Perché ammalarsi è un doppio guaio
Aguardare le ricerche sembra che il vero grande problema della sanità italiana sia quello delle lunghe liste d'attesa per effettuare un esame diagnostico. In effetti, l'11,5 per cento delle segnalazioni al centro assistenza del Tribunale per i diritti del malato (Tdm) riguardano queste disfunzioni: liste colme all'inverosimile per ecografie, ecocardiogrammi, esami Tac, risonanza magnetica...
Prendendo come esempio le ecografie mammarie e le mammografie, il termine di 60 giorni, individuato nella gran parte delle regioni come massimo per l'effettuazione della prestazione, è superato nel 40 per cento dei casi. Mediamente l'attesa è di circa tre mesi, ma si è registrata una punta di 423 giorni (a Matera): praticamente un anno e due mesi. Ma se le liste di attesa sono la più evidente delle disfunzioni, nella realtà le lacune del sistema sanitario nazionale sono diverse. Un capitolo delle segnalazioni giunte al Tdm (5,2 per cento del totale) riguarda le dimissioni forzate nell'area oncologica (22,9 per cento) e per le malattie croniche (26,2 per cento). La gravità delle situazioni cui fanno riferimento queste percentuali emerge con chiarezza se si guarda alla condizione dei soggetti che la subiscono in relazione alla loro autonomia. Solo il 13,6 per cento di quanti si sono rivolti al Tribunale per i diritti del malato vive con un coniuge autonomo in grado di garantire l'assistenza, circa il 10 per cento vive da solo, il 26,5 abita con un coniuge non in grado di aiutarlo e quasi il 40 è costretto ad andare a vivere con un figlio o altri parenti. Una testimonianza, questa, della carenza di strutture per lungodegenti e cronici in grado di offrire alternative all'ospedale, soprattutto al Centro-Sud.
Le carenze del territorio, dunque, testimoniano le difficoltà ad affrontare la rimodulazione dell'offerta di prestazioni sanitarie in alternativa all'ospedale. E il punto di maggiore crisi continua a essere rappresentato dalla riabilitazione. A regioni con una buona dotazione di posti letto, come il Lazio, fanno da contraltare altre, come la Sicilia e la Sardegna, che non ne hanno neanche uno. La Sanità mostra dunque drammaticamente la forbice tra Nord e Sud, che si evidenzia anche in altri servizi. Nel Mezzogiorno si segnala la quasi totale assenza di unità spinali, così come c'è carenza di apparecchiature radioterapiche per malati di tumore. Del resto, una ricerca dello scorso anno mostrava come la sopravvivenza dei malati di tumore fosse maggiore al Nord che al Sud proprio perché al Settentrione vi sono maggiori possibilità diagnostiche e terapeutiche.
Strutture d'eccellenza
Non mancano, tuttavia, servizi e strutture d'eccellenza, che danno lustro alla nostra sanità , con centri di livello internazionale. E forse non a caso l'Organizzazione mondiale della sanità qualche tempo fa mise l'Italia al secondo posto per i servizi prestati in rapporto alle risorse a disposizione. Ma il quadro generale resta sostanzialmente segnato più da ombre che da luci. In sostanza, se è vero, come ha dimostrato anche l'ultima Relazione sullo stato sanitario del Paese, che vi sono stati risultati concreti e positivi riguardo alla speranza di vita (76,7 anni per gli uomini e 82,9 per le donne) e al rapporto tra salute e malattie, come pure sulla diminuzione delle morti per patologie cardiovascolari e per tumore, spesso il vissuto dei malati fa i conti con servizi percepiti come inadeguati.
Ecco perché quando si parla di federalismo nella sanità molti storcono il naso, avvertendo il rischio di un'ulteriore spaccatura tra regioni ricche e regioni povere. E non è un caso che i più convinti federalisti in materia sanitaria, come mostrato da una recente indagine del Monitor Biomedico 2003, siano gli abitanti delle regioni in cui i servizi funzionano meglio; e guarda caso sono tutte regioni del Centro-Nord.
Il nuovo Piano sanitario nazionale
In generale, tuttavia, solo poco più della metà degli italiani (il 52,4 per cento) considera adeguati servizi e strutture, per gli altri il giudizio è negativo. Che cosa fare, allora, per migliorare le situazione e soddisfare anche l'altra metà degli italiani? Una risposta dovrebbe venire dal Piano sanitario nazionale 2002-2005 approntato dal ministero della Salute e approvato dal governo, che ora è atteso alla prova dei fatti, cioè la sua concreta attuazione. Le parole chiave sono miglioramento dei servizi, e quindi dell'assistenza, e federalismo, ovvero decentramento. Tra gli obiettivi - quattordici - la lotta ad alcune patologie piuttosto diffuse quali tumori e malattie cardiovascolari, ma anche lotta all'inquinamento ambientale e al fumo, nonché sicurezza sui luoghi di lavoro. Quanto ai progetti - undici - spiccano quelli destinati alla riduzione delle liste di attesa e all'assistenza ai malati cronici e ai disabili.
Il Piano - che fornisce un quadro d'azione che dovrà essere riempito da programmi attuativi, frutto di accordi con le Regioni - punta decisamente verso la qualità e l'eccellenza, con un cambiamento di prospettiva su diversi fronti: da una sanità pensata sostanzialmente come risposta alla malattia a un servizio pubblico che ha come obiettivo il benessere socio-sanitario dei cittadini; da una visione e organizzazione ospedalocentrica, spesso fonte di servizi inappropriati, a una centrata sul territorio e sui suoi effettivi bisogni; infine, in un contesto sempre più segnato dal federalismo, da un modello gestionale accentrato a uno che, almeno nelle intenzioni, si dice pronto a conformarsi alle esigenze regionali. A tale riguardo, l'accordo Stato-Regioni dell'8 agosto 2001 ha segnato un buon modello di collaborazione che il ministero della Salute ritiene costituisca il prototipo di ogni futura iniziativa in sanità perché in grado di prevenire eventuali conflitti istituzionali.
Non mancano perplessità
Ma i sindacati confederali non sono convinti che tutto andrà bene. Pur apprezzandone le linee di fondo, Cgil, Cisl e Uil in una nota congiunta hanno bocciato il Piano, che appare solo come un atto di indirizzo, privo di una valenza programmatoria. Per fare un esempio, il documento riconosce i Livelli essenziali di assistenza come asse portante del sistema, quindi da garantire a tutti su tutto il territorio nazionale, eppure, sottolineano i sindacati, non indica i percorsi e gli strumenti attraverso i quali ciò si possa realizzare.
Anche per l'ex ministro della Sanità , Rosy Bindi, pur animato da buone intenzioni, soprattutto riguardo ai capitoli sugli stili di vita, questo Piano sanitario nazionale appare deficitario. La carenza più forte - spiega la Bindi - è la mancanza di una strategia di rilancio di un servizio nazionale. Non c'è un'attenzione vera per i settori strategici. Non si tiene conto, ad esempio, dell'invecchiamento della popolazione. Inoltre, il Piano non fa i conti con le risorse, la cui inadeguatezza lo rende inapplicabile.
Quanto ai già citati Livelli essenziali di assistenza, l'ex ministro paventa un rischio: La strada che si sta seguendo - spiega - è quella di arrivare a livelli minimi di assistenza a carico del Fondo sanitario nazionale per passare a forme integrative sostitutive attraverso le assicurazioni. Un pericolo, rimarcato anche da monsignor Sergio Pintor, direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della sanità della Conferenza episcopale italiana. Siamo passati - sottolinea - da un servizio sanitario pubblico, che in qualche modo garantiva tutti i cittadini davanti ai bisogni di salute, a una sanità che molto probabilmente avrà diverse velocità . Con la regionalizzazione della sanità - aggiunge - rischiamo di avere delle regioni con reddito alto che avranno anche un'organizzazione sanitaria più efficiente e regioni più povere che non avranno adeguate risorse.
La Chiesa e la Sanità
I problemi della Sanità sono molto complessi. Non a caso, la Chiesa italiana sta prendendo maggiormente a cuore le vicende della Sanità , tanto che per la prima volta, a settembre, in una riunione del Consiglio episcopale permanente c'è stata una relazione specifica sull'argomento. Anche noi come Chiesa - afferma monsignor Pintor - dobbiamo riflettere per vedere quali valori e quali obiettivi primari stanno al centro delle politiche sanitarie, per verificare se effettivamente la persona e i suoi bisogni sono al centro. I bilanci, pur importanti, non possono condizionare in negativo l'assistenza. Si può trovare un modo per far quadrare i primi senza abbassare il livello della seconda. E senza dimenticare, aggiungiamo, i principi cui si ispira il nostro sistema sanitario pubblico: universalità , equità e solidarietà . Principi che devono continuare a rappresentare il sistema di protezione sociale di questo Paese.