavolino un vaso che vede dall’alto, un frutto che vede dal basso, un cesto che vede da un’altra angolatura ancora. E, come se non bastasse, i suoi orizzonti non sono più orizzontali, i pavimenti delle sue stanze cominciano a inerpicarsi: nulla sarà più al suo posto. Cézanne scrive ancora: «Tutto quello che vediamo si dilegua. La natura è sempre la stessa, ma non resta nulla di ciò che ci appare. La nostra arte deve suggerire la durata della natura, farla vedere come se fosse eterna».


I due giovani collezionisti

Loeser, che morì nel 1928, lasciò otto Cézanne alla Casa Bianca a Washington e una ricca collezione d’arte antica a Firenze, a Palazzo Vecchio.
Nel 1899 Egisto Fabbri, il giovane pittore ed eccellente architetto nato a New York nel 1866 da una famiglia fiorentina, che aveva fatto fortuna in America, scriveva a Cézanne, l’artista adorato che non sarebbe mai riuscito a incontrare: «Ho la fortuna di possedere sedici delle sue opere. Conosco la loro bellezza aristocratica e austera. Sono per me ciò che di più nobile esista nell’arte moderna. Spesso ho desiderato dirle a viva voce l’emozione che provo».
Profonde trasformazioni erano avvenute nella vita di Fabbri, che aveva studiato pittura a Parigi e abitato lo studio di Toulouse-Lautrec prima di venire catturato da Cézanne. Egli si convertì al cattolicesimo e negli anni Venti costruì una chiesa in stile romanico in Casentino a Serravalle, un paese di contadini e boscaioli vicino all’eremo di Camaldoli. Trasformando gli abitanti del piccolo centro in muratori costruì diverse case, oltre alla canonica e a una scuola. Ancora oggi la figura di Fabbri è viva e amata a Serravalle dove, grazie a lui, si canta ancora in gregoriano.
Fece arrivare dall’America la leggendaria maestra Justine Ward che aveva inventato un metodo rivoluzionario per insegnare musica ai bambini: numeri al posto delle note.Capita ancora oggi di trovare in chiesa a dirigere il coro da lui istruito per mezzo secolo, don Walter Jacomoni (87 anni) che conosce bene (come tutti a Serravalle) la vita di Fabbri. Per mantenere le quattro sorelle comprò a Firenze la spettacolare villa Capponi. In cambio vendette i suoi adorati Cézanne.
«Se questa di Firenze non fosse una mostra potrebbe essere un grande romanzo», dice Francesca Bardazzi, una delle curatrici dell’evento assieme a Carlo Sisi.
E proprio le romanzesche biografie di Fabbri e Loeser – grazie ai quali l’Italia ha fatto da madrina al geniale artista anche se poi ha permesso che la splendida collezione fosse dispersa nei più grandi musei del mondo – sono la scoperta, il segreto, l’avventura raccontata dalle cento opere di Palazzo Strozzi. Compresi i quadri dipinti da Egisto Fabbri.       


info

Cézanne a Firenze

Palazzo Strozzi

fino al 29 luglio 2007

Info: tel. 055 2645155

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017