POLITICI, UN «COLPO D’ALA»
Non so se gli onorevoli prendano i mezzi pubblici, magari nelle ore di punta, quando la ressa toglie il respiro e la rabbia degli «oppressi» sale in vortice schizzando improperi a colpire dal più innocuo dei parlamentari all'inquilino del colle più alto. Se lo facessero spesso, saprebbero, in tempo reale e senza svenarsi per pagare sondaggi, che cosa la gente pensa di loro. E forse qualcuno potrebbe essere indotto a cambiar mestiere. Perché la gente di loro pensa tutto, o quasi, il male possibile. Soprattutto che sono degli approfittatori, che in parlamento ci stanno più per curare i propri interessi che quelli dei cittadini, ai quali si dedicano a tempo perso.
Di fatto anche i più paludati sondaggi testimoniano da tempo il crescente fastidio verso la classe politica. Le fette della «torta» (la figura tondeggiante che sintetizza i sondaggi) indicanti il gradimento si assottigliano ogni volta di più, e ora non bastano a saziare nemmeno il più asceta dei politici. Se negli anni Settanta e Ottanta, sommando i contenti del tutto e quelli così così, si poteva superare la soglia del 50 per cento, oggi si è abbondantemente al di sotto. Invece l'idea che i politici pensino più al proprio tornaconto che ai problemi e alle esigenze della gente non ha subìto forti spostamenti: erano in moltissimi a pensarlo una volta, sono altrettanti a crederlo oggi.
Ma la prova più chiara della ostile disaffezione è la sempre più scarsa affluenza alle urne. Nella più recente tornata elettorale, gli indicatori sono scesi di una decina e oltre di punti percentuale: una volta votava l'80-90 per cento degli aventi diritto, ultimamente, in alcune città , non si è raggiunto il 60. E non è solo questione di assuefazione (si vota troppo spesso), nella gente è venuta meno la fiducia: «picconata» dagli scandali di Tangentopoli, da anni di finanze allegre che hanno dilapidato le casse dello stato costringendoci a sacrifici immani per rimettere in sesto i conti; messa a dura prova da beghe e risse continue, da veti incrociati, ricatti e scomuniche. E non solo tra partiti avversari - che è nella logica delle cose - ma all'interno di partiti dello stesso raggruppamento (quelli della maggioranza in questo senso stanno offrendo spettacoli poco rassicuranti). E poi ci sono i «ribaltoni»: la sostituzione in corsa del manovratore, causata da partiti che decidono di cambiare schieramento (così è caduto Berlusconi; così è caduto Prodi), e così via. In tutte queste, e in altre ancora, incomprensibili (per chi non è del mestiere) operazioni la gente fa fatica a scorgervi la ricerca, l'affanno per il mitico «bene comune» che dovrebbe costituire l'impegno assolutamente prioritario dell'azione politica.
Anche in un nostro minisondaggio, senza pretese, abbiamo fotografato la delusione quasi unanime della gente per una classe politica, a loro modo di vedere, non all'altezza dei problemi che stiamo vivendo. «Ci avevano detto - afferma Antonio Cesario, impiegato - che alcune riforme, dall'elezione diretta del capo dello stato, a quella elettorale e della giustizia non potevano più essere rimandate. Hanno provato a metterci mano, ma non abbiamo ancora capito, al di là delle tante cose dette, i motivi veri del perché tutto sia naufragato».
E Carlo Marini, operaio: «Su una sola cosa fanno prestissimo ad accordarsi, quando si aumentano stipendi, privilegi e finanziamenti ai partiti. Per il resto tirano a campare».
«Ricordate il federalismo? Per mesi, sotto la minaccia della scissione della Padania ventilata dalla Lega, ce l'hanno presentato come il toccasana di mille problemi - dice Mario Signori, studente -. Noi ci abbiamo creduto, ma tutto è finito in una bolla di sapone. Ci sono voluti i preti del Nordest, lo scorso gennaio, a riproporlo con sdegnato vigore sui loro settimanali: ma dubito che lassù qualcuno li ascolti. Sono in corso le battaglie sui simboli e le alleanze per le elezioni europee, che magari la gente snobberà in massa ... ».
E Franco Zorzi, giovane universitario: «L'aspetto peggiore della faccenda è che con la caduta delle ideologie sono caduti anche gli ideali, soffocati da una prassi politica affaristica che non ha più slanci e grandi disegni. Noi giovani ci troviamo senza punti di riferimento, senza valori cui ispirarci, verso i quali far convergere le energie e l'eventuale impegno». Luca De Pietro, consulente aziendale, afferma: «Sono convinto che moltissimi nostri politici (indipendentemente dallo schieramento) si sono avvicinati (e si avvicinano) alla politica attiva con le più reali convinzioni di perseguire il 'bene comune'. Una volta, però, entrati nell'istituzione politica il loro agire quotidiano non è più guidato dai loro nobili propositi ma da logiche egoistiche di parte che hanno come unico obiettivo far prevalere il proprio partito (o, forse meglio, fazione) sulla controparte. Questa loro continua ricerca di sconfiggere i propri avversari politici di fatto fa scadere i contenuti della loro azione politica a mero 'gioco di potere'. Anni luce distante da una politica diretta a perseguire ciò che è il 'bene' per la collettività ».
Monica Bozzolan, avvocato, non ha dubbi: «Ritengo che i politici pensino essenzialmente ai loro interessi, salvo rare eccezioni».
La situazione allarma anche i vescovi, i quali attraverso il loro presidente, cardinal Camillo Ruini, hanno preso posizione affermando che «le vicende politiche tendono (...) a divenire sempre più complicate e i possibili approdi della nostra lunga transizione sembrano piuttosto allontanarsi: non desta meraviglia quindi che l'interesse e la partecipazione alla vita politica si attenuino e diminuiscano. Un fattore che spinge in questa direzione è anche quell'oblìo in cui sembrano facilmente cadere i più impegnativi propositi di riforma e di innovazione, come hanno denunciato in questi giorni i cattolici del Nordest a proposito della valorizzazione delle autonomie territoriali...».
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: confusione, minaccia alla sicurezza, povertà crescente per le quali in vescovi riprongono «quegli interventi che tanti invocano», ma soprattutto un «risveglio morale» che «sia avvertito come qualcosa che interpella dal di dentro ciascuno di noi e che ci spinge ad essere operatori di giustizia, e di fraternità ».
Forse l'attuale classe politica non è tanto peggiore di altre. Politica e politici in genere non hanno mai goduto di buona fama: per lo statista prussiano Ottone di Bismark «La politica non è una scienza (...) ma unarte», per il romanziere svizzero di lingua francese Louis Dumur (1863-1933) è arte, ma «di servirsi degli uomini facendo intendere di servirli». Ancor peggio la pensava lo scrittore francese Courtilz de Sandras (1644-1712), per il quale la politica è «il segreto di far i propri affari e di impedire agli altri di fare i loro».
E non c'è differenza tra ideologie diverse, tra rivoluzionari e conservatori, ad esempio; almeno per il critico letterario Arturo Graf (1849-1913), l'unica differenza è che «gli uni sono canaglie turbolenti, e gli altri canaglie pacifiche». «Sono uguali dappertutto - diceva il premier russo Nikita Krusciov (1894-1971) - . Promettono di costruire un ponte laddove non c'è un fiume».
Qualche politico oggi pensa solo al portafoglio? Succedeva anche nell'antica Grecia. Dice Demostene dei politicanti del suo tempo: «Gli uni erano pitocchi e sono ricchi, altri erano ignobili e vanno per la maggiore; alcuni si sono costruite dimore più sontuose di un pubblico edificio: di quanto è declinata la fortuna dello stato, di tanto è aumentata la loro».
I partiti sono troppi e litigiosi? Ascoltate quel che diceva Pericle, il grande statista ateniese: «Come posso parlarvi io di Atene e di quello che ho fatto per essa, se ogni ateniese è un partito e ogni partito una furia».
Pur consapevole dei rischi, delle debolezze e dei tradimenti dei politici, la Chiesa continua ad avere un alto concetto dell'azione politica, il cui fine ultimo resta il bene comune. Scriveva papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris: «Nell'epoca moderna l'attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile l'adempimento dei rispettivi doveri».
Nel Catechismo della Chiesa cattolica, al n. 1902, si legge: «L'autorità (deve) cooperare per il bene comune come una forza morale che si appoggia sulla libertà e sulla coscienza del dovere e del compito assunto».
Ma che cosa è per il catechismo, il bene comune? «Per il bene comune - scrive - si deve intendere 'l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente' (Gaudium et spes, 26). Il bene comune interessa la vita di tutti. Esige la prudenza da parte di ciascuno e più ancora da coloro che esercitano l'ufficio dell'autorità ».
Tre gli elementi essenziali del bene comune, che il catechismo indica: il rispetto della persona umana: «In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali e inalienabili della persona umana». Il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo stesso: «Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali (...) Spetta all'autorità farsi arbitra, in nome del bene comune, fra i diversi interessi particolari. Essa però deve rendere accessibile a ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana: vitto, vestito, salute, lavoro, educazione e cultura, informazione conveniente, diritto a fondare una famiglia, ecc». La pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto: «Suppone quindi che l'autorità garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri».
«La crisi della politica - ci ha detto padre Bartolomeo Sorge, direttore di «Aggiornamenti sociali» - pone maggiormente in evidenza la necessità di una presenza degli ideali e degli stessi cristiani nel servizio politico. I valori cristiani sono gli unici attuali e dunque ancora più necessari in questo momento di crisi. Però bisogna avere il coraggio di inventare una nuova forma di servizio, di presenza: ci sono ancora troppi rimpianti della vecchia Dc, ci sono ancora troppi sogni di 'grandi centri'; è necessario rivitalizzare la cultura del cattolicesimo democratico. Abbiamo una tradizione centenaria, tipicamente italiana, di militanza dei cristiani in politica: inventiamo nuove modalità di partecipazione, partendo dalla autenticità della nostra vita cristiana. Devo ammettere che ci si sta muovendo in tal senso, ma siamo un po' in ritardo. La speranza viene soprattutto dai giovani che lasciano intravedere un domani nuovo».
(ha collaborato Sabina Fadel)
LA POLITICA STESSA E' «BENE COMUNE»
Senza politica non c'è perseguimento del bene comune, ma trionfo dei poteri forti, dei privilegi, degli egoismi, dei particolarismi.
Di questo bisogna avere profonda coscienza e, soprattutto, responsabilità educativa. Giovani che si affacciano alla vita (ai diritti e ai doveri) sentendosi ripetere o leggendo tutti giorni che la politica è «sporca» o inutile non possono diventare veramente e pienamente cittadini. Del resto, non basterebbe neppure sollecitare a parole: occorre testimoniare nelle coerenze personali e nell'impegno quotidiano quell'attenzione agli altri, alla città , alle scelte, alla responsabilità verso la cosa pubblica e il bene comune che si traducono e significano politiche sociali, di giustizia e legalità , di partecipazione, per il lavoro, ecc.
La politica è strumento per cambiare la realtà e la società e, allo stesso tempo, valore: perché significa partecipazione e coinvolgimento, rifiuto della passività , delle deleghe in bianco, dei sotterfugi.
Certo, c'è anche (basti pensare a Tangentopoli, ai tanti fenomeni di illegalità , a troppe esperienza di malgoverno) una politica che viene vista e usata solo come potere. Ma è anche e soprattutto per sconfiggere queste degenerazioni che occorre recuperare il valore e, vorrei dire, la nobiltà della politica intesa come servizio alla collettività . Occorre recuperarla nelle «cose», ma anche nel senso comune: per questo sottolineo la responsabilità educativa. Occorre mettersi in gioco, non stare alla finestra, non limitarsi a criticare, a denunciare (anche se è importante): bisogna assumersi le responsabilità che derivano dall'essere cittadini. Non basta andare a votare: la politica appartiene a ciascuno, alla società civile, deve diventare sempre più capacità di proporre, di gestione sul territorio, di attenzione alla formazione, all'informazione. Insomma, è la politica stessa ad essere «bene comune»: se qualcuno ne fa cattivo uso, impoverisce tutti. Ma la stessa cosa succede se ci si rifiuta, per stanchezza, sfiducia o qualunquismo, di «partecipare», ovvero di impegnarsi, ognuno come può, ciascuno col suo ruolo, per la trasformazione, per il recupero di significati e di giustizia. In questo senso, la politica può e deve essere riconoscimento di dignità , costruzione di futuro e dunque di speranza per tutti e per ciascuno.
Luigi Ciotti
RIDARE AI GIOVANI SPERANZA
«Il pericolo più grave per la democrazia è illudersi di poter fare a meno di valori ideali». Monsignor Gaetano Bonicelli, già vescovo dei militari, guida l'arcidiocesi di Siena dal 1981. Lo abbiamo intervistato.
Il mondo cattolico frammentato in «Poli» diversi e contrapposti, è in grado di operare questo recupero?
Monsignor Gaetano Bonicelli, arcivescovo di Siena
Msa. Alla luce della situazione attuale che cosa si deve anzitutto fare perché la politica riacquisti il suo ruolo di servizio alla comunità ?
Bonicelli. Forse si è pensato che bastasse Tangentopoli a far piazza pulita delle degenerazioni e a creare un nuovo stile di fare politica. Grave illusione. Bisogna puntare a una maturazione delle coscienze. Concretamente la Chiesa può, e deve, favorire con le sue iniziative a tutti i livelli una riflessione seria e articolata sul bene comune. Senza un chiaro recupero sul fine della politica, c'è poco da sperare. Tutti si affannano a offrire disponibilità , ma, spesso non troppo sotto, ci sono gli interessi di parte a prevalere. C'è stata negli anni scorsi una fioritura di «scuole di politica», di iniziative di cultura sociale. Bisogna tornare a seminare a larghe mani e con ogni sforzo, specialmente tra i giovani. Spes messis in semine, si diceva una volta, è nel seme la speranza della mietitura. L'automatismo in questo campo è semplicemente impossibile. La pastorale deve ritrovare fiducia e pazienza in questo metodo aperto, capace di privilegiare gli autentici valori. E chiamate in causa sono tutte le comunità . Il dover confrontarsi con il mondo sociale, obbliga a rivedere le tradizionali attribuzioni alle strutture ecclesiali. La maggior parte delle parrocchie non ha fiato per iniziative del genere. È l'occasione di rompere schematismi atavici e di rivedere così tutto l'impianto.
Per l'Italia un problema grosso è la situazione creatasi con l'implosione della Dc. Da un lato era necessario che si superasse la fase, benemerita per l'Italia ma per sua natura straordinaria, di un «partito cattolico» che è una contraddizione in termini. Bisogna riconoscere che la cultura politica italiana è ancora ghibellina, incapace di dare spazio in tutti i raggruppamenti alle priorità ideali che i cattolici dovrebbero veicolare con sé ovunque siano impegnati. Si può anche affermare che lo zoccolo duro dei cattolici praticanti avrebbe voluto che la Chiesa si orientasse sulla destra dello schieramento, nella convinzione che la sinistra sia ancora solo quella stalinista. Molti di quelli che hanno sempre lamentato le precedenti interferenze vere o presunte della gerarchia, adesso vorrebbero che i vescovi e i preti si dichiarassero fautori del Polo, come se i divorzisti di destra, per fare un esempio, siano più cristiani dei divorzisti dei sinistra.
Il vero problema è come un cattolico può vivere con coerenza la sua fede in un mondo pluralista. A me sembra capitale per tutti rivendicare ideali e spazi politici sottratti al gioco delle maggioranze e minoranze. Il mondo cattolico deve rilanciare almeno questo obiettivo, parlando lo stresso linguaggio, senza paura di ammucchiate e non cercando rivalse politiche di parte sul fronte dei valori, di alcuni valori almeno, come la vita, la scuola, il lavoro, la solidarietà . So bene che sono realtà che non si possono tagliare a fette come il prosciutto. Ma questo è il travaglio della politica. Dirò di più, questa «traversalità » lucida e non facile, diventa una garanzia di autenticità per la stessa democrazia. Il pericolo più grave per la democrazia è illudersi di fare a meno di valori ideali. Almeno su questa linea i cittadini dovrebbero coraggiosamente attestarsi.