Perlasca, lo Schindler italiano

Spacciandosi per console spagnolo nella Budapest controllata dai nazisti, Perlasca mise in salvo, tra il 1944 e il 1945, uomini, donne e bambini.
04 Maggio 2002 | di

Budapest, dicembre 1944. Una colonna di bambini marcia nel freddo, sorvegliata da uomini armati. Quei bambini sono ebrei. Vanno verso il treno della morte, che li porterà  in un campo di sterminio. Il programma nazista non ammette deroghe: tutti gli esseri umani di origine giudea devono essere annientati. La Seconda guerra mondiale è agli ultimi mesi; gli Americani sul fronte occidentale e i Russi su quello orientale avanzano veloci verso la Germania. Le truppe tedesche stanno cedendo, la fine di Hitler è vicina. I nazisti e i loro alleati diventano ancora più spietati.

Improvvisamente il rumore dei passi sull";acciottolato umido, è sovrastato dal rombo di un";automobile che si avvicina: è una Buich nera con due bandierine gialle e rosse, spagnole. L";auto si ferma accanto alla fila dei bambini; ne scende un uomo alto, distinto, che, incurante delle minacce delle Croci Frecciate (le SS ungheresi) prende per mano due piccoli e li fa salire a bordo. Un maggiore interviene: è Adolf Eichmann, che diventerà  famoso come uno dei più efferati criminali di guerra. Ma quel signore elegante non si scompone, e dichiara che i due ragazzini sono sotto la protezione del governo spagnolo. L";ufficiale cede: «Se li porti pure via, tanto verrà  il loro momento`€¦ Ma lei chi è?». E l";altro: «Rappresento la legazione spagnola di Budapest. Mi chiamo Perlasca. Jorge Perlasca».

Potrebbe cominciare così il racconto di un uomo coraggioso al limite dell";incoscienza, che il destino aveva catapultato a Budapest proprio nella fase più terribile della guerra, quella in cui le Croci Frecciate stringevano la città  nella morsa del terrore. C";è il coprifuoco, e chi si imbatte negli uomini in divisa nera ha poche speranze di salvarsi, specie se è ebreo.

In quei mesi terribili, di bugie ne dice tante, Perlasca. A cominciare dal nome e dalla nazionalità . Si chiama Giorgio, ed è italiano. Di spagnolo ha soltanto una lettera autografa di Francisco Franco, il dittatore spagnolo che, in segno di riconoscenza per la dedizione alla causa (Perlasca aveva combattuto con i Franchisti nella guerra civile spagnola dal 1936 al `€˜39), gli ha promesso la sua protezione ovunque si trovi nel mondo. E lui, in quei cruciali mesi dell";inverno del ";44, decide di estendere quella protezione al maggior numero di persone possibile.

Ma chi era questo Giorgio Perlasca, cui la televisione italiana ha di recente dedicato un bel film interpretato dall";attore Luca Zingaretti? Perlasca è stato un fascista convinto. Oltre che in Spagna, ha combattuto anche nell";Africa Orientale, terra che, nelle mire di Mussolini, doveva diventare parte del nostro impero. Ma qualcosa ha fatto gradualmente cambiare idea anche a lui, che pure è un funzionario dello Stato fascista. Non manda giù l";alleanza con la Germania nazista e l";emanazione in Italia delle leggi razziali. Giorgio comincia a pensare che il fascismo non attuerà  più quel rinnovamento morale e civile in cui tanti avevano creduto, anzi vede che il fascismo sta portando la negazione del diritto, della dignità  umana, l";elevazione a regola di vita della sopraffazione del forte sul debole.

 Il coraggio dell";incoscienza

È il 1941 quando un Perlasca sempre più dubbioso sulla sua adesione al regime, viene mandato come incaricato d";affari, con lo status di diplomatico, nei Paesi dell";Europa orientale occupati dai tedeschi. Ha il compito di comprare carne per l";esercito italiano. A Belgrado vede i primi rastrellamenti e le prime deportazioni di ebrei e zingari. Ne rimane turbato, ma non riesce subito a rinnegare la sua fede fascista. Forse in questo sta la sua «normalità Â», il suo non essere «eroe», ma soltanto un uomo alle prese con la sua coscienza, sorpreso dagli eventi e disposto a mettere in discussione le sue convinzioni.

Il momento arriva l";8 settembre 1943: il giorno in cui l";Italia, stremata dalla guerra e dalla dittatura, lascia l";alleato tedesco e firma l";Armistizio con gli Anglo-Americani. Perlasca è a Budapest per il suo incarico. Gli viene chiesto di aderire alla Repubblica Sociale di Salò, creata nel Nord Italia dai tedeschi, con Mussolini e i fascisti irriducibili, per continuare la guerra contro gli Anglo-Americani. Ma lui rifiuta, sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà  prestato al re d";Italia. Perciò per alcuni mesi viene incarcerato.

Poco più di un anno dopo, anche l";Ungheria (che era alleata con la Germania) firma il suo armistizio con l";Unione Sovietica. Anche qui i tedeschi, che hanno il controllo militare del Paese, istituiscono un governo di nazisti locali. Nel Paese sconvolto si moltiplicano le persecuzioni contro i cittadini ungheresi di religione ebraica. È in questo frangente che Perlasca decide di fare la sua parte. «Non potevo sopportare la vista di persone marchiate come animali» scrive sul suo diario. «Non potevo sopportare di vedere uccidere dei bambini».

Esibendo la famosa lettera di Franco, si reca all";ambasciata di Spagna e ottiene un regolare passaporto di quel Paese. Quindi riesce a convincere l";ambasciatore Sanz Briz ad emettere un gran numero di lasciapassare anche per cittadini non spagnoli.

A fine novembre, Briz deve lasciare Budapest. Perlasca resta allo scoperto, ma non si dà  per vinto; anzi ha un";idea pericolosa quanto geniale: si autonomina ambasciatore, e con l";aiuto dei pochi funzionari rimasti nell";ambasciata, prepara migliaia di lettere di protezione del consolato, che così recitano: «Parenti spagnoli hanno richiesto la sua presenza in Spagna; sino a che le comunicazioni non verranno ristabilite e il viaggio possibile, lei resterà  qui sotto la protezione del governo spagnolo».

Perlasca si dimostra abile e coraggioso; un ottimo attore. Per fortuna può contare su una carta: la maggior parte degli ebrei ungheresi è di origine sefardita. I sefarditi erano ebrei di antica origine spagnola, cacciati dalla Penisola Iberica nel XV secolo. Cinque secoli dopo, nel 1924, Miguel Primo de Rivera aveva promosso una legge che riconosceva la cittadinanza spagnola a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita sparsi nel mondo. A quella legge Perlasca si appella.

Lo stratagemma funziona. Negli otto edifici di proprietà  della legazione spagnola, riesce a stipare più di 5 mila persone, a nutrirle e a curarle per settimane. Ogni giorno Perlasca rischia la vita, trattando con il nuovo governo ungherese e con le autorità  di occupazione naziste, cercando di ottenere, in un modo o nell";altro, la salvezza di uomini, donne e bambini.

Furore umanitario

Per più di un mese e mezzo, Perlasca non si ferma un minuto. Il miracolo più grande avviene nel gennaio del 1945, quando il governo ungherese in fuga dalla capitale davanti all";avanzata delle truppe russe, ordina alle SS di distruggere il ghetto dove si nascondono ancora decine di migliaia di ebrei. E qui Perlasca supera se stesso, minacciando (ancora una volta senza averne titolo) che, se il ghetto fosse stato violato, i cittadini ungheresi residenti in Spagna avrebbero subito pesanti ritorsioni.

Sarà  stato per la concitazione di quei momenti, o forse per la maestria recitativa di Perlasca, fatto sta che il Ghetto si salvò, e con lui migliaia di persone che vanno ad aggiungersi alle 5.200 salvate direttamente da quel «sublime impostore».

La storia di Perlasca è rimasta sconosciuta per quasi quarant";anni. Rientrato in Italia dopo la fine della guerra, lo Schindler italiano (ricordate il film di Spielberg?) non l";ha raccontata a nessuno; nemmeno ai familiari. Perché? La risposta non la sapremo mai (Perlasca è scomparso dieci anni fa), ma può essere che nel suo animo bruciasse ancora la convinzione di avere agito «in ritardo», di aver compreso troppo tardi la vera natura del fascismo e del nazismo, e una sorta di rimorso per tutti i morti ammazzati, torturati e vilipesi che Perlasca avrebbe voluto, ma non è riuscito a salvare.

Comunque, benché tardivamente sono stati riconosciuti gli enormi meriti
di quest";uomo. Il mondo ha potuto sapere della sua incredibile storia grazie all";ostinazione di alcune donne ungheresi che alla fine degli anni Ottanta sono riuscite a rintracciare l";uomo che, in quei tragici mesi tra il 1944 e il ";45, le aveva salvate.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017