Polsi, luogo dell’anima calabrese

Il santuario di Polsi, cuore di un millenario culto mariano, è un luogo sacro e, allo stesso tempo, maledetto. Da decenni la ’ndrangheta lo ha eletto a simbolo del suo potere e della sua violenza. Ma è giunta l’ora di restituirlo alla sua gente.
30 Giugno 2014 | di

Andiamo in un luogo dell’Aspromonte. Estremo Sud dell’Italia. Un luogo di montagne, di fiumare, pascoli e foreste. La sua bellezza è aspra ed emozionante. Il santuario di Polsi, terra di un millenario culto mariano, è un luogo sacro e, allo stesso tempo, maledetto. Un luogo di passione e devozione, di luci splendenti e di ombre minacciose, di fede popolare e di ferocie inconfessabili. «Un luogo dell’anima. Dell’anima calabrese», ripete sempre l’antropologo Vito Teti.

Nella notte fra l’1 e il 2 settembre migliaia di pellegrini risalgono i cammini sconnessi dell’Aspromonte per venerare la Madonna della Montagna, la Madonna di Polsi.

La gente di Calabria viene qui per una veglia stordente di preghiere e canti, per salmodiare quasi in trance rosari, per alzare il proprio figlio fino a fargli sfiorare le vesti di legno della Madre, per toccare la sua statua e guardarla negli occhi. Vengono per passare una notte senza sonno, per danzare tarantelle fino allo sfinimento, per sentirsi un popolo del Sud. Vengono da San Luca, da Platì, da Delianuova, da Cardeto, da Natile. Salgono da Gerace, da Taurianova, da Roghudi. Dalla lontana Reggio Calabria. Arrivano fino a qui i pescatori di Bagnara e la gente di Ganzirri, paese siciliano oltre lo Stretto di Messina. Tornano gli emigrati. A centinaia. Per vivere la festa santa di Polsi.
 
Dietro la statua della Madonna
Sono molti anni, invece, che io non torno a Polsi, ma il ricordo di quelle notti ancora mi commuove. Devo avvertirvi: io sono un uomo del Nord. I miei occhi che si smarriscono in questa folla «sofferente e gioiosa» di pellegrini sono quelli di un uomo che non appartiene a questa terra. Allora diciamo subito l’indicibile: da decenni e decenni, la ’ndrangheta ha eletto il santuario a simbolo e specchio del suo potere e della sua violenza. Qui, avvertono i giudici, sono stati decisi omicidi (e ne sono stati anche commessi) e vendette, trattati affari e spartite ricchezze criminali. In altri anni, queste terre solitarie hanno nascosto le prigioni di chi veniva sequestrato. Qui, nel 2009, gli investigatori hanno filmato una riunione della ’ndrangheta. Era la prova, niente poteva più essere negato o tollerato: una tra le più potenti delle organizzazioni criminali italiane usava i luoghi, i simboli, le parole, i riti di una profonda devozione popolare. Si nascondeva, senza nascondersi, dietro la statua della Madonna. Impiegava, come strumento di autorità, la tradizione più radicata nel cuore della gente del Sud della Calabria. «E non sono sicuro che rinuncerà a farlo ancora», ha detto Nicola Gratteri, procuratore della repubblica a Reggio Calabria. Non è sufficiente che a Polsi salga anche la polizia per festeggiare il proprio patrono, san Michele Arcangelo; che qui si sia riunita la commissione antimafia; che, in questa chiesa, per anni, si siano ritrovati i sindaci dei paesi dell’Aspromonte per siglare un patto con la natura. Nessuno ha scalzato la ’ndrangheta dall’immaginario reale di Polsi. Con perversa consapevolezza, gli ’ndraghetisti hanno scelto lo stesso arcangelo Michele come loro protettore. Santa Malavita Organizzata è un libro coraggioso, scritto da Annachiara Valle, donna calabrese, giornalista di «Famiglia Cristiana», e lei non ha incertezze: «Senza Polsi non ci sarebbe la ’ndrangheta». Ma Vito Teti ci tiene a precisare: «La ’ndrangheta funziona anche senza Polsi».

Ma ora, mentre scrivo, io penso ai piedi nudi di una ragazza. È sempre questa la prima immagine del mio andare a Polsi. Da ore cammina sulla strada sterrata. Ha i jeans arrotolati sotto le ginocchia. Cerca, con cautela, di evitare i sassi più taglienti. In mano ha le sue scarpe da ginnastica. «È la mia promessa alla Madonna», mi spiegò senza distogliere lo sguardo da terra. Nel 1912, Corrado Alvaro, scrittore di San Luca (il santuario appartiene alle sue terre), raccontò che «una signora vestita bene» saliva a Polsi «a piedi nudi, tenendo le scarpe in mano per voto». Un secolo dopo, una ragazza, in jeans e maglietta, percorre gli stessi cammini.
 
Una fede «fisica»
«Baccanale religioso, festa dionisiaca», scrive Francesco Perri, scrittore calabrese. Il primo settembre salgono i ragazzi con gli organetti, i tamburelli, le zampogne. Nello spiazzo davanti al santuario, i maestri di ballo invitano la gente al centro del cerchio delle tarantelle. Ho visto uomini dalle pance immense ballare con la leggerezza di una libellula. I vecchi, invece, roteavano su loro stessi alzando i lembi della giacca. I più giovani, impazienti, saltavano come cavallette. Le donne si sfioravano le spalle. Le mani erano farfalle.

Andirivieni nella chiesa: vecchie dagli abiti neri neniano rosari infiniti, giovani cantano salmi, mentre il grido «Viva Maria!» si rincorre tra le colonne del santuario. Donne e uomini offrono alla Madonna melanzane e formaggi, pomodori e grandi casse di frutta. La notte diventa un dormiveglia sacro: ci si sdraia sotto l’altare, sulle panche, per terra, nel chiostro, perfino sulla sedia del vescovo. Ogni risveglio è un canto, un inno, un grido, una processione notturna. La fede qui è fisica. Bisogna toccare, accarezzare, lasciare il segno del proprio passaggio. Le fisarmoniche entrano in chiesa.

Di fronte alla statua della Madonna, ho ascoltato chiedere una grazia, un perdono, una guarigione, una pace. Queste notti hanno inciso emozioni indelebili nella mia anima. Ho visto uomini piangere e ragazze ballare con felicità sensuale. Ho bevuto vino e guardato giocare a morra con urla incomprensibili. Ho mangiato arrosto di capra e ho dormito sul pavimento del chiostro.

Una notte apparve un’ombra dietro alle mie spalle, un ragazzo mi avvicinò: «Voi non siete della polizia, vero?». GianCarlo Bregantini, allora vescovo di Locri-Gerace, mi disse: «Non nascondo i problemi. Ma posso dire che a Polsi io ho intravisto anche i segni di una nuova Calabria». Bregantini era arrivato qui dal Trentino. Non posso che ostinarmi a credergli ancora oggi. Franco Oliva è il nuovo vescovo di questa terra difficile. Prete calabrese, è stato appena nominato. Misura le parole: «Polsi è un luogo di preghiera. Certo, il contesto geografico e sociale può rendere difficile ogni buona intenzione. Non bisogna confondere la vera fede con la tradizione o il folclore. Occorre purificarla. Sarò attento e vigile: non permetterò infiltrazioni o interferenze che niente abbiano a che vedere con la fede. A Polsi, come altrove».

I pastori di Aspromonte ben conoscono il vallone di Polsi. È da sempre il crocevia delle loro transumanze autunnali. Fin dai tempi della Magna Grecia è stato luogo di riposo e di culto alle divinità della montagna. I vecchi vi raccontano, allora, di Ruggero, il Normanno: durante una battuta di caccia il re di Sicilia si imbatté in un torello inginocchiato di fronte a una miracolosa croce greca. Fu così che, nel 1140, venne deciso di erigere una chiesa in questa valle. Vi arrivarono monaci basiliani e asceti siciliani. La statua della Madonna è una scultura siciliana del XVI secolo. Nel 1600, i pellegrinaggi a Polsi erano già grandiosi. La ’ndrangheta, allora, non esisteva. «Queste feste, questi riti, tradizioni, balli, musiche e cucine sono il frutto di continue elaborazioni della gente. Non possiamo consegnarle alla malavita», scrive Vito Teti.

All’alba, dopo una notte insonne, il ritmo della tarantella riprende un vigore inatteso. A metà mattina la Madonna esce dal santuario per l’ultima processione. Saranno i pescatori di Bagnara a sollevarla. Applausi dai balconi delle case comunitarie. Ultime grida. Fuochi nell’aria. Suoni. È un corteo sacro e tumultuoso che deve muoversi con abilità. La Madonna deve rientrare in chiesa a passo di corsa. In una grotta della montagna si nasconde ancora la Sibilla. Era una maga invidiosa del destino divino di Maria. La sua gelosia fu punita da Dio: la Sibilla è condannata a vivere nell’oscurità di una caverna. La Madonna deve essere veloce: non può rischiare di voltare, per troppo tempo, la schiena alla maga. «La ’ndrangheta, come la Sibilla, si nasconde nell’ombra – osserva Vito Teti –. Bisogna volgere, per sempre, le spalle a queste nostre ombre. Non può essere sconfitta solo con la repressione, bisogna agire nel sociale, nella scuola, sulla mentalità. E la Chiesa ha un ruolo importante e decisivo: vi è il bisogno di una nuova evangelizzazione che non si traduca in perdonismo, ma in assunzione di responsabilità e in creazione di valori morali, etici e legali».

Annachiara Valle è esplicita: «Nessuno, tantomeno la Chiesa, deve più tollerare zone grigie. Il problema della Calabria è la ’ndrangheta e bisogna scegliere: o si sta con la legalità o si sta con i criminali».

Dopo la festa, Polsi si acquieta. I pellegrini hanno ripreso il cammino per i loro paesi. Ora c’è silenzio. Gli organetti sono poggiati per terra. Vedo un ragazzo che sistema con cura il suo tamburello, si siede, appoggia la schiena al muro e si addormenta.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017