Pinacoteca sul grande schermo: è l'epopea dei pittori famosi
Il cinema come galleria d'arte, come mostra di pittura con catalogo annesso. Da poco è uscito sugli schermi italiani I colori dell'anima di Mick Davis, con Andy Garcia nel ruolo di Amedeo Modigliani, preceduto da una fitta schiera di film dedicati ultimamente a pittori famosi: La ragazza con l'orecchino di perla di Peter Webber, che cerca di far luce su un pittore di cui si sa assai poco come l'olandese Jan Vermeer; Pontormo di Giovanni Fago, interpretato da Joe Mantegna; Pollock, diretto e interpretato da Ed Harris, biografia di Jackson Pollock, ideatore del dripping (sgocciolamento dei colori sulla tela); Frida di Julie Taymor, con Salma Hayek nel ruolo della pittrice messicana Frida Kahlo. E altri sono in arrivo, dato che vedremo Gary Oldman nei panni di Goya , John Malkovich in quelli dell'austriaco Gustav Klimt e Bruno Ganz interprete dell'inglese Priam Farrell. Per non parlare di tanti illustri precedenti, come il Van Gogh impersonato da Kirk Douglas in Brama di vivere di Vincente Minnelli, Toulouse Lautrec interpretato da José Ferrer in Moulin Rouge di John Huston e Picasso da Anthony Hopkins in Surviving Picasso di James Ivory.
L'intreccio fra pittura e cinema va comunque ben al di là del biopic, del film biografico dedicato alle irrequiete e tormentate esperienze di tanti artisti famosi, del documentario d'arte e della fioritura di festival cinematografici che toccano l'argomento. Il rapporto fra una delle arti più antiche e quella moderna per eccellenza è, infatti, così stretto da stabilire fra loro una calda intimità , un'empatia che si manifesta in una continua trasfusione di vitalità .
Se è vero che si parla diffusamente della sceneggiatura, ovvero del film scritto sulla carta, è altrettanto vero che si parla raramente della scenografia, della messa in scena che dà corpo all'intuizione figurativa del copione e che, attraverso una serie di disegni, anticipa l'immagine che poi sarà fotografata e fissata su pellicola.
Fin dalle origini del cinema, gli operatori dei fratelli Lumière si soffermarono a riprendere vedute e panorami, replicando così quella tendenza pittorica di fine '800 che consisteva nel ritrarre scorci di suggestiva bellezza. Allo stesso modo per il filone storico sulla romanità , uno dei generi che per primo riscosse i favori del pubblico, scenografi e arredatori si ispirarono alle fonti iconografiche che esaltavano la Roma imperiale. Film come Quo vadis? di Enrico Guazzoni e Gli ultimi giorni di Pompei di Eleuterio Ridolfi, entrambi del 1913, trovarono nel barocco e nel manierismo i modelli pittorici ai quali rifarsi.
Soltanto di rado il regista riprende la realtà così com'è e con intenti documentaristici come avveniva ai tempi del neorealismo, quando non potendo utilizzare i teatri di posa (Cinecittà era occupata dagli sfollati) si giravano film in mezzo alla strada e con attori presi dalla vita. Il più delle volte il regista gira all'interno di un teatro di posa e, di conseguenza, deve ricostruire la realtà seguendo la traccia indicata dalla scenografia. In altre parole, conferendo un aspetto tridimensionale a un'immagine pittorica.
Molti autori cinematografici provengono da esperienze pittoriche nelle quali hanno maturato una visione poetica della realtà e alla quale si rifanno esplicitamente nei loro film. È il caso di Peter Greenaway e del suo I misteri del giardino di Compton House, tutto imperniato sulle affinità tra pittura e cinema, nonché sullo stretto legame tra segno grafico e fotogramma. La fase di passaggio dal film al quadro che lo ispira è volutamente marcata da Pasolini nella Ricotta, che si chiude con un preciso rimando al Pontormo, e in Mamma Roma con la citazione del «Cristo morto» di Andrea Mantegna.
Tanti altri potrebbero essere gli esempi e i riferimenti. Luchino Visconti si è rifatto ai macchiaioli per film ambientati nell'Ottocento come Senso e Il Gattopardo, e lo stesso ha fatto Mauro Bolognini per La viaccia, mentre a correnti moderne che evidenziano una comune origine nei modelli espressivi della nostra epoca si sono riferiti Stanley Kubrick, Michelangelo Antonioni e Marco Ferreri, rispettivamente attratti dall'iperrealismo, dalla pittura informale e dall'«industrial design», dalla «pop art».
Quando il regista disegna
Da qualche tempo, poi, è invalso il buon uso di conservare le «story-board», lo schema visivo che accompagna la sceneggiatura e che, come un fumetto, fissa gli sviluppi del film attraverso una serie di disegni. Assieme alle foto di scena, alla sceneggiatura e alle interviste di rito, molte «story-board» sono state pubblicate in libri che documentano le fasi di lavorazione di un film o hanno addirittura fornito preziosi materiali per allestire mostre che rivelano le qualità grafiche e pittoriche dell'autore. Basti pensare ai disegni di Eisenstein (il grande regista russo autore della Corazzata Potemkin ) e di Fellini, due registi che di loro pugno annotavano in schizzi e disegni ogni immagine e ogni scena che poi avrebbero preso consistenza sul set.
Il rapporto fra cinema e pittura fu analizzato a fondo fin dai primordi dell'invenzione dei Lumière, tanto è vero che agli inizi del Novecento l'americano Vachel N. Lindsay definì il cinema una scrittura iconica che, grazie al movimento, aveva dotato le arti figurative di una virtù dinamica. Ma anche quel cinema che sembra evitare ogni ispirazione pittorica non è esente da agganci e riferimenti di questo tipo. È la tesi di Carlo Ludovico Ragghianti, critico d'arte che al cinema e ai suoi rapporti con le arti figurative ha dedicato analisi approfondite. A questo proposito, Ragghianti cita il caso di Chaplin, il cui cinema, pur sembrando lontanissimo da modelli pittorici, dimostra invece l'uso di uno stile antinaturalista che si esprime attraverso l'esaltazione lirica del movimento.
Concetto fatto proprio dallo scrittore americano Jo W. Lawrence, che in un racconto attribuisce l'idea del cinema a un uomo delle caverne, che all'età della pietra disegnò sulle pareti di una grotta figure di bufali a otto zampe per suggerire l'immagine del movimento. Se così fosse, il binomio pittura-cinema risalirebbe idealmente al periodo paleolitico.