PERCHÉ SPERARE

Gesù ci ha invitati a non darci pensiero per la nostra vita, perché Dio che nutre i corvi, non può non pensare a noi che valiamo più degli uccelli.
01 Gennaio 1997 | di

Suggerire, con i tempi che corrono, ottimismo o incitare alla speranza, si rischia di passare per matti appena liberati dal manicomio in ossequio alla legge 180. Una sola attenuante è concessa: quando un nuovo anno principia, è permesso farsi una piccola scorta di illusioni. I motivi per essere allegri non sono moltissimi. È più lungo delle litanie dei santi l`€™elenco dei guai che ha convinto gli italiani a dichiararsi, a chi li interrogava per gli annuali sondaggi, pessimisti, delusi, disorientati. Ne indichiamo alcuni: il braccio di ferro tra partiti e magistratura, con sullo sfondo la possibile fine di Mani pulite, senza che nulla di decisivo si sia fatto per trattenere nei limiti della decenza il fenomeno della corruzione; lo stillicidio delle misure fiscali, culminato nell`€™incubo Eurotassa; il rebus della moneta unica; il ristagno dell`€™economia e dei consumi; la disoccupazione (non dà  gaudio sapere che è un male comune al resto dell`€™Europa); l`€™incertezza sulle future pensioni; le ricorrenti voci di drastici tagli che potrebbero far diventare un lontano ricordo lo stato sociale, cioè l`€™egida materna dello stato sulla vita dei cittadini dalla culla alla tomba. E altro ancora, che ognuno può facilmente aggiungere per completare il quadro di un paese posto «sotto una cappa di piombo», come asserisce il presidente degli industriali Fossa, o che sta vivendo «un momento tragico», come drammatizza quello della Fiat Romiti; un paese, comunque, che sta tirando la cinghia.

Ma a buttar giù il morale degli italiani non sembrano essere i sacrifici in sé `€“ anche se l`€™eccessivo ricorso alle tasse sta diventando odioso `€“, ma il dubbio che essi possano servire davvero a raddrizzare una situazione precaria, consentendoci di «entrare in Europa», la mitica meta, fallita la quale sembra che non ci si debba attendere altro che un futuro da paese nordafricano. Dubbio che qualcuno alimenta, e non si comprende se per cognizione di causa o per difendere interessi propri di categoria. Di certo, aumenta la confusione, che è tanta, e la sfiducia in una classe dirigente, non solo politica, che Giuseppe De Rita, in un recente libro, ha definito non all`€™altezza della situazione.

Ne è prova la vicenda delle mitiche riforme dello stato, quelle che dovrebbero farci uscire dalla mefitica palude di Tangentopoli e avviarci a diventare un paese moderno ed efficiente: non se ne trova traccia. Tutto resta nello scrigno delle intenzioni, forse buone, ma di certo sommerse dalle valanghe di risse, di contrapposizioni «muro contro muro»: le poche cose che ci sono state servite a profusione, ed esentasse.

In questo clima, su che cosa basare la speranza? Dove trarre alimento per l`€™ottimismo? Il cristiano è per natura ottimista: ha dalla sua la certezza che Dio, ponendo con l`€™incarnazione «la tenda in mezzo agli uomini», gli si è fatto compagno di viaggio, conoscendolo e amandolo. Gesù, poi, ha portato la buona notizia che il regno e «il mondo nuovo» sono già  inaugurati in lui e in coloro che si convertono e credono, malgrado «il vecchio mondo» prosegua la sua vicenda. È una vicinanza nuova di Dio mediante Gesù, che ha dato inizio a quel rinnovamento destinato a raggiungere la perfezione completa con la risurrezione nell`€™ultimo giorno.

La speranza cristiana non poggia su cose, ma su una persona: Gesù Cristo, il quale ci ha invitati a non darci pensiero per la nostra vita, perché Dio che nutre i corvi, non può non pensare a noi che valiamo più degli uccelli. Francesco d`€™Assisi `€“ per dire `€“ che gli ha dato ascolto, non se n`€™è pentito. Il cristiano, allenato a guardare oltre il contingente, ha imparato a trasformare in occasioni di maturazione e di arricchimento, anche i momenti di difficoltà  e di disagio, modificando lo stile della propria vita per ricercare l`€™essenziale, convinto che non sono le cose a dare la felicità , e a recuperare i valori della solidarietà  e della partecipazione. Non mancano i segni dell`€™impegno, che infittiscono quando aumenta il bisogno. Ne abbiamo visto uno tra i tantissimi anche in una trasmissione televisiva nella quale la rissa la fa da padrona: una dolce signora, Maria Luisa, ha raccontato la storia del figlio Alessio, malato di fibrosi cistica, riferendo un bell`€™esempio di volontariato. Come dire che la vita «vera» scorre lontano dalle risse politiche, dalle caricature del liberismo selvaggio e del comunismo a lunga conservazione.

È questa bontà  sommersa e diffusa, che consente alla società  di sopravvivere, a dare solidi motivi alla nostra speranza. Gli uomini, probabilmente, sono migliori di quello che appare, ma perché il bene influisca anche sul morale della gente, è necessario che acquisti maggiore visibilità , togliendo spazio al male che straripa dalle pagine dei giornali e dagli schermi Tv.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017