Plinio Sarti, italobrasiliano con orgoglio
San Paolo
«Il Brasile non avrebbe mai potuto eleggere un ex-sindacalista come Lula alla più alta carica dello Stato se non ci fossero stati gli italiani». Parola del presidente dell’Unione Italiani nel Mondo, UIM Brasil, Plinio Gustavo Adri Sarti, uno che conosce molto bene la traiettoria del movimento sindacale brasiliano degli ultimi quarant’anni.
Sarti ci spiega che se è vero che il grande esodo italiano in Brasile ebbe per protagoniste intere famiglie di modesta estrazione sociale costrette a emigrare per assoluta mancanza di opportunità, è altrettanto vero che non bisogna confondere la povertà materiale con l’ignoranza, con il degrado culturale e con l’arrendevolezza perché quella gente non era affatto stupida e non aveva certo oltrepassato l’Oceano per farsi mettere i piedi in testa da qualcuno.
Arrivati per sostituire il lavoro degli schiavi nelle immense piantagioni di caffè dello Stato di San Paolo – un’area di 248 mila chilometri quadrati – gli italiani seppero in breve tempo affrancarsi dal giogo dei latifondisti con il loro ingegno, ma soprattutto grazie alla tenacia e alla voglia di fare.
«Così i figli di quegli emigrati – racconta Sarti – ebbero la possibilità di studiare e di emanciparsi dal duro lavoro nelle fazende di caffè. Molti di loro diventarono imprenditori, professionisti e commercianti; altri andarono a lavorare nelle fabbriche, svolgendo un ruolo di primo piano nel boom industriale che ha portato San Paolo a diventare la locomotiva di tutto il Paese, e il principale polo industriale dell’intero Sud America».
E Lula cosa c’entra in tutto questo? «C’entra perché il movimento sindacale brasiliano, di cui Lula è stato uno dei principali protagonisti – ricorda Sarti – è figlio delle italianissime Società e Associazioni di Mutuo Soccorso, ovvero di quegli elementari strumenti di autotutela che proprio i nostri operai utilizzarono, a partire dai primi del Novecento, per sopperire alla carenza di una normativa statale. Da queste forme solidaristiche si passò successivamente alla nascita dei sindacati veri e propri, alcuni dei quali, come quello dei metalmeccanici capitanato da Lula, ebbero fra l’altro un ruolo di primo piano nell’affermazione della democrazia sulla dittatura militare. È fondamentale ricordare, poi, che il movimento sindacale italiano e quello brasiliano intrattengono da molti anni rapporti di stretta collaborazione».
L’Unione Italiani nel Mondo, di cui Sarti è presidente per il Brasile, è un esempio di queste sinergie. Si tratta di un organismo sorto una quindicina d’anni fa su iniziativa della Uil e del Patronato Ital Uil, e oggi presente in molti Paesi europei, oltre che in otto Stati extra-europei.
«La condizione dei lavoratori è migliorata rispetto a qualche decennio fa – riconosce Sarti – ma c’è ancora tanta strada da fare. Basta ricordare che in Brasile non esiste l’istituto del contratto nazionale di categoria, e pertanto un metalmeccanico di Bahia percepisce un salario base che può essere molto inferiore a quello di un suo collega di San Paolo o del Rio Grande do Sul.
Dall’altra parte c’è da sottolineare che sono stati fatti molti passi in avanti, soprattutto da parte del Sindacato nazionale dei pensionati – praticamente una fotocopia di quello italiano della Uil Pensionati – che attualmente è la prima organizzazione, come numero di iscritti, di tutto il Brasile».
Plinio Sarti non è un personaggio straordinario, nel senso che non è un grande imprenditore, non è un artista famoso, non è un divo dello spettacolo né un luminare della scienza: è «solo» uno stimato professionista. Ma, paradossalmente, è proprio questa sua «normalità», comune ad altri milioni di cittadini brasiliani d’origine italiana, che ci aiuta a comprendere meglio la straordinarietà della presenza tricolore in Brasile.
La storia della famiglia Sarti in Sud America, iniziata negli ultimi anni dell’Ottocento con nonno Giovanni Battista che emigra da Castelguglielmo, un paesino in Provincia di Rovigo, rispecchia esattamente la storia di molti altri italiani sbarcati nel Porto di Santos a quell’epoca.
Dopo il periodo di quarantena trascorso all’Hospedaria de Imigrantes di San Paolo, Giovanni Battista trova lavoro come bracciante agricolo nelle piantagioni di caffè dei Santos Dumont (ricca famiglia alla quale apparteneva anche Alberto, uno dei padri dell’aviazione moderna) nella zona di Sertãozinho, 350 chilometri a nordest della capitale paulista. Dalla moglie Basilia Magro – veneta anche lei – avrà nove figli.
«Nessuno in famiglia ha costruito considerevoli fortune – ci confessa Sarti – ma i nostri genitori sono stati in grado di darci una buona educazione, di farci proseguire negli studi; e già questo è un punto di grande orgoglio».
La fortuna economica vera ha arriso, eccome, ad altre famiglie capitate in quell’angolo dello Stato di San Paolo (considerata una delle zone più ricche e sviluppate di tutto il Paese): è il caso dei Balbo, dei Tomiello, dei Biagi, degli Ometto… ovvero di dinastie che oggi sono ai primi posti al mondo nel campo dell’industria agroalimentare. Ed è anche il caso di quel Geremia Lunardelli che, emigrato in Brasile nel 1886 quando aveva neanche un anno, a 35 si guadagnò l’appellativo di «O rei do café», diventando l’incontrastato Re dei preziosi chicchi con oltre 10 milioni di piante coltivate.
Alla soglia dei 65 anni (e con nessuna intenzione di andare in pensione), Plinio Sarti è un punto di riferimento per l’intera comunità italiana dello Stato di San Paolo, forte di un’importante rete di amicizie con personalità del mondo politico, economico e imprenditoriale che ha saputo tessere con grande passione, relazioni che costituiscono un prezioso patrimonio per lo sviluppo dei rapporti fra Italia e Brasile. E quando si parla di italianità, Sarti non è certo uno che fa uso di diplomazia: quello che c’è da dire, lo dice a chiare lettere. «È vero che il Brasile è uno straordinario coacervo di razze e che rappresenta un esempio di integrazione razziale per tutto il mondo. Ma è altrettanto vero che gli italiani sono stati (e lo sono ancora oggi) i protagonisti dello sviluppo industriale, civile, culturale di questo grande Paese che li ha accolti. Perché mai non dovremmo una buona volta affermarlo chiaramente, e andarne orgogliosi?».
In effetti sono ancora in pochi a conoscere, in Italia, i numeri e il patrimonio umano, ma anche culturale ed economico, rappresentato dalla comunità italo-brasiliana, di gran lunga la più numerosa al mondo. Difficile fornire delle cifre che siano totalmente attendibili, ma è ormai assodato che i brasiliani d’origine italiana che vivono nello Stato di San Paolo siano almeno 15 milioni (sugli oltre 30 di tutto il Paese), di cui quasi la metà concentrati nella San Paolo-metropoli.
«Eppure quando mi capita di ricevere in questa grande e moderna città, degli imprenditori o dei politici italiani, noto purtroppo che l’impatto non è quello che dovrebbe essere, cioè di stupore e di ammirazione. Forse si aspettano di vedere il carnevale, la foresta, le favelas – continua con tono polemico Plinio Sarti – e invece si trovano di fronte alla terza città più popolata del mondo, al principale polo economico e finanziario dell’emisfero Sud, ma soprattutto alla più grande città italiana al di fuori dell’Italia. E San Paolo non si merita questo». Tutta colpa dei soliti luoghi comuni.
«I giornali italiani, ma soprattutto la televisione pubblica, dovrebbero dedicare maggiore spazio a quanto succede qui in Brasile, e non parlarne solo per il carnevale, i calciatori o per mettere in primo piano eclatanti episodi di criminalità. C’è bisogno di un’informazione più attenta, che superi gli stereotipi e i luoghi comuni; c’è bisogno di giornalisti che raccontino la verità, che parlino di un Paese in rapido sviluppo che sta vivendo uno dei momenti più esaltanti della sua storia. Una storia nella quale gli oriundi italiani ricoprono un ruolo da assoluti protagonisti».