Perché l'Italia è in ostaggio della mediocrità

Il sottosviluppo favorisce i raccomandati e i parenti. Mentre i più bravi devono cercare la meritocrazia all'estero. Lo sconsolante ritratto di un Paese in declino.
28 Luglio 2010 | di
Ora i concorsi per ricercatore universitario sono più controllati. Secondo la legge approvata nel 2009 – la prima di quell’anno – i membri esterni delle Commissioni d’esame vengono sorteggiati, e non più eletti, come accadeva prima. Col risultato che prima i risultati degli esami si conoscevano molto spesso in anticipo, così come si conoscevano in anticipo i vincitori. Ora il mescolamento casuale dei membri esterni delle Commissioni, ha favorito una selezione basata sul merito, e questo va ascritto senz’altro al lavoro del ministro per l’Istruzione, Mariastella Gelmini. Tuttavia, anche con la nuova legge, le cose sono tutt’altro che trasparenti. Anzitutto c’è il problema delle dimissioni. Dalle 1876 Commissioni sorteggiate secondo i nuovi principi, si sono dimessi 342 Commissari esterni. Un fenomeno che prima non si conosceva.
La questione interessante è proprio questa: perché i 342 hanno dato forfait? E qui le ipotesi sono due. La prima, la più semplice, è che i docenti sorteggiati avessero qualcos’altro di più importante o interessante da fare. Peraltro i modesti gettoni di presenza non incoraggiano certo la partecipazione alle Commissioni. Può essere, certo! Esiste tuttavia una seconda ipotesi, cioè che il sistema chiuso delle selezioni, che ha funzionato per decenni, e che ha prodotto i risultati che tutti – purtroppo – conosciamo, si autoprotegga e, diciamo così, in qualche modo scoraggi intromissioni dall’esterno, in particolare di commissari scomodi. Sarà così?
Un giovane matematico espatriato, esperto di elettronica, ha messo in rete un blog – pronosticailricercatore.blogspot.com – nel quale chiede ai suoi colleghi ricercatori, in Italia, di fornire in anticipo un loro pronostico sui concorsi per ricercatore, pubblicati a partire dall’entrata in vigore della nuova legge. Dal febbraio scorso e fino al momento in cui scriviamo, sono arrivati al blog circa 400 pronostici che hanno azzeccato in anticipo i risultati di quattro dei cinque concorsi banditi dal Ministero. Alla faccia della signora Gelmini! Che ha fatto approvare una legge lodevolissima ma che da sola non basta a estirpare comportamenti al limite del malavitoso.
Le università italiane non hanno mai brillato sul piano internazionale per competenza scientifica, tuttavia negli ultimi anni (o decenni) la situazione sembra addirittura peggiorata. Horst Albert Glaser, docente di Letterature comparate all’Università di Essen, filologo di statura mondiale e conoscitore attento della realtà italiana, si esprime in proposito con durezza. Riferendosi alla «Relazione sullo stato dell’università italiana» pubblicato nel 2005 dalla Conferenza dei rettori delle università italiane, www.crui.it, Glaser scrive: «Le università italiane sembrano dei veri e propri centri della disorganizzazione, riempite da schiere di docenti, i quali occupano le loro cattedre a seguito di oscure procedure di chiamata. Questo “Superliceo” è dominato dagli interessi personali di docenti che hanno con la scienza poco a che fare. Una formazione qualificata viene fornita a pochi studenti. Il che significa che i futuri insegnanti di inglese non conosceranno l’inglese, che i futuri insegnanti di storia non sapranno chi ha partecipato alle guerre mondiali, o se l’Italia vi ha partecipato e da che parte. Non che manchino le offerte formative. Al contrario esiste un grande numero di percorsi di laurea che, tuttavia, rispondono più agli interessi dei docenti che a quelli della scienza».
Allora non stupisce la fuga dei giovani da un Paese che li considera “carne da macello”. Solo in Europa, cercano di trovare collocazione un numero altissimo di giovani. Sergio Nava, autore del volume La fuga dei talenti (Edizioni San Paolo) parla di circa 30 mila giovani all’anno che lasciano il Paese. Si tratta di ricercatori, musicisti, professionisti, avvocati, medici, manager, giornalisti, storici. Chi scrive fece una ricerca empirica, un paio di anni fa, telefonando a caso alla Facoltà di Romanistica di alcune università tedesche per vedere quanti linguisti d’origine italiana vi lavorassero a diverso titolo: come ricercatori o come docenti. In sette telefonate individuai sedici tra ricercatori e docenti.
Ciò che questi giovani cercano all’estero è semplice: il merito. Li accomuna un «male» originale per l’Italia: essere capaci e meritevoli. Per questo sono sviliti. Hanno capacità e competenze ma sono tenuti al rango di affamati, con stipendi che sono decisamente più bassi rispetto agli standard europei, i quali, a loro volta, sono decisamente più bassi rispetto a quelli americani, canadesi e australiani. Questi giovani, non a caso connotati come «generazione senza voce», non riescono a fare massa critica politicamente, non hanno amici tra la gente che conta, non hanno «santi in paradiso». Possono mettere a disposizione solo il loro merito, e sono costretti ad andarsene.
Anche se la fuga di giovani qualificati è ormai un fenomeno che abbraccia tutto il Paese, con punte inaspettate proprio nelle zone dello sviluppo, nel Nord Est come nel già famoso Triangolo industriale del Nord Ovest, è, in particolare, ancora nel Sud che il fenomeno ha connotazioni drammatiche. Francesco Maria Pezzulli, calabrese di Cosenza, classe 1971, sociologo, già ricercatore con un contratto a tempo presso la facoltà di Sociologia dell’Università La Sapienza di Roma, nel suo libro In fuga dal Sud (Bevivino Editore), parla proprio di questo riferendosi soprattutto alle reti familiari che «offrono protezione» impedendo lo sviluppo. «La famiglia e le parentele, oltre ad essere la prima trama della rete, sono anche i nodi fondamentali di ogni rete meridionale. Famiglia è anche il sistema politico, famiglia è anche il mercato del lavoro, famiglia è anche la Pubblica amministrazione, e così via. Dal momento che i «piani» per il Mezzogiorno hanno sacrificato lo sviluppo economico alla stabilità politico-elettorale, e i processi di sviluppo sono diventati, a tutti gli effetti, processi clientelari, i gruppi parentali e familiari hanno acquisito un enorme potere dato il loro ruolo di garante della riproduzione sociale in condizione di dipendenza e sottosviluppo». Il che significa, detto in termini più giornalistici, che il sottosviluppo favorisce le reti parentali di protezione, le quali, a loro volta, escludono il merito a vantaggio dell’appartenenza, quindi favoriscono ulteriore sottosviluppo. Un circolo vizioso dal quale si esce con molta difficoltà, anche perché le rete parentali si vendono alla politica, cercando a loro volta protezione, e garantendo lo status quo elettorale e sociale.
Le difficoltà del ministro Gelmini stanno tutte lì. Uscire dalla rete di complicità è difficile. E una legge, anche se coraggiosa, non basta. Sarebbe necessario un impegno politico che l’attuale classe dirigente del Paese dimostra di non avere. La speranza sta nei giovani stessi. Se saranno in grado di prendere in mano il loro destino e di mobilitare la politica e l’opinione pubblica in loro favore, la situazione potrà cambiare, nel loro interesse e in quello dell’intero Paese. Ma in questo hanno bisogno dell’aiuto di tutti noi.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017