Pedagogia multicolore

04 Giugno 2000 | di
 
   

   

   
di Duccio Demetrio
Docente di Educazione degli adulti all'Università  degli Studi di Milano, esperto       di educazione interculturale.
I nterculturalità   non è più una parola vaga. Basta ascoltare i problemi di coscienza di un medico: cosa fare quando gli si chiede di operare delle «mutilazioni sessuali» su donne straniere? Come si pone il maestro di scuola di fronte allo sfruttamento dei suoi alunni cinesi, costretti a fare i pellettieri dopo le lezioni? Qual è la reazione di un'insegnante donna a cui il fondamentalista islamico rifiuta di  porgere la mano destra in segno di saluto?
 Bastano questi esempi per capire che l'attenzione alle diverse culture è forse la più difficile di tutte, ma è anche la più importante. Senza di essa, infatti, in un mondo multiculturale com'è il nostro, non si riuscirebbe a stabilire alcuna forma di comunicazione. 
Per avviare una vera forma di comunicazione tra culture diverse, cioè una società  interculturale, è necessario cercare quei punti
Tutti ci  troviamo oggi a dover gestire relazioni interculturali. L'importante è non  voler imporre il proprio punto di vista, ma aprirsi all'altro accogliendone anche le differenze e cercando un terreno comune d'intesa su cui cominciare a costruire una relazione.

di vista comuni, quei principi che valgono per tutti, indipendentemente dalle differenze e dalle religioni.
In questo ambito si colloca la «pedagogia interculturale», che riflette sui processi educativi in presenza di culture diverse da quelle maggioritarie. La pedagogia interculturale coinvolge sia gli autoctoni (noi, italiani), sia gli stranieri. I primi perché, imparando a conoscere le culture «altre», imparano a conoscere di più se stessi. Gli stranieri, perché promuove in essi la consapevolezza di aver diritto al rispetto della «diversità ».
La pedagogia interculturale, quindi, rimanda a un'idea di educazione più vasta della semplice trasmissione del sapere. Essa coinvolge l'idea di relazione, che rappresenta l'anima più profonda dell'educazione: nessuno, infatti, ha mai imparato nulla se non è stato destinatario delle attenzioni, delle preoccupazioni, degli affetti di qualcuno.
Nel contesto della pedagogia interculturale è possibile individuare tre parole chiave: interazione, reciprocazione e accettazione.
Interazione significa «agire con», per fare e per pensare insieme, per collaborare e per progettare, ma anche per discutere e per mostrare disaccordo.
Reciprocazione esprime uno scambio di informazioni e di sapere, di risorse e di possibilità .
Accettazione, infine, presuppone l'accoglienza dell'altro, delle reciproche differenze, purché esse non ledano i diritti dell'uomo e del cittadino.
Fare pedagogia interculturale non è poi così difficile. C'è una modalità  esemplare e una più quotidiana. La prima si attua negli incontri e nei confronti che prevedono manifestazioni di autoriconoscimento e comunicazione delle reciproche differenze. La seconda modalità  si attua instaurando climi e relazioni interetniche; organizzando occasioni di incontro e contatto; mostrando attenzione per quanto gli altri hanno da raccontare a noi e per quanto noi abbiamo da raccontare a loro. Infatti, quando due mondi si incontrano veramente, in senso esperienziale, dal loro incontro scaturiscono altri mondi.
La pedagogia interculturale è quindi, essenzialmente, un'intenzione comunicativa, cioè un desiderio di andare verso l'altro per comunicare, evitando la tendenza a rinchiudersi nelle reciproche «tane», anche culturali. Tale pedagogia è anche un'azione militante, perché il suo intento principale è di evitare l'illusione che le cose si «accomodino da sole». Soprattutto, è un'azione che si costruisce insieme con gli immigrati, non solo per loro.

 L'interculturalità  si fa a scuola
Compagni di banco venuti da lontano

Quali cambiamenti deve affrontare la scuola italiana, per potersi adeguare alla nuova società  multiculturale? Lo abbiamo chiesto a Pasquale C., insegnante in una scuola media di Montebelluna (Treviso), zona particolarmente interessata dalla nuova ondata d'immigrazione.
Msa. Qual è la «situazione immigrati» nelle scuole della sua zona?
Pasquale C.
Negli ultimi tre anni i ragazzi stranieri sono passati dal 2 all 8 per cento, ed è facile prevedere che il prossimo anno supereranno il 10 per cento.
Quali problemi avete dovuto affrontare voi insegnanti?
Possiamo suddividerli in tre livelli. Il primo è legato, ovviamente, al problema della lingua. In classe abbiamo ragazzi passati, nello spazio di qualche giorno, dalla Cina all'Italia, ragazzi già  grandi, di 12, 14 anni, e dunque con una scolarità  avanzata. Ben presto, però, gli insegnanti si sono accorti che il problema della lingua è sì quello che all'inizio ha l'impatto maggiore, ma è anche quello più facilmente risolvibile: con corsi di lingua italiana che durano pochi mesi si ridimensiona notevolmente.
Il secondo livello è quello del confronto linguistico. Il ragazzo che ha imparato a comunicare a livello elementare in lingua italiana, per poter leggere anche un semplice libro di storia ha bisogno di capire le strutture del linguaggio più elaborate, che lui già  conosce nella sua lingua, ma che non sa tradurre. Per esempio, ha modi diversi per esprimere il congiuntivo o le frasi ipotetiche. In questa fase, dovrebbe intervenire una nuova figura: il «mediatore linguistico» che, conoscendo bene le due lingue, sappia porle in collegamento. Questa figura al momento non esiste e quindi è la scuola stessa, di solito con gli insegnanti di lettere, che fa questa mediazione.
E il terzo livello?
È costituito dalla questione interculturale vera e propria. Questa è la vera sfida della scuola oggi, perché coinvolge tutti gli allievi e anche i nostri figli che diventeranno cittadini in una società  che sarà  inevitabilmente multietnica. Faccio un esempio: i genitori di alcuni miei alunni non si sono mai presentati ai ricevimenti, perché nella loro cultura ogni ingerenza dei genitori nella scuola equivale a una mancanza di fiducia negli insegnanti. Per noi occidentali la concezione del rapporto famiglia-scuola è diametralmente opposta. È per questo che c è bisogno di mediatori culturali, in grado di collegare fra loro i diversi mondi.

 

   

   

PER SAPERNE DI PIà™      

Duccio Demetrio, Graziella Favaro
Bambini stranieri a scuola
La Nuova Italia Editrice, lire 23.700

Il volume si rivolge agli insegnanti della scuola dell'infanzia e della scuola elementare, per fornire uno strumento di riflessione e di conoscenza e per avanzare proposte didattiche e percorsi operativi a partire da tre parole chiave: accoglienza,       educazione linguistica, educazione interculturale.

STRANIERI A SCUOLA      

L
a scuola italiana, in soli otto anni (dal 1990 al 1997), ha registrato un calo di 700 mila studenti. Nello stesso periodo gli alunni stranieri hanno quadruplicato le loro presenze, passando da 13.600 a oltre 56 mila, al ritmo di incremento del 38,8 per cento annuo. La percentuale degli studenti stranieri va rapidamente crescendo: all'inizio del decennio era dell'1,4 per mille, nel 1996/97       siamo saliti al 6,4 per mille; oggi siamo attorno all'1 per cento.      
  (Fonte: Dossier  statistico '99, Immigrazione).

 


   
   
I L MEDIATORE CULTURALE      

S tranieri che vivono in Italia da un periodo di tempo abbastanza lungo da conoscere bene la lingua e la cultura italiane. Hanno un titolo di studio superiore, non importa se acquisito nel paese d'origine o in Italia: sono i mediatori culturali, di cui si è incominciato a parlare agli inizi degli anni '90, ma che ancora pochi       conoscono. 
Persone che, per poter fare da tramite tra le istituzioni e gli immigrati, devono avere una serie di qualità , come la capacità  d'ascolto e l'abilità  nel lavorare in «sospensione di giudizio», senza, cioè, schierarsi né da una parte né dall'altra.
La loro opera è richiesta in tutti i contesti: dalle scuole agli enti pubblici, ai servizi sanitari. Chiara Moretti, che da qualche anno si occupa della formazione e del coordinamento di mediatori culturali, a tale proposito racconta: «Le donne immigrate sono i soggetti più deboli, perché, di solito, non conoscono l'italiano e hanno meno contatti con l'esterno. Questo rende loro difficile affrontare anche una semplice visita medica. In questo contesto un mediatore culturale diviene una figura indispensabile». Purtroppo, come tutte le figure emergenti, i mediatori si scontrano con un'infinità  di problemi, non ultimo il loro riconoscimento, per cui sarebbe necessaria la costituzione di un albo professionale che ne garantisse la preparazione e ne delineasse i compiti.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017