Poets Everybody

05 Ottobre 1998 | di

È nata e cresciuta nel New Jersey. È americana per lingua e cultura, ma all'Italia Maria Mazziotti è legatissima. Per lei la poesia è diventata un linguaggio universale: l'energia creativa che rende liberi.

 

Hawthorne, New Jersey

«Scrivere poesie è come essere nudi in pubblico». Per Maria Mazziotti Gillan, poetessa di Hawthorne, New Jersey, questa è una grande verità . Talmente grande che per lei è diventata una specie di regola letteraria. Per scoprirsi agli altri, quale miglior sistema esiste se non proprio quello di togliersi gli abiti della quotidianità  e dell'apparenza, rivelando così la ricchezza interiore che si cela in ognuno di noi, e comunicando i nostri sentimenti? Questa consapevolezza Maria Mazziotti l'ha raggiunta scivendo poesie. Ora, come educatrice, dal Poetry Center del Passaic County Community College, sta diffondendo il suo verbo in tutti gli Stati Uniti.

Americana di origini campane, Maria Mazziotti viene spesso in Italia. «Questo Paese è ancora più bello di quanto si può immaginare - dice - . E ciò che amo dell'Italia è il suo atteggiamento nei confronti dell'arte e della poesia: molto più deciso e positivo di quello degli Stati Uniti». Del Paese adottivo, Maria Mazziotti fa ormai parte linguisticamente e culturalmente, eppure è riuscita a trasfondere in versi le sensazioni e i ricordi di una famiglia italiana trapiantata oltreoceano: l'inserimento sociale, il confronto culturale, i sogni e le crudeltà  di un'America-Terra promessa.

Qualche critico letterario ha accostato Maria Mazziotti a poeti come James Wright e William Stafford. Una poesia essenziale che si nutre dell'umanità  sincera e affabile che anima la grande provincia americana, immune dagli stereotipi hollywoodiani e dalle metropoli tentacolari. Una poesia di «frontiera», mai accademica, dove ogni persona è un pioniere, in viaggio non verso l'eterno ovest ma alla ricerca di verità  e saggezza.

Msa. A lei non piacciono né i letterati, né la critica che vedono i poeti come un élite. Che cos'è allora la poesia?

Mazziotti Gillan. Per me la poesia è qualcosa che deve venire dal cuore. Penso che la poesia «elitaria» - che è una realtà  accademica di notevole entità  negli Stati Uniti - escluda molte persone. Io credo che Shakespeare e la poesia possano essere letti sia da gente comune che da gente molto istruita, e se la poesia funziona davvero, allora ti fa sentire qualcosa. Ti dà  una «risposta fisica», così tu inizi a piangere, a ridere, a sorridere, e senti la pelle d'oca perchè la poesia oltrepassa tutte le barriere che sono state poste tra noi e i nostri sentimenti. La società  ci porta ad agire sempre secondo uno schema, a guardare l'orologio e a non avere mai tempo per riflettere, per qualche tipo di spiritualità ... Dobbiamo mantenerla e credo che la poesia miri a questo obiettivo. Credo inoltre che ci sia un modo di comunicare idee universali, ma attraverso i particolari. Se scrivo di mia madre o di mio padre, spero di poter raggiungere altre persone che hanno una madre e un padre.

Che cosa caratterizza la letteratura americana «etnica»?

Penso ci sia un certo elemento di nostalgia, ma non è solo nostalgia, credo che se vogliamo capire noi stessi dobbiamo comprendere da dove veniamo. Ecco perchè ho intitolato il mio libro «Where I come from». E sento che nel mio lavoro sto esplorando sempre più da dove sono venuta, da dove i miei genitori sono venuti. Per me, poi, è una questione di ricostruzione di legami tra me e l'Italia, perchè so di non essere italiana nel modo in cui lo sono gli italiani in Italia, ma sono ancora italiana nel mio amore per la famiglia.

Lei si sente ancora «italiana»?

Una volta pensavo di essere italiana, e quando qualcuno me lo chiedeva dicevo: «Sono italiana». Ma quando sono venuta per la prima volta in Italia ho capito di non esserlo veramente. Sono italoamericana, ed è una cosa diversa. Vedo molti legami con l'Italia. Quando sento la lingua italiana, amo ascoltarla. È la lingua di casa mia; è la lingua che parlavo prima di andare a scuola (anche se era dialetto). Dunque per me è la lingua dell'amore. Quando vedo i volti della gente di qui, mi ricordano i volti delle persone con cui sono cresciuta.

In che cosa si sente più italiana e in che cosa più americana?

Mi sento più italiana nel mio legame con la famiglia e nell'idea che ho delle responsabilità  verso il mondo. Abbiamo la responsabilità  di renderlo migliore. L'altra, è una cosa che mia madre considerava molto importante: «più dai, più devi dare». Anch'io ho provato a vivere la mia vita così. E se non posso dare cibo, perchè io non sono una brava cuoca, mentre mia madre era una cuoca meravigliosa, io provo a dare aiuto e ad incoraggiare giovani poeti tentando di rendere migliore il luogo in cui vivo. E in fondo penso che questa sia l'etica cristiana: «Apri le tue mani e verranno riempite, chiudile e non avrai niente». In America, invece, la gente cerca di tenere strette le proprie cose. Se ti danno un bicchiere d'acqua, pensano di perdere qualcosa.

Gli italoamericani hanno espresso una letteratura di alto livello parlando della loro difficile condizione di emigrati. Alcuni autori ne hanno parlato in modo duro, tutt altro che poetico: John Fante, per esempio. Ora che sono integrati nella società  americana, diventeranno dei Saul Bellow della letteratura «etnica»?

Devo dire che gli italoamericani non sono veramente integrati nella società  statunitense. Pensano di essere integrati perché vivono nei quartieri residenziali e in case eleganti, perché sono avvocati e giudici, ma c'è ancora un atteggiamento orribile verso gli italiani in America. I professori universitari non ti insultano mai, salvo che non ti chiedono se hai legami con la mafia o che pensino semplicemente che tu sei in qualche modo pericoloso, mentre magari sei una persona tenera, affabile, e animata da una coscienza sociale.

Dunque c'è una forma di accettazione di noi italoamericani, ma non siamo veramente apprezzati negli Stati Uniti. Non parliamo, poi, di film e libri che sono stati fatti, mostrando che la mafia è una presenza molto forte in Italia e nella cultura italoamericana.

 ...Mario Puzo?

I suoi libri sono interessanti, sono scritti bene, ma contribuiscono a promuovere questa immagine degli italoamericani. Penso che avrebbe potuto essere un tipo di scrittore diverso, che avrebbe potuto fare la differenza nella vita italoamericana. Adesso stiamo iniziando ad avere scrittori veramente interessati a rappresentare che cosa significa essere italoamericani, in un modo molto più completo di quello presentato da Mario Puzo. Adesso ci sono riviste specializzate in letteratura italoamericana, e c'è un'accettazione di questa letteratura.

Lei ha scritto, con sua figlia Jennifer, Unsettling America (Penguin Books): un'antologia multiculturale di poesie. Che cosa unisce la poesia di culture tanto differenti: italiana, ispanica, afroamericana e asiatica?

Io e mia figlia Jennifer volevamo includere opere di outsider nella cultura americana, perché i pregiudizi esistono ancora. Il titolo Unsettling America per noi significa davvero rivoluzionare concezioni prefissate di ciò che significa essere americano.

Se vieni da un altro Paese, ci si aspetta che tu ti inserisca negli Stati Uniti perdendo ogni legame col passato. E ciò che abbiamo provato a fare con questo libro, è stato demolire queste concezioni su ciò che significa essere americano perché credo che l'America sia cambiata negli ultimi cinquant'anni. Quella dell'America non è la cultura degli anglosassoni, è la «cultura di molte culture»: questo è ciò che unisce le persone nel libro.

C'è un'affinità  tra l'America agreste di Jefferson e Lincoln e la civiltà  contadina, della stessa epoca, di cui sono figli i primi italiani giunti negli Usa?

C'è un'affinità  tra molti emigrati e la realtà  di Jefferson e Lincoln, particolarmente per molti di quegli emigrati che partirono per l'America perché erano poveri o soffrivano la fame. Per mia madre e mio padre, l'Italia era il paradiso, anche se qui per loro non c'era nessuna opportunità . Per sé e per i propri figli desideravano le cose che l'America prometteva: la libertà , la possibilità  di migliorarsi. Hanno lavorato molto, hanno risparmiato, ci hanno mandato a scuola, ci hanno incoraggiato, ma in molte cose sono stati tagliati fuori dalla società .

Se fossero stati contadini in Italia non avrebbero avuto alcuna possibilità . Mio padre non apprezzerebbe il fatto che lo stia definendo «contadino», ma in ogni caso lavoravano nelle fattorie, non avevano accesso alla cultura, dunque le loro possibilità  erano estremamente limitate. Sono sicura che per gli italiani del settentrione che vennero a Paterson come ricamatori, tessitori, e tagliapietre le cose furono diverse. C'erano sì delle difficoltà , ma se loro venivano con particolari capacità  e con una cultura potevano inserirsi meglio. Penso che allora ci fossero 40 club italiani a Paterson: per loro era un modo di stare insieme ad altre persone che parlavano lo stesso dialetto. È un po' triste che ora tutti quei club stiano scomparendo.

Non crede i club servissero agli italoamericani per «difendersi» dalla cultura americana?

I miei genitori percepivano la società  americana come una società  di gente che fuggiva via, che si distaccava, che perdeva la consapevolezza di sé. Così io non andavo mai più lontano del portico di casa; mia madre aveva paura della società  americana e di ciò che avrebbe potuto fare ai suoi figli, e sentiva che dovevamo rimanere a casa o andare a trovare parenti e amici con loro. È stato un esercizio meraviglioso come scrittrice, perché sentivo tutte queste storie che si raccontavano. Non avevano la televisione, non avevano soldi, non andavano nei ristoranti, andavano solo a far visita l'uno all'altro ed è stato un modo meraviglioso di diventare italiana. Ho imparato certi valori e un certo tipo di atteggiamento verso il significato della comunità .

Quali aspetti dell'Italia di oggi interessano di più ai giovani americani di origine italiana?

Penso ci sia questo sentimento di voler tornare in Italia per vederla. Sono in aumento le persone che vengono a studiare nelle scuole italiane. Ci sono anche molti corsi di italiano. Una delle cose a cui si interessano di più è la moda italiana. Amano i vestiti italiani. C'è interesse per il design.

Crede che nel giro di qualche anno un italoamericano possa diventare presidente degli Stati Uniti?

Mi piacerebbe dire «Sì», e vorrei proporre Mario Cuomo come possibile candidato, ma non credo che lo permetteranno. Penso che non appena qualcuno si candidasse, troverebbero mafiosi nel suo passato anche se non esistono. Quando Geraldine Ferraro si è candidata alla Casa Bianca, è stata attaccata senza pietà .

L'«American way of life» è rappresentato all'estero quasi esclusivamente dal cinema e dalla televisione che propongono i vari Leonardo Di Caprio, Madonna o Bill Clinton: esempi di un'America ricca, trasgressiva, vincente, spesso autoritaria e presuntuosa. E l'altra America? Quella della gente comune, del lavoro, della famiglia, dei problemi sociali, dov'è?

L'America della gente comune che lotta per mantenere la famiglia, per tirare avanti e che prova a fare del proprio meglio, non è eccitante, non fa spettacolo. Questo non viene mai presentato. E se viene presentato diventa una buffonata. Non è coinvolgente vedere qualcuno che fa del proprio meglio. La gente vuole vedere solo pistole e sparatorie. Credo che l'entertainment per la gente dovrebbe parlare davvero di ciò che significa essere uomini e donne, tutti i giorni.

Penso di aver visto film italiani che sono davvero opere d'arte. È vero: ci sono anche altri generi: pulp, trash. Temevo che anche in Italia avrei trovato questa cultura... È l'amore per la morte; è il mondo della violenza e della morte. In America c'è un alto numero di suicidi tra i giovani. Che cosa rende un giovane così contrario alla vita? Che cosa rende un «valore» questo amore per la morte? Questo è quanto abbiamo insegnato ai nostri figli?

E Quentin Tarantino?

Mi chiedo: la violenza è un valore? Questo è ciò che quand'ero giovane si combatteva. So che Tarantino ha riscosso critiche positive con il suo film Pulp Fiction. Forse io appartengo alla generazione sbagliata, ma mi ha fatto orrore. Sono rimasta alla proiezione per 5 minuti e poi mi sono detta: «Non è per me». È violenza per amore della violenza ed è così contrario a tutto ciò per cui sto lottando. Non capisco da dov'è venuto. Eppure anche Tarantino è italiano.

I valori cristiani riescono a sopravvivere ancora in una società  secolarizzata come quella americana?

Credo ci siano dei valori cristiani che rimangono vivi negli Stati Uniti. Credo tuttavia che non sia facile mantenere valori cristiani in una società  che dà  così tanta importanza al denaro; soprattutto i giovani, plagiati dalla televisione e dalla pubblicità , che perseguono l'obiettivo di acquistare: «Comprerò, comprerò, comprerò, e sarò felice». Uno dei miei obiettivi è quello di far pensare la gente se ciò che desidera veramente dalla vita è perseguire qualcosa che in due minuti perde il proprio valore perché non è più ciò che voleva. Credo che la poesia faccia andare oltre le cose materiali, verso una sorta di spiritualità  che è in ognuno di noi e che incoraggia la spiritualità  degli altri.

Dalla Campania al New Jersey
Le radici di Maria Mazziotti

Il nonno di Maria Mazziotti, Alessandro Mazziotti, era originario di Galdo Cilento, in provincia di Salerno. In America sposò Laura Cortiglia di Pollica (Salerno). Il padre di Maria, Arturo Mazziotti, nacque negli Stati Uniti, ma a due anni si trasferì con i genitori a Galdo Cilento dove rimase fino a 16 anni. Poi ritornò in America dove, nel 1935, sposò Angelina Schiavo. Poco dopo nacque Maria.

Nel 1981 a Maria Mazziotti è stato attribuito dal New Jersey State Council il premio «Arts Creative Writing Grant»; nel 1985 ha vinto il «Premio Sri Chinmoy» e il «Premio Walt Whitman». Le sue poesie sono state scelte per l'«Editor's Choice 1985 Selection». È stata proposta per il «Pushcart Prize». Ha tenuto recital di sue poesie in varie università  e centri di poesia degli Stati Uniti. Ha insegnato alla Drew University, al Bloomfield College, al Passaic County College e alla Missouri University.

Attualmente dirige la rivista The Paterson Literary Review. I suoi lavori sono apparsi su numerosi giornali tra cui The New York Times, The Christian Science Monitor, Poetry Australia e Poetry Ireland. Ha pubblicato numerose raccolte di poesie, tra cui Winter Light, The Weather of Old Seasons, Taking Back My Name e, recentemente, Where I Come From: Selected and New Poems.

Nel 1980 ha fondato il Poetry Center presso il Passaic County Community College. Ora questa istituzione è conosciuta in tutti gli Stati Uniti: stampa un giornale; pubblica collane di poesia. L'attività  è seguita dalla comunità  locale, da studenti, e da persone provenienti da ogni parte del New Jersey e da New York. E poi vengono lette poesie nelle scuole, coinvolti scrittori in attività  didattiche; e c'è pure un gruppo di lavoro per adulti.

Public School no. 18: Paterson, New Jersey

Gli occhi di Miss Wilson, opachi
come vetro blu, mi fissano:
«Noi dobbiamo parlare Inglese.
Siamo in America ora».
Io voglio dire, «Sono americana»,
ma l'evidenza è contro di me.
Mia madre mi strofina la testa che diventa rossa,
attorciglia i miei lucidi capelli in bianche pezze
per farne boccoli, Miss Wilson
mi trascina alla finestra, per controllarmi i capelli,
cerca pidocchi. La mia faccia vuole nascondersi.
A casa le parole scivolano dalla mia bocca,
chiacchiero e sono orgogliosa. A scuola
sono silenziosa, brancolando in cerca delle giuste
parole inglesi, temendo che la parola italiana
germogli come una rosa dalle mie labbra,
intimorita dal susseguirsi delle insegnanti
nei loro vestiti a fiori,
con le loro facce anglosassoni.
Senza parole, mi dicono
che devo vergognarmi
e mi vergogno.
Nego la nazione a stivale
anche a me stessa,
voglio stare zitta
ed essere superiore
come queste donne
che m'insegnano a odiare me stessa.
Alcuni anni dopo, in una
casa bianca a Kansas City,
un docente di psicologia mi dice
che gli ricordo il leader mafioso
sulla copertina della rivista TIME.
La rabbia mi fa sputare
veleno dalla bocca:
sono orgogliosa di mia madre
tutta vestita di nero,
orgogliosa di mio padre
col suo parlare storpiato,
orgogliosa delle risate
e del baccano della nostra casa.
Vi ricordate di me, Ladies,
la silenziosa?
Ho trovato la mia voce,
e la mia rabbia
soffia soffia, butterà  giù la vostra casa. 

Poesia tratta da Where I Come From
Guernica   Editions, Toronto, 1997

 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017